Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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La fede raggiunge la sua pienezza quando la vita stessa del credente diventa testimonianza di Cristo retta e luminosa, non incerta e distorta, in obbedienza all’invito del profeta Isaia: «Rendete diritta la via del Signore». Il quarto vangelo indica come testimoni del Figlio le Scritture, il Padre, le opere di Gesù stesso, lo Spirito Santo e i discepoli. Ora, la liturgia odierna presenta il testimone umano per eccellenza, Giovanni Battista, che definisce se stesso come la «voce» che risuona «per dare testimonianza alla luce». La luce vera è il Verbo incarnato, di cui parla il Prologo, dichiarandone nelle prime due strofe la preesistenza, il ruolo nella creazione e il suo essere vita e luce degli uomini. Nel Prologo finora tutto proveniva dall’alto; poi viene introdotto un uomo che procede dal basso, mandato da Dio per irradiare l’altissima Luce che rischiara le tenebre umane. Ai vv. 6-8, come pure al 15, si enuncia l’identità dell’inviato; nei vv. 19-28 si specifica come Giovanni ha reso la sua testimonianza.
L’autore si preoccupa subito di precisare che il Battista «non era la luce», probabilmente per mettere a tacere le credenze che attribuivano a Giovanni il ruolo di Messia; tuttavia ciò non sminuisce il valore del testimone, che risplende nel momento della prova, quando è chiamato a rispondere alle autorità religiose del tempo. «Che cosa dici di te stesso?» è una domanda che metterebbe in crisi chiunque, perché ognuno desidera essere più di quel che è, specialmente se si accorge di avere sbagliato molto nella vita. Tale scoperta sarà un dramma o una rinascita? Tutto dipende dalla costanza con cui si ascolta Gesù: solo in Lui possiamo comprenderci nella nostra verità. Il Battista non corre rischi di autoesaltazione né di disistima, poiché la sua forza sta nell’aver capito e accettato la missione a cui Dio l’ha chiamato.
I farisei gli inviano sacerdoti e leviti per sottoporlo ad un interrogatorio, con un modo di procedere accusatorio che ritroveremo nel processo a Gesù. Le risposte di Giovanni sono tutte negative. Anzitutto dice di non essere il Cristo, sebbene non gli sia stata rivolta direttamente tale domanda, per smascherare il reale oggetto dell’indagine dei Giudei, l’identità del Messia. Negando di essere Elia e il profeta, si smarca ulteriormente da ogni pretesa messianica, poiché in quel tempo si credeva che la manifestazione del Messia dovesse essere preceduta dal ritorno di Elia o dalla venuta del profeta annunciato dal libro del Deuteronomio. Il Battista non pronuncia mai l’espressione «Io sono», che nel quarto vangelo diventa l’autorivelazione della divinità di Cristo, eco della prima rivelazione di Yhwh dinanzi a Mosè nel roveto ardente, ma dice: «Non sono»; poi dirà: «Io voce», non ‘io sono voce’.
La voce attraversa la vita di chi la ode, ma non si ferma lì perché deve risuonare altrove, dove incontra nuovi cuori disposti ad ascoltarla. La voce accetta di sopravvivere nella memoria di chi l’accoglie lo stretto necessario per suscitare una presenza altra. La voce accetta di essere ‘voce strozzata’ dal mondo, accetta di morire come il Battista, come ogni profeta, perché è Parola che smaschera la menzogna.
La rivelazione «in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete» ci mette in guardia dalla mancanza di vigilanza verso i segni della presenza di Cristo in mezzo a noi: chi ama attende e riconosce.
E Giovanni annuncia che l’Atteso va desiderato e cercato come l’umanità-sposa anela al suo Sposo. L’immagine sponsale è evocata dall’affermazione del Battista di non essere «degno di slegare il legaccio del sandalo» di Colui che annuncia, un riferimento alla cerimonia dello scalzamento, prevista nell’ambito della legge del levirato. Quando una donna rimaneva vedova senza figli, se il fratello del marito rinunciava a prenderla in moglie per garantirle una discendenza, chi nella scala giuridica occupava il posto successivo scioglieva il legaccio del sandalo del cognato che si era rifiutato e ci sputava sopra, per sottolineare che passava a lui la facoltà di mettere incinta la vedova. Giovanni sta così dicendo che non è suo il diritto di fecondare questa donna, non è lui lo sposo dell’umanità, definendosi più avanti l’amico dello Sposo.
La presenza dello Sposo è il vero motivo di una gioia intima e autentica, nella Domenica che invita il popolo di Dio a gioire per l’imminente venuta del Signore. È la gioia di una buona notizia, una presenza che sta in mezzo a noi, di cui non possiamo non dare voce, fino a diventare noi stessi la voce di Dio nel mondo, come il Battista.