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don Antonello Iapicca – Vangelo del giorno – 18 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 3, 7-12

Per guarire e vivere da figli di Dio gettando la vita per amore di Cristo, del Vangelo e di ogni persona, occorre gettare noi stessi su di Lui e toccarlo con la fede, appoggiarci cioè sul suo amore. E ci gettiamo su di Lui pregando incessantemente Gesù che abbia pietà di noi.

GETTIAMOCI SU CRISTO CHE CI GUARISCE NELLA BARCA DELLA COMUNITA’ PER DIVENIRE ANACORETI OFFERTI PER IL MONDO

Sospinto dalle trame ordite contro di lui, Gesù si ritira presso il mare, segno misterioso di precarietà e morte. Scende cioè sul confine pericoloso sul quale viviamo attirandoci a Lui per incontrarci e salvarci. Ma per seguirLo occorre innanzitutto ascoltare la Buona Notizia che annuncia “ciò che Gesù fa” per gli uomini; quindi, come Abramo, uscire dalla terra delle proprie certezze e sicurezze per seguire le sue orme sul cammino della fede che conduce al suo “ritiro”.

Solo qui possiamo “toccarlo”, immagine plastica di un rapporto intimo nell’esperienza del compimento dell’annuncio ascoltato. Essa è offerta nella “barchetta” (così l’originale) dove Gesù è con gli apostoli, immagine della Chiesa e della sua “carena”, il legno della Croce dove Lui attira tutti gli uomini.

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Nella solitudine feconda che annunciava quella del Golgota infatti, l’“anacoresi” secondo l’originale greco anachórein, Gesù attirava i pagani che, dopo un cammino di sequela che aveva maturato in loro la fede adulta, potevano abbandonare l’uomo vecchio malato, e “gettarsi su Gesù” per essere guariti e rinascere a una vita nuova.

Guarire, “terapeo”, significa letteralmente rispettare, venerare: Gesù ha inaugurato la “terapia” autentica perché è l’unico che ci rispetta tutti così come siamo, con i tempi e la libertà del cammino di ciascuno, “venerando” sempre e comunque l’immagine divina scolpita in noi anche se deturpata dai peccati.

Possiamo incontrare personalmente Cristo nella comunità cristiana che ci allontana e libera dall’anonimato della folla attraverso la Parola, i sacramenti e i fratelli. Per questo essa è una barchetta non un transatlantico, a misura di rapporti autentici. Pastori, catechisti e fedeli la curano e custodiscono con amore assicurandosi che sia sempre vicina al Signore e “a sua disposizione”.

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Ciò significa amore alla Parola di Dio, approfondire e custodire il Magistero e il deposito della fede, curare la liturgia in ogni dettaglio, sapendo che essa parla all’uomo attraverso ogni suo segno; essere attenti alla dignità e alla pulizia delle chiese, alla sobrietà e bellezza degli ambienti.

Ma significa anche la cura di ogni fratello nelle sue sofferenze fisiche e spirituali che sorge dalla comunione celeste, il miele che unisce i fratelli nello stesso amore proprio nella barchetta. A bordo infatti, guariti da Gesù, possiamo sfuggire il mondo come fecero gli anacoreti del deserto che lottavano con il demonio nella solitudine colma di Cristo, attirando moltitudini di peccatori.

Solo accogliendo la sua guarigione e custodendo l’intimità con Lui, il bene più prezioso, potremo attirare a Cristo fratelli e nemici. Non buttiamoci su di loro illudendoci di amarli e salvarli, ma gettiamoci su Gesù che li chiamerà a seguire Lui, non noi; saranno cioè attirati dalle opere di vita eterna che sorgono dalla fede dei cristiani come le api dal miele, perché per Lui e il suo amore sono stati creati.

Impariamo a combattere come soldati allora, perché “un vero soldato non combatte perché ha davanti a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha dietro di sé qualcosa che ama” (Chesterton).

Sito web di don Antonello

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