MEDITAZIONE SUL SABATO SANTO
Immaginiamo per un momento che cosa sia accaduto quel giorno. Un tumulto si impossessa di quel mattino di festa, quel Galileo che parla bene da commuovere, che fa miracoli da far pensare al Messia, ora รจ trascinato fuori della cittร come un impostore e un provocatore, lรฌ dove si giustiziano i delinquenti. Una morte atroce e poi un rantolo della terra nel rantolo delle carni, segni sconvolgenti, e poi piรน nulla, il silenzio, e un corpo deposto in una tomba.
Eโ qui che oggi desideriamo fermarci, nellโultimo capitolo della Passione di Gesรน. Ci siamo genuflessi allโestremo sospiro di Gesรน, abbiamo seguito la traiettoria della lancia vergare il suo fianco, abbiamo desiderato quellโacqua e quel sangue, abbiamo pianto con Maria abbracciando il suo corpo esanime, ed รจ stata lโultima emozione.
Ora tutto tace. Gesรน รจ disteso sul marmo gelido del sepolcro, riposa nellโoscuritร , non vede nessuno, nessuno lo vede; una pietra lo separa dalla vita, da questa vita nostra, dai sogni e dalle speranze, dai pensieri, dalle famiglie, dal lavoro, anche dai nostri mal di denti. Sino a qualche istante prima si era appassionato per le vicende della nostra storia, e tutti noi, come seguendo il filo di un racconto incalzante, ci eravamo appassionati a Lui, afferrati da quellโamore cosรฌ sconvolgente; sino a un istante fa ci eravamo sentiti amati, avevamo provato dolore per Lui e per i nostri peccati, la sua lancia aveva dilaniato anche le nostre coscienze; abbiamo pianto, commossi da tanto dolore e tanto male.
E ci eravamo visti, protagonisti negativi, nel fluire esagitato di quegli eventi malvagi, come nella nostra storia di tutti i giorni, disseminata degli stessi frammenti raccolti nelle ore di Passione di Gesรน. Abbiamo accettato la nostra dura realtร di peccato, ci รจ sorto dentro il desiderio dโesser perdonati, una fitta nel petto, la compunzione madre della conversione.
Perรฒ ora abbiamo fretta che sia domenica, che sia resurrezione. Gli eroi vincono sempre, anche quando perdono. E vogliamo che sia vittoria, vittoria subito. E scivoliamo, veloci e distratti, sul sabato santo. In fondo sappiamo che dietro lโangolo di quella passione cโรจ il lieto fine. Eโ un film che abbiamo visto migliaia di volte, e ogni volta ci ha rapito, scuotendoci il cuore e rigandoci il volto di lacrime e commozione; ma lโaver visto lโepilogo, ci priva di qualcosa, ci protegge dallo scendere davvero in fondo al baratro del non essere.
Sembra paradossale, ma sapere che tanto poi Lui risorgerร ci immunizza dal sabato santo. Conoscere il risultato finale della partita, anche se in bilico sino allโultimo secondo, ci anestetizza inconsapevolmente, e fa della tomba una sala dโaspetto dโaeroporto, tappa anonima e obbligata di ogni viaggio: sappiamo che cosa abbiamo lasciato, conosciamo la meta, quella sala รจ nientโaltro che un istante da sfogliare riviste o da approfittare per dormire un pochino.
Ma, tra il dolore crocifisso e la gioia risorta, cโรจ il nulla del sabato santo. Eโ vero che le chiese in questo giorno sono disadorne; รจ vero che รจ lโunico giorno dellโanno in cui non si celebrano messe. Eโ vero che il tabernacolo รจ desolatamente vuoto. E se Lui non cโรจ neanche la chiesa ha senso โ dove pregare, a chi pregare se tutto รจ spoglio e vuoto? โ e infatti, al passare rapido delle ore mattutine, preti, sacrestani e fedeli sono di nuovo indaffarati a farla bella e splendente per accogliere il colpo di scena che ci ridia presto quello che abbiamo perso, che ci rassicuri e ci tolga da questo impaccio da sabato santo.
Il nulla ci disturba, รจ ciรฒ che piรน ci inquieta; il silenzio vero, lโoscura notte che soffoca lo sguardo ci dilania. Proviamo un istante a chiudere gli occhi, e sprofondare nel silenzio di parole e sentimenti. Eโ la morte! Tutto il resto della Passione di Gesรน ci รจ familiare, lo catturiamo con i sensi, possiamo gestirlo tra pensieri, sentimenti, risposte; anche il male, in fondo, si muove e ci muove, la Via Crucis รจ pur sempre un cammino e ci sembra dโessere vivi nonostante tutto, ma alla XIV stazione siamo stanchi di tanto dolore, e, mentre vi giungiamo, abbiamo giร in mano le chiavi della macchina per tornare a casa.
Quel corpo esanime, il freddo emaciato di quel volto, e quel buio senzโaria, รจ la claustrofobia del cuore e dellโanima, ed รจ insopportabile. Eludere la tomba, sgusciarvi frettolosamente per riemergere quanto prima alla luce di Pasqua sarebbe tradire Cristo, e tradire irrimediabilmente noi stessi.
Questo giorno fatto di sepolcro, questi tre giorni secondo il cuore della fede, sono essenziali, decisivi quanto asfissianti, e non vi resistiamo, lโapnea della tomba ci spacca i polmoni, cerchiamo la luce e lโaria per vedere e respirare: la morte non ci puรฒ appartenere, sembra fatta solo per essere sfuggita. Ma la morte esiste. Esiste oggi, perchรฉ รจ il capolinea di ogni cosa, relazione, giornata. Non puรฒ essere diversamente, rigettarla significherebbe fare di Cristo e della sua vicenda una caricatura, peggio, unโimpostura.
Nulla รจ stato creato per la morte, nelle creature non cโรจ veleno di morte ci insegna la Sapienza della Scrittura; ma a causa di satana il nemico, la morte ha preso il suo posto nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. E non appartengono a lui tante, tantissime cose di noi? Non portiamo le sue tossine sin dal seno materno? Non le porta il mondo a lui sottomesso, e la natura che geme in attesa di liberazione?
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Senza ipocrisie e illusioni a buon mercato, la morte รจ lโamaro in cui รจ immersa la vita; si muore soli, esattamente come si nasce, quando ti tagliano quel cordone e devi vedertela da te. Non vi sono biberon per dissetare lโanima, non esistono flebo per nutrire lo spirito: la porta della vita รจ identica a quella della morte, stretta, un abito su misura, e chissร quando il sarto ha preso le tue misure, quelle di oggi, e di ieri e di domani, e nessun altro che te puรฒ varcare quella soglia.
Nel Mistero Pasquale non cโรจ fretta. La morte scende realmente a prendere possesso di Gesรน, non si รจ trattato di una visita lampo, di un raid aereo. No, Gesรน รจ stato tre lunghi giorni in quellโanfratto di solitudine. Tre giorni, spazio ricorrente nella Scrittura, anello misterioso che lega il tempo della sofferenza alla manifestazione prodigiosa di Dio, preludio necessario al suo intervento salvifico. Tre giorni in compagnia della morte. I tre giorni piรน importanti. Quei miracoli, quelle parole, quelle torture, quella Croce, senza il sepolcro dal quale destarsi vittorioso, non ci avrebbero salvato. Sarebbe stato un amore sino al limite, non un amore sino alla fine.
Invece Gesรน, sin dalla nascita รจ stato come risucchiato da quella fenditura nella Roccia, dal sepolcro di Giuseppe. Lรฌ doveva scendere, lรฌ era la fine del suo amore sino alla fine; quellโultimo respiro infondeva a tutto il compimento. Un alito debole, impercettibile, e dentro tutta la vita di Dio, come una benedizione che scendeva, si adagiava umile, invisibile: quel โTutto รจ compiuto!โ apriva il cammino al suo corpo senza vita, pervadeva quella tomba preparandola ad accogliere quella morte unica e santa. Un refolo divino interdetto allโocchio furbo dellโuomo; un mistero di vita che esplode nella morte, nessuna scienza potrร mai spingere quel bottone ad innescarlo. ร sceso lรฌ, in quel sepolcro, il gamete di Dio, come nel seno di una donna, e ogni tomba, da quellโistante, sโรจ fatta Sposa dellโAltissimo.
Il Figlio di Dio, uguale a Dio, Dio in Persona, doveva donarsi senza riserve a colei che tutti ci imprigiona; doveva passare da lei, la morte, per giungere a noi, suoi schiavi. Doveva immergersi nella nostra realtร perchรฉ ci accorgessimo di Lui accorgendoci della morte che portiamo dentro; doveva sposarci in quel sepolcro per riportarci nel Paradiso.
Il sepolcro che oggi contempliamo, riflesso della nostra vita, donata per essere giardino e vissuta come un deserto. Ma รจ proprio lรฌ, come il chicco caduto in terra di cui nessuno si accorge, che รจ deposta la vita. La sterilitร diviene feconditร , lโimpotenza รจ trasformata in potere senza barriere, la morte si volge in seno benedetto di vita. Il sepolcro nello scrigno della letizia che non ha fine. Quei tre giorni, lunghi, amari, oscuri e dolorosi, quei tre giorni nei quali la vita รจ sottratta e sembra non esservi piรน speranza, quei tre giorni sono i piรน fecondi.
Nessuno sapeva quello che stava accadendo dietro quella pietra, nessuno, forse neanche noi stessi, sa quale mistero inaudito si stia compiendo in noi. Ora, esattamente in questa situazione concreta, che forse durerร ancora molto, il tempo necessario e perfetto, forse sino allโultimo nostro respiro. Nessuno poteva immaginare che in quel sepolcro nella sperduta terra di Giudea, in un giorno come tutti gli altri, per il contadino egiziano, per la prostituta romana, per il navigatore fenicio di molti secoli prima, per il derelitto che vaga nella metropoli del terzo millennio, per ciascuno di noi, in quel sepolcro si giocava la salvezza, la felicitร eterna.
Lโevento decisivo della storia si consumava nel chiuso di un sepolcro, lontano anni luce dai riflettori dei media, dalla gloria mondana, come lontano dalla frenesia quotidiana in cui scorre la vita di tutti. Mentre il mondo prima, durante e dopo quei tre giorni di sepolcro, ha continuato a fare le stesse identiche cose, in quella gola di morte, Lui vinceva proprio la morte e ogni peccato. Mentre gli occhi vedevano un sepolcro e una pietra a sigillarlo, Lui ci ridava la vita.
Eโ questo il cuore di questi giorni, รจ qui che รจ seminata la Pasqua. Nel suo sepolcro, che รจ il nostro. La vita che oggi ci รจ data, questโapnea priva dโaria e pace e felicitร , questi tre giorni che sembrano non passare mai, sono giร la Pasqua, indispensabile passaggio alla pienezza della vita. Santa solitudine, benedetta angoscia, beata sofferenza del tempo fecondo che prepara la vita eterna. Assorbiti oggi nel fallimento di Gesรน, uniti alla sua morte, soli con Lui e invisibili per il mondo, si compie in noi pienamente la vita che ci รจ donata. Non manca nulla alla nostra Pasqua, a questโoggi che รจ giร Pasqua.
Occorre solo restare, pazienti, nel sepolcro. Abbandonati allโabbandono di Dio, il paradosso che ci ha redenti. Con Cristo consegnare tutto, senza riserve, lasciare che il Padre si prenda tutto, ma proprio tutto, che ci faccia morire su una Croce, che ci deponga in un sepolcro, che ci chiuda nel buio del suo abbandono, della sua assenza, alla solitudine totale. Come ha fatto con suo Figlio.
E lรฌ, in quel nulla che ti crolla addosso come una pietra, scoprire il volto sconosciuto di Dio, quello sguardo che nessuno ha mai potuto vedere scolpito sul volto di quel suo Figlio crocifisso: lo sguardo di Gesรน rivolto al Padre nellโultimo, decisivo abbandono, consegna ciascuno di noi al perdono che รจ lโamore piรน grande, che fa di ogni lontananza la prossimitร piรน intima, come la luce della Pasqua che si fa strada nel duro spessore della roccia.
Sieda costui solitario e resti in silenzio,
poichรฉ egli glielo ha imposto;
cacci nella polvere la bocca,
forse cโรจ ancora speranza;
porga a chi lo percuote la sua guancia,
si sazi di umiliazioni.
Poichรฉ il Signore non rigetta maiโฆ
Ma, se affligge, avrร anche pietร
secondo la sua grande misericordia.
(Lam. 3,28-32)
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