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don Antonello Iapicca – Vangelo del giorno – 16 Settembre 2024

Commento al brano del Vangelo di: Lc 7, 1-10

L’ASCOLTO DELLA PREDICAZIONE DONA LA FEDE CHE CRESCE IN UN CAMMINO DOVE SPERIMENTARE IL SUO COMPIMENTO

Nel Vangelo di oggi appare la fede in un centurione romano, un gentile, un pagano. Non fa parte del Popolo di Israele, non รจ entrato nella comunitร . Ma “ama questo popolo”, e ha mostrato questo amore con un fatto concreto: “ha costruito la loro sinagoga”, la loro casa di riunione. Ha messo il suo denaro a disposizione della loro assemblea, rendendo cosรฌ possibile l’ascolto della Parola.

In un certo senso si potrebbe dire che ha donato qualcosa di se stesso alla Parola, ha intrecciato la sua vita con la vita della comunitร  accanto alla quale viveva, e, cosรฌ facendo, si รจ fatto, in qualche modo, servo della Parola. L’amore di questo centurione ha legato la sua esistenza a quella Parola che aveva costituito, formato, salvato e vivificato il Popolo d’Israele.

L’amore era cosรฌ divenuto, misteriosamente, amore alla promessa racchiusa nella Parola divina per testimoniare la quale quel Popolo era stato eletto. E l’amore aveva condotto il centurione sulle soglie dello stesso compimento atteso dal Popolo oggetto della sua caritร . In lui si riassumono le parole dei Profeti, ed ora era, come l’umanitร  d’ogni generazione, come ogni uomo d’ogni latitudine, in attesa dell’Atteso delle Genti.

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Ma non lo aveva condotto da Gesรน una ricerca esibita o resa esplicita attraverso preghiere o altro. Forse sino a quel momento, il centurione non aveva neanche pensato di avvicinarsi al Profeta di Nazaret. Ma un evento di morte aveva sconvolto la sua vita: “un servo a lui caro giaceva moribondo”; l’angoscia stringeva il suo cuore, come il cuore di ciascun uomo, come il nostro cuore dinanzi a un dolore per qualcosa o qualcuno a cui teniamo tantissimo.

รˆ questa la soglia ultima dell’attesa, lo sconvolgimento doloroso che afferra quanto ci รจ piรน caro, un figlio, il matrimonio, il lavoro, un amico, la nostra stessa anima. Questa fitta nel petto, questo dolore di stomaco che abbiamo oggi, per qualcosa di ineluttabile che ci sta portando via ciรฒ che amiamo. Un servo, uno schiavo รจ colui che serve la nostra vita, che conosce le nostre abitudini, che lava i nostri piedi, che ci prepara da mangiare, che attende ai nostri desideri. Colui del quale non possiamo fare a meno.

E ancor di piรน, nel caso del centurione, si trattava di uno schiavo amato, uno schiavo-amico, probabilmente confidente e custode dei segreti piรน intimi. E stava male da morirci quello schiavo. Come sta male la nostra anima, in bilico tra la vita e la morte, in una tentazione o forse in un peccato, o in un dolore lancinante che fa tremare le radici della fede, o nella notte oscura che spegne speranza e gioia.

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Era questa la soglia donde il centurione era giunto, la pienezza dei tempi, il momento favorevole per l’incontro decisivo. Come lo sono per noi i momenti duri e angosciosi, quelli dove la morte nelle sue diverse coniugazioni si fa presente e non possiamo far nulla. Come la pozza di letame nella quale era precipitata la vita del figlio prodigo, dove nessuno poteva dargli nulla. L’esito fallimentare ma autentico dei tentativi di risolvere i problemi o di innalzarci per cercare di realizzare la vita.

Ma il centurione aveva percorso un cammino d’amore, aveva legato la sua vita a quella promessa e a quella Parola di vita. Come ciascuno di noi ha ascoltato la stessa Parola, ha creduto alla stessa promessa e si รจ messo in cammino. E ora era giunto al crocevia piรน importante del suo cammino, alla soglia del compimento della Promessa racchiusa nella Parola.

Il Compimento era proprio lรฌ, era appena entrato nella sua cittร , si era fatto carne per lui: la Parola che aveva servito si era avvicinata a lui, si era incarnata in quell’Uomo, Gesรน di Nazaret. Qualcosa aveva intuito, risuonava misteriosamente in lui la Parola e aderiva al suo cuore la promessa a cui aveva legato la propria vita.

L’amore, infatti, spinge sempre a superare ragioni e logiche umane: lo stesso amore nutrito per Israele che lo aveva condotto a superare le regole di un ufficiale di un esercito occupante, era quello per il suo servo, e lo spingeva a cercare la sua guarigione e salvezza in quella Parola e nel suo compimento che s’erano fatti cosรฌ prossimi.

Un’intuizione, un moto dell’anima, l’eco inconfondibile d’un amore che ora fruttificava in fede e speranza, qualcosa di tutto ciรฒ a cui possiamo dare il nome di Grazia, muoveva ora il centurione. Ed erano passi umili, fondati su di un’esperienza quotidiana, l’obbedienza che gli era dovuta in quanto capo e che doveva in quanto subalterno.

Conosceva il suo posto, non era preda d’un sogno o di un’alienazione; e conosceva sรฉ stesso, viveva nella veritร , che รจ la traduzione dell’umiltร , e la veritร  era che, pur amando il Popolo a suon di denari donati, pur amando il suo servo, non poteva esigere nulla, non era degno. Ma proprio dalla consapevolezza della propria indegnitร  scaturisce la fede. L’umiltร  รจ il seno fecondo della fede.

Il centurione aveva percorso un lungo cammino, l’amore s’era intrecciato all’esperienza della propria realtร , l’umiltร  stava ora sbocciando in una fede di cui il Signore si stupisce, ne resta ammirato e prenderร  a modello di fede adulta per scuotere un Popolo rassegnato ad una fede bambina.

E accade che l’amore, la fede e la speranza trovino compimento. La Parola a cui, con amore, aveva dato una casa era vicina a lui e al suo servo per fare di loro la sua stessa casa. “Dรฌ soltanto una parola e il mio servo sarร  salvato”: l’indegnitร  accettata si fa dignitร  perchรฉ l’Agnello sgozzato, l’unico degno di prendere il Libro e di aprirne i sigilli, rende degno con il suo sangue chiunque ne invochi il Nome.

Il centurione non si riteneva degno che Gesรน entrasse nella sua casa, pur avendone costruito una proprio per Lui. Il cammino di fede verso Gesรน Cristo gli aveva aperto gli occhi della mente e del cuore sino ad identificare, in una sola preghiera, La Parola con la Persona, la Parola con Colui che ha il potere di vincere il peccato e la morte. L’umiltร  e la fede gli avevano dato l’ardire di credere possibile l’impossibile.

E l’impossibile รจ avvenuto, la Parola di salvezza era entrata nella sua casa e vi aveva preso dimora guarendo il servo. La promessa s’era compiuta e la Parola incarnata. L’amore fatto dono aveva incontrato l’Amore totale, il dono piรน grande, la Vita nella morte. E quell’Amore atteso e sperato era ormai la casa eterna del centurione, la sua dimora.

E oggi, ascoltando anche noi questa stessa Parola, lasciamo aperto il cuore al suo compimento, o chiudiamo invece, orgogliosi, le porte di casa? Ci abbandoniamo all’unico in grado di guarire nostro figlio, il rapporto logorato con moglie o genero, oppure ci rintaniamo ottusamente nella superbia di chi crede ancora di farcela da solo?

Ma oggi il Signore ci rammenta e annuncia ancora che la fede del centurione รจ quella che ci รจ stata promessa: radicata nell’umiltร , che si fa certezza ogni giorno piรน forte, attraverso la conoscenza di noi stessi, sino a scoprire e ad accettare la nostra totale indegnitร . La Chiesa ci sta conducendo a questa soglia, laddove le acque vivificanti del battesimo ci attendono per immergerci nella morte e risurrezione stessa di Cristo, da dove sorgere ad una vita nuova e piena, colma dell’Amore infinito di Dio.

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