Gesù ci promette di bere al suo calice, per gustare, al culmine del dolore, la vittoriosa libertà dell’amore che si fa anticipo del Regno. Ma si beve all’ultimo posto, quello del Primogenito dei risorti, dove si compie il desiderio di essere i primi divenendo primizie del Cielo.
NON TEMIAMO DI PRENDERE IL CALICE COLMO DI VIRUS, PAURA E DOLORE CHE CRISTO HA GIA’ BEVUTO: LO HA TRASFORMATO PER NOI NEL CALICE DELLA VITTORIA SULLA MORTE E IL PECCATO
Ogni giorno, come una risacca, riemerge in noi il medesimo desiderio, la solita concupiscenza: “alla destra e alla sinistra” del potere, per dirigere la vita e sfuggire alla morte. E ancor più mentre la paura da una parte e l’insopportabile privazione dell’autonomia ci strattonano gettandoci nella precarietà.
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Come Giacomo e Giovanni siamo figli della carne: nostra madre, come ogni madre, aspira ai primi posti, illudendosi di sfuggire così al dolore e al fallimento. Concepiti nel peccato “non sappiamo cosa chiedere” a Dio e alla vita, sempre in cerca di fatti ed emozioni nuove, di qualcosa che ci colmi che neanche conosciamo. Facciamo i capricci e basta, come i bambini.
E, ciechi sulla nostra debolezza, ci “sdegniamo” delle pretese altrui. Ma la vita ogni giorno ci porta “a Gerusalemme”, e la Quaresima ce lo ricorda. La storia ci presenta un “calice” attraverso le difficoltà, i problemi e i fallimenti. E quest’anno attraverso il coronavirus e tutto ciò che esso significa nella nostra vita quotidiana. In questo tempo la Chiesa ci invita di nuovo a prendere il calice che Cristo ci porge.
E’ il suo, perché tutti siamo stati riscattati e comprati al caro prezzo del sangue di Cristo. Non potremo sperimentare la Pasqua senza accostarci al calice del Signore, senza berne sino in fondo per gustare il suo amore. E’ vero, c’è del veleno, il demonio non ha mentito; c’è il peccato, e la morte che ne consegue, di cui anche il virus, come segmento impazzito della natura, è segno doloroso.
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Ma satana tenta di nasconderci l’altra parte della realtà, la verità più importante. Proprio il vino che vi è dentro è il sangue di Cristo, spremuto e pigiato nel tino della sua Croce. E’ più forte del peccato e della morte, ha assorbito e reso innocuo il veleno.
Bere oggi al calice di Cristo significa, infatti, partecipare della Nuova Alleanza, attingere alla Coppa che chiude, come un sigillo, il Seder della notte di Pasqua, per uscire con Lui nella notte dove si è infilato Giuda per offrirsi proprio a lui. In quel giardino Gesù ci ha mostrato la libertà; nessuno più libero di Lui, libero di donarsi spontaneamente a chi lo tradiva perché certo dell’amore del Padre.
Convertirci significa quindi bere al calice di Cristo per gustare, misteriosamente, proprio al culmine del dolore, la libertà che si fa pienezza e anticipo della terra promessa. Non temere allora per qualche brivido, il coronavirus e la precarietà, neanche per il dolore che ti ha procurato l’altro. Esci con Cristo da te stesso e consegnati a Giuda, al fratello che mentre ti baciava ti ha tradito.
Proprio lì sperimenterai la Pasqua del tuo matrimonio e di ogni relazione, la resurrezione dell’amore autentico che si incarna nel “servizio” gratuito e disinteressato. Solo entrando nella storia concreta di ogni giorno si può sperimentare la libertà conquistata da Cristo quando ha superato la barriera della morte. E lì, all’ultimo posto, dietro a tutti l’orizzonte si allarga e diveniamo “i primi”, ovvero le “primizie” di coloro che hanno vinto la morte.
L’ultimo posto, infatti, è l’unico che compie il naturale desiderio di essere i primi: primi come Gesù, il Primogenito, guardando tutto dal basso verso l’alto, capovolgendo criteri e gerarchie, nella follia di un conteggio che fa saltare la matematica dell’orgoglio.
Il Padre “celeste” guarda tutto dall’alto abbracciando il senso pieno di ogni esistenza, dal concepimento alla morte, dove ogni particolare è incastonato nel suo progetto totale, proprio perché, nel suo Figlio, ha deposto lo sguardo sull’ultimo posto della terra, il più distante dal Cielo. In esso, infatti, si comincia a contare dall’ultimo posto, quello del suo Re e Signore: così “tra di voi” nella Chiesa, nelle famiglie cristiane, ovunque vi sia un fratello del Primo tra i risorti dalla morte.
Coraggio allora, il Signore “ci chiama a sé” e ci annuncia che “berremo al suo calice”. Non importa se non sappiamo “il posto” che ci sarà assegnato nel Regno dei Cieli: lì la carne non saprà distinguere un posto da un altro, perché “Cristo sarà tutto in tutti”. Sulla terra, l’ultimo posto che ha preso il Signore, ci ammaestra e prepara a quello che occuperemo in Cielo: dove siamo con Cristo è già il Paradiso; piccoli con il più piccolo per essere i più grandi con il più grande nell’amore.
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Don Antonello
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