Come per Stefano la resurrezione di Cristo squarcia i cieli e attira il nostro sguardo sull’anticipo del Paradiso che è la vita nuova nel suo amore. Al contemplarlo la sua luce si riflette in noi rivelando la bellezza di cui ci ha rivestito e con cui ha redento la nostra vita.
CHIAMATI A RISPLENDERE NEL MONDO CON IL VOLTO DI UN ANGELO CHE TESTIMONIA L’AMORE INFINITO DI DIO
Oggi, il primo giorno di vita del Signore, ci consegna il primo frutto della sua venuta nella carne. “Nel bambino nella stalla di Betlemme, si puòtoccare Dio e accarezzarlo” (Benedetto XVI). Ma in quel Bambino, Dio può essere anche ferito, lapidato, ucciso.
Ha scelto, infatti, di entrare nel mondo dalla porta di servizio. E’ stato come se Dio avesse voluto dimenticare d’essere Dio. Non ha difeso gelosamente la sua dignità, si è confuso tra le carni sporche di peccato, celando l’immacolatezza della sua per puro, unico e incredibile amore.
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Se gli uomini avevano reso semplice il copione al demonio, Dio lo ha reso ancor più facile per spingerlo alla disfatta: si è fatto il più piccolo, perché il maligno lo potesse afferrare e uccidere più facilmente, e nella morte del Figlio trovasse la sua morte.
Così ha cercato il limite estremo della libertà dell’uomo, sul confine tra la comunione con il Creatore e il nulla, dove tutti abbiamo toccato e mangiato del frutto che ci era stato precluso.
Attraverso le mani pure e sante di Maria, Dio sì è fatto deporre su quel fronte insanguinato, facendosi carne da toccare come quel frutto. Nella grotta di Betlemme fu un nuovo ed eterno Principio: una mangiatoia, un Bambino e una Madre, come nell’Eden furono un albero, un frutto e una donna. A Betlemme fu toccare, mangiare e nascere, per rovesciare il toccare, mangiare e morire che ci condannò tutti in Adamo.
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Il Mistero del Natale, infatti, come raccontano le icone dell’Oriente, si svela nel Mistero di Pasqua. Il segno indicato dagli angeli era un bimbo adagiato nella mangiatoia come in un sepolcro, perché la vita fosse seminata nella morte.
Maria, la Nuova Eva madre di ogni vivente, è l’immagine della Chiesa che depone su ogni centimetro della terra il suo Bambino indifeso perché sia toccato e mangiato, offrendo così a tutti un’altra possibilità: come abbiamo allungato la mano per prendere il frutto amaro del peccato, ora possiamo distenderla per accogliere in dono il frutto dolce del perdono.
Così si fondono le notti di Natale e di Pasqua, le notti del Salvatore. Identiche a quella che ha ingoiato Stefano, deposto con Cristo nella mangiatoia offerta al mondo. Per questo era “diacono”, ovvero immagine compiuta del Servo di Yahwè; nella sua carne era nascosto un frammento della passione di Gesù, perché essa giungesse ai peccatori, reale, visibile, toccabile, afferrabile.
Sotto la sassaiola che lo uccideva, Stefano protomartire diveniva il primo sacramento di Cristo, il “segno” offerto al mondo per salvarsi, come la notte di Natale, come la mattina di Pasqua. Stefano, il primo angelo della misericordia, dal quel martirio come un letto d’amore che lo univa a Cristo, risplendeva della luce celeste, perché un suo raggio filtrasse come un’alba di speranza nella notte della disperazione.
Verità e Misericordia si abbracciavano in lui, che annunciava parole di fuoco in un volto d’angelo. Come la moltitudine immensa dei martiri che da duemila anni incarnano il Bambino sepolto in una mangiatoia perché ogni adulto sepolto nella morte possa ridiventare bambino ed entrare nel Paradiso. Come accadde a San Paolo, complice del martirio di Stefano, divenuto martire come lui.Uno dopo l’altro, scorrono oggi i volti d’angelo dei testimoni di Cristo: i loro occhi planavano direttamente dal Cielo per abbracciare i propri assassini con le parole identiche a quelle di Gesù e di Stefano: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Guardate bene Stefano, lasciatevi attirare nel suo sguardo di pace soprannaturale.
Era già nei Cieli aperti per lui, e da lì, non dal terrore per la morte, che fissava gli uomini che lo stavano uccidendo. Per questo li vedeva già salvi entrare nello stesso Cielo con le vesti rese bianche nel sangue del suo Signore che stava per essere versato nel suo.
Perché il mondo ha bisogno di agnellini così, che si lascino “consegnare ai tribunali” delle sue ideologie e dei suoi pensieri; e “flagellare” dai giudizi, dalle gelosie, dai rancori e dalle invidie.
Agnellini “odiati da tutti a causa del Nome” nel quale sono rinati a vita nuova, perché in tutti – marito o moglie, padre o madre, figlio o fratello, amico o fidanzata, ricchi o poveri, padroni o colleghi, potenti di turno o intellettuali – scorre il veleno del serpente antico che odia Cristo.
Esso lo cerca avido nei cristiani, e non c’è nulla che possa evitare neanche l’“insorgere” della propria carne contro se stessa. Se un padre è cristiano e il figlio ha scelto d’essere pagano, questi lo “farà morire”. Magari con una vita dissoluta con cui umiliarlo pubblicamente.
E cosa farà quel padre? Cosa farà una moglie tradita da suo marito? Cosa farà un cristiano che ha subito un’ingiustizia? Cosa farà la Chiesa di fronte al mondo che attacca la vita, la famiglia, e che la vuole togliere di mezzo?
Si lascerà deporre nella mangiatoia e si farà mangiare. Seguirà le orme del suo Signore, il “Messia, leone per vincere, che si è fatto agnello per soffrire” (S. Vittorino di Pettau).
Per questo non c’è da “preoccuparci” se la storia ci “consegna” ogni giorno “nelle mani” del mondo. E’ per salvarlo, annunciando il Vangelo della Verità come ha fatto Stefano, e offrendo noi stessi per “dare testimonianza” a Cristo.
Per farlo, dobbiamo “guardarci dagli uomini” ma non smettere di guardarli con gli occhi di Cristo perché essi, fissando i cristiani, vedano il loro volto “come quello di un angelo”, di un messaggero del Cielo. Ciò significa “guardarsi” dai compromessi e i legami carnali, per essere liberi di amare nella Verità ogni uomo.
E’ difficile, anzi impossibile. Ma come è accaduto in Maria, nella Chiesa, dove impariamo ad essere angeli che contemplano il Cielo per rifletterlo in terra, scende anche su di noi “lo Spirito del Padre nostro” che “parlerà” in noi: nel nostro sguardo, nelle nostre parole, nei gemiti di dolore sotto la pioggia dei peccati del mondo.
E dirà: “Padre perdonali, non imputare loro questo peccato”, sono qui con offrendomi con il tuo Figlio, perché coloro che mi stanno uccidendo contemplino per sempre il tuo volto. Come accade a me ora, perché è quando si muore a se stessi che si vede il Cielo aperto.