Una Parola esigente ma liberante
La Legge di Mosè rappresentava per Israele una strada che partiva dal cuore di Dio e consentiva di stare alla sua presenza; era stata data per vivere l’alleanza con Lui, rispondere alla sua benevolenza, custodire l’identità del popolo. Tuttavia Gesù appariva libero nei confronti della Torah, scandalizzando gli scribi che insegnavano e i farisei che applicavano minuziosamente i precetti mosaici. Egli precisa che non è «venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» alla Legge, illuminata adesso dalle Beatitudini appena proclamate, che svelano il cuore del Figlio e radicalizzano la giustizia, orientandola all’amore e alla speranza del regno.
«Non passerà un solo iota o un solo trattino»: cos’è la più piccola lettera dell’alfabeto o un semplice segno dentro i fiumi di parole che la Bibbia ci consegna? Eppure il Maestro insegna che per essere grandi bisogna cominciare dalle cose piccole, che non vanno mai trascurate e impegnano ciascuno a trasmetterle agli altri, perché attraverso «questi minimi precetti» si impara la fedeltà a Dio e al prossimo, rispettivamente principio e termine della nuova Legge dell’amore. Nelle quattro antitesi successive, infatti, Gesù rivela il senso autentico delle prescrizioni mosaiche, che nel frattempo erano diventate un elenco di divieti che disumanizzava la persona; con la nuova e definitiva interpretazione che Cristo ne dà, esse disegnano il volto del fratello, destinatario della vera giustizia, ‘superiore’ a quella di scribi e farisei, e presuppongono un cuore rinnovato.
È proprio a partire da una interiorità visitata dalla luce delle Beatitudini che si può trasformare la visione del prossimo da mero strumento a oggetto di un amore attento ai particolari e mai grossolano. Non basta non uccidere; è necessario dominare l’ira ed evitare espressioni infamanti, perché sentimenti e parole che escono dalla nostra bocca devono edificare e svelare il desiderio del cuore di rivestire l’altro di tenerezza. Neanche «la tua offerta all’altare» è gradita a Dio se non è preceduta dalla riconciliazione col fratello, anzi i profeti hanno insegnato che il culto può trasformarsi nella più grande idolatria, se diventa un modo per sentirsi giusti davanti a Dio, distogliendo la coscienza dal dovere di giustizia verso il prossimo. È talmente urgente l’esigenza della comunione, che Gesù usa immagini severe, come quella delle guardie, della prigione, del pagamento «fino all’ultimo spicciolo» per chi si sottrae all’imperativo: «mettiti presto d’accordo con il tuo avversario». Qui non si tratta di trovare qualche stratagemma per aggirare la legge umana e trarre dei reciproci vantaggi, ma di intraprendere un «cammino con lui», ossia di concepire tutta la vita come un percorso di riconciliazione con l’altro.
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Si passa poi al caso dell’adulterio, anch’esso ricondotto da Cristo alla dimensione interiore. È nel desiderio del cuore e nella impurità dello sguardo che inizia il tradimento dell’amore, che poi sfocia nella peccaminosità dei gesti. Occorre eliminare il male alla radice, riconoscendo l’insorgere della tentazione senza nasconderla a se stessi o minimizzarla. Se è vero che la mentalità corrente tollera ormai quasi ogni forma di trasgressione, bisogna imporsi delle rinunce nel campo della sessualità, sia per salvaguardare il diritto del coniuge ad essere amato in maniera esclusiva, sia per evitare che «tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna», cioè che la persona nella sua interezza distrugga il progetto d’amore che Dio dona agli sposi, disperdendo in tal modo anche se stessa.
Gesù dichiara quindi l’indissolubilità del matrimonio, perché chi si unisce nel Signore è specchio di un amore più grande, che rimane tale se si è disposti non a prendere o lasciare la vita dell’altro a proprio piacimento, ma a consegnargli la propria vita. In un tempo in cui si è passati da un ‘amore per sempre’ ad un ‘amore finché dura’, le parole di Cristo sono un invito a nutrire l’amore del sacrificio accolto e portato insieme, altrimenti anche quello coniugale si riduce ad un amore mediocre, che prima o poi giocherà con l’altro.
Infine il ritorno alle parole. All’inizio Gesù ha parlato della Parola, adesso parla delle nostre parole. Quanto bene facciamo pronunciando quelle vere al momento giusto, ma quanto confusione e sofferenza generiamo con una parola falsa, stigmatizzata da tutta la Bibbia. Non è vero che le parole le porta via il vento; alcune entrano dentro e hanno il potere di creare o distruggere. Solo la Parola vera viene da Cristo, che è Verità, e ha il potere di edificare.
Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:
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