Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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14a Domenica del Tempo Ordinario
Annunciatori del regno per la gioia dell’uomo
La fede non è solo consolante abbraccio per l’anima, rifugio sicuro dai pericoli di questo mondo; essa è cammino in avanti, sete di incontro con l’altro, urgenza di suscitare domande. Donare la pace, guarire i malati e annunciare il regno sono i compiti del missionario, che non agisce mai da solo: i 72 sono mandati a due a due perché attraverso il loro volersi bene il mondo comprenda che Dio è amore. Certo, secondo le nostre logiche efficentiste l’invio in coppia sembrerebbe uno spreco di ‘risorse umane’, poiché procedendo individualmente essi raggiungerebbero il doppio dei luoghi da evangelizzare. Tuttavia ciò che fa la differenza è la qualità della vita del missionario.
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Tempo fa ha riscosso molto successo sul web la fotografia di un anziano contadino che vendeva nespole vestito distintamente in giacca senza fare nulla per attirare l’attenzione. Stare lì era un modo per perpetuare l’amore per la sua terra… Forse abbiamo un po’ smarrito l’autorevolezza della nostra autenticità e dignità. Se «la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai» è perché forse sono pochi gli operai autentici, coloro che sanno vedere tutto il buono che c’è nel campo del mondo senza indugiare in sterili lamentele e che, ponendosi «davanti» a Cristo, non trascinano dietro di sé altri equipaggiamenti se non la fiducia che Egli ha loro accordato.
La dotazione del missionario consta infatti della mitezza degli «agnelli in mezzo ai lupi», dell’essenzialità del povero e della solerzia di chi non si ferma a «salutare nessuno lungo la strada». Le suddette caratteristiche non possono che coesistere e sostenersi a vicenda, perché soltanto il mite, che accoglie senza sconvolgimenti persino la cattiveria altrui, può infondere nel prossimo fiducia contro ogni timore di prevaricazioni o inganni; essendo così povero perché privo di secondi fini e facendo della capacità di vivere con umanità i rapporti l’unica ricchezza, il discepolo può dedicarsi senza indugio all’incarico affidatogli, al quale consacra la propria vita. E poiché si tratta di una vita consegnata al Pastore, che sempre guida la missione degli agnelli, ciò evita la tentazione di travestirsi da lupi, in cui si cadrebbe se si perdesse la certezza di essere accompagnati dal Pastore.
Da qui anche la necessità della preghiera, sia perché non manchino collaboratori del vangelo, sia perché essi mantengano intatte le caratteristiche tracciate da Colui che li invia. Mentre Gesù stigmatizza i notabili del tempo che divorano le case delle vedove, il missionario entra nella casa di chi sa farsi «figlio della pace» ed ha un cuore mite, povero e solerte come il suo; egli eviterà accuratamente le case che possono traviarlo, indebolire la sua passione per il regno, indurlo a preferire la compagnia dei ricchi e dei compiacenti.
La missione presenta anche una dimensione pubblica, vuole propagarsi non nei centri di potere ma nelle piazze, lì dove avviene lo scambio di parole e di affari, dove si decide se dare priorità all’interesse di parte o al bene comune. Se la Chiesa rinuncia alla dottrina sociale quale aspetto fondante della sua azione evangelizzante, abbiamo ridotto l’annuncio a una forma di religione intimistica e incapace di intervenire nelle strutture di peccato di questo mondo per favorire la solidarietà e la promozione umana.
Quando tale imprescindibile impegno dei discepoli viene impedito o mistificato, essi devono allontanarsi con la medesima decisione con cui si sono accostati a quel consesso umano, scuotendo la polvere dai piedi, ossia segnalando una distanza tra lo spazio sacro e quello profano, che si possono incontrare solo nella verità e nel mutuo riconoscimento. La minaccia della punizione in conseguenza del rifiuto viene comunque mitigata dall’insistenza sulla vicinanza del regno, motivo di speranza per tutti. Siamo noi che chiudiamo le strade: Dio lascia sempre una piccola via da percorrere, anche dopo l’ennesimo immotivato rigetto del suo dono.
E se fosse il missionario a vivere il rifiuto, l’infedeltà al suo compito, la stanchezza di portare avanti un annuncio che sembra risuonare nel vuoto? La tentazione può annidarsi nel cuore del discepolo, che rimane una persona bisognosa di felicità, laddove la percezione che il vangelo incontri più ostilità che accoglienza può generare una profonda infelicità in chi ha consacrato l’intera vita al suo servizio. In questo caso, bisogna ricordarsi che, anche quando nasce dal successo della missione, la gioia del discepolo punta sempre al cielo: «rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».