“Erano le quattro del pomeriggio”, come in questo istante in cui tutto di noi incontra il suo compimento in Gesù. Rimaniamo nella sua dimora, la Chiesa dove ci accoglie, in cui ogni ora è memoriale della sua Pasqua, perché gli stipiti sono imporporati dal suo sangue che perdona, ricrea e nutre. E ci spinge a donarci per annunciare a tutti di aver trovato il Messia che dona il nome nuovo trasformando chi lo accoglie in una creazione nuova.
SOLO NELLA CHIESA DOVE ABITA L’AGNELLO DI DIO TROVIAMO L’AMORE CHE CERCHIAMO E NEL QUALE POSSIAMO RIMANERE PER L’ETERNITÀ
La voce di Giovanni custodisce le parole della Chiesa, la cui missione è riassunta in queste semplici parole: “Ecco l’Agnello di Dio”. Nel suo sguardo fisso su Gesù che passa è rivelato il suo cuore innamorato del suo Sposo che, instancabilmente, indica al mondo. La Chiesa, come Giovanni, non cerca adepti, giovani desiderosi d’impegnarsi, non propone ideali perché Dio non si è fatto “idea” ma carne, per questo non sbandiera sogni e utopie.
Soprattutto, non chiede nulla. Conosce che cosa attende davvero il cuore di ogni uomo. In ogni uomo vi è, come nei due discepoli di Giovanni, un cuore pronto ad ardere nell’ascoltare il suo annuncio. Erano Ebrei, sapevano il senso di quelle parole: sapevano che a Pasqua era un agnello ad essere sacrificato per i peccati, che il suo sangue sugli stipiti delle loro case aveva significato salvezza, libertà, terra, vita. Sentirono parlare “così” Giovanni e intuirono che in quell’Uomo che s’avvicinava v’era tutto ciò che il loro cuore desiderava, che Israele aspettava, che il mondo non osava sperare.
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Sì, Gesù è il compimento del desiderio d’ogni uomo e di ogni storia. Della tua e della mia, che sono come infilate in un tunnel dove, a momenti, le luci compaiono e sembrano dare un po’ di sollievo; ma è questione di attimi, si ripiomba presto nell’oscurità. E’ quest’intermittenza che ci fa soffrire, che ci intristisce e ci vaccina da noi stessi e dagli altri, la precarietà figlia della nostra debolezza di povere creature. Corriamo ansimando dentro questo tunnel e non riusciamo a vederne la fine. Vorremmo scoprire i nostri peccati e quelli degli altri, strappati via, resecati alla radice. Vorremmo che non ci fossero più debolezze.
E invece Gesù cammina dinanzi a noi nel tunnel, e anche oggi si volta, ci cerca con il suo sguardo, e ci depone una domanda nel cuore: “Che cercate?”. Una casa cerchiamo Signore, un riposo, essere, nonostante noi stessi. Cerchiamo consistenza per la nostra vita, qualcosa, Qualcuno, che segni il nostro cammino con la certezza di essere amati davvero. “Maestro dove abiti?”, dov’è che dimora il perdono, dov’è che possiamo immergerci nella misericordia? La tua casa Signore, la tua famiglia, il tuo luogo, questo cerchiamo.
Seguirti, stare con te e vedere il tuo amore farsi carne nella nostra vita, null’altro. Ma questo significa scoprire che Gesù ci è più familiare di nostra madre, che ci è più prossimo delle nostre stesse carni. Restare accanto a Lui e scoprire che il peccato del mondo è in noi, ma è stato assorbito e disintegrato in Lui che, per accoglierci nella sua intimità, si è fatto intimo a noi sino a prendere dimora nella nostra carne; per questo è l’Agnello che prende e toglie dal nostro cuore il veleno che ci paralizza.
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Il suo sangue imporpora gli stipiti della Chiesa nella quale ci accoglie, dove ogni ora diventa un memoriale del suo amore vergato in noi per l’eternità: “Erano le quattro del pomeriggio” notavano i due discepoli, perché in quell’istante tutto di loro ha incontrato il suo destino; perché da quell’istante nulla è stato più lo stesso, e ogni ora è diventata un frammento prezioso di una storia di salvezza e di pace. Coraggio allora, entriamo anche oggi nel tunnel che si apre dinanzi a noi in famiglia, al lavoro, a scuola.
La luce del suo amore che risplende nella Parola che ci annuncia la Chiesa ci guiderà insegnandoci a non tremare di fronte alle difficoltà e alla precarietà spirituale; la sua misericordia offerta nei sacramenti ci ammaestrerà a non dar troppo peso alle nostre debolezze, perché quelle di ieri già non ci appartengono più, mentre invece il suo amore che le ha colmate non passerà.
E raggiungerà attraverso di noi ogni persona che ci è cara, i fratelli e poi gli sconosciuti, perfino i nemici. Perché in tutti, come in noi, si nasconde il nome nuovo che solo Gesù può donare nel potere di risuscitare i peccatori in una vita nuova. Per questo l’amore incontrato e sperimentato nella Chiesa si trasforma sempre nello zelo che spinge i suoi figli nella missione, perché attraverso di loro Gesù possa fissare il suo sguardo di misericordia su ogni uomo.