Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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15a Domenica del Tempo Ordinario
Riconoscere, amare e servire la vita ferita
Il desiderio di vita, quando non è stato estinto da circostanze avverse che sembrerebbero insostenibili, ci permette di elevare la mente a Dio e di mantenere uno sguardo benevolo verso i fratelli, riconoscendo nel Signore l’origine della vita e nel prossimo il nostro stesso anelito alla pienezza dell’esistenza. Chi sapientemente conserva questa duplice apertura, cammina secondo il volere di Dio; difatti la risposta del dottore della Legge, perfetta sintesi di tutta la Torah sul precetto dell’amore per Dio e per il prossimo, dimostrerebbe piena adesione a quanto chiede il Signore, preservando così la vita dall’errore o dalla mediocrità. Il problema è passare dal conoscere al fare, soprattutto quando ti trovi dinanzi ad aventi non prevedibili che ti costringono ad andare oltre le tue abitudini anche in campo etico e religioso. È quanto accade al sacerdote e al levita, che s’imbattono nella visione di uno «mezzo morto» lungo la strada «da Gerusalemme a Gerico», simbolo del cammino dell’uomo che a causa del peccato discende verso gli inferi, essendo Gerico la città distrutta e maledetta da Giosuè.
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Quando la vita si presenta in maniera diversa da come te l’aspetti, sei capace di riconoscerla, amarla e servirla? I due uomini legati al culto falliscono proprio in questi tre progressivi ma imprescindibili approcci all’esistenza: non riconoscono in quella vita violata l’offerta perfetta che il Signore gradisce più degli olocausti e dei sacrifici; non amano quanto non rientra nel recinto sacro della purità, temendo di contaminarsi con quell’uomo insanguinato; non servono chi non può servire al loro bisogno di sentirsi giusti secondo quanto hanno sempre creduto.
Possibile che tra tutti i precetti scelgono di seguire quelli che alzano muri e mettono distanze? Perché sacrificare proprio l’amore? Non sono le circostanze della vita a decidere del nostro valore, ma è la risposta agli eventi a determinare che persone siamo. Si tratta di capire se vogliamo ‘passare oltre’ o ‘passare accanto’. Passa oltre chi non legge nel dolore altrui un appello per sé, una chiamata ad arrestare la propria marcia che rischia di diventare cammino verso la morte, poiché non ha saputo riconoscere in quell’incontro l’appuntamento di vita che Dio gli ha dato. E tutto finisce lì, perché dopo inizia la banalità e l’autoreferenzialità. Invece chi passa accanto vive un nuovo inizio. I commentatori hanno visto nella serie di azioni che il Samaritano compie verso l’uomo ferito il Decalogo dell’amore; sono dieci verbi che sanciscono una volta per tutte che la Legge o è una via per vivere il precetto dell’amore o è una barriera verso Dio e i fratelli. Il Samaritano dimostra di avere compreso la verità profonda della Legge di Dio molto più del sacerdote e del levita semplicemente perché è stato umano, «ebbe compassione».
È un intervento distribuito in due giorni, in quanto la cura riservata al bisognoso non può essere estemporanea, ma richiede il dispiegarsi continuo di gesti d’amore che non stancano chi ne è rimasto privo, come un neonato che non si stancherebbe mai del latte e dell’amore succhiati dal seno della mamma. Tra questi movimenti, due indicano la piena maturità dell’amore: caricare l’uomo sulla cavalcatura e affidarlo all’albergatore. Il Samaritano si è fatto carico del fratello, lo ha portato su di sé fino al punto che il confine tra i due non è stato più tracciabile, giungendo a una piena identificazione con lui. Quanto fa bene sapere che per gli altri non siamo un peso con le nostre difficoltà, ma che entriamo a far parte della loro vita per sempre! Ancora, il benefattore ha saputo coinvolgere un terzo nella sua generosità, insegnandoci che aiutare il prossimo richiede la sapienza di farsi coadiuvare da chi può completare il servizio da noi reso, rimanendo così umili e non pretendendo l’esclusiva di intervento sulla vita altrui.
Gesù esce poi dal racconto parabolico e ribalta la domanda iniziale: per amare Dio e il prossimo non bisogna chiedersi «chi è mio prossimo?», ma ‘di chi e come devo farmi prossimo?’. La risposta è esplicita: di chiunque e attraverso la compassione, l’unico modo «per ereditare la vita eterna». Tutto può venir meno, anche la salute e gli affetti, ma finché ci sarà qualcuno da riconoscere, amare e servire come un inviato del Signore per la tua salvezza, tu sarai al cuore della vita. E non importa se prima hai sbagliato tutto, così come non importa che il Samaritano sia uno scomunicato per Israele; basta un moto di umanità perché la vita assuma lo spessore e la bellezza del divino.