IN CIELO SI ENTRA PER AMICIZIA. E CRISTO CON IL SUO SANGUE CI HA FATTO DIVENTARE I SUOI AMICI PIU’ INTIMI
In Cielo si entra per amicizia. Dalle parole di Gesù, a prima vista, sembra trattarsi di un’amicizia interessata, conquistata a prezzo di bustarelle e corruzione. Un’amicizia “comprata”. Ebbene, lo scandalo del Vangelo emerge in questo passo in tutta la sua “virulenza”. Le parole di Gesù, come un virus capace di attraversare i sistemi di difesa di un organismo, attaccano il perbenismo e il moralismo dei farisei che si fanno giusti davanti agli uomini, mentre hanno il cuore attaccato al denaro. Sono esaltati tra gli uomini ma detestabili davanti a Dio perché appaiono per quello che non sono: sembrano pii mentre sono idolatri.
Esattamente come ciascuno di noi, ipocriti e illusi nel crederci giusti perché, come il giovane ricco, non rubiamo, non uccidiamo, non adulteriamo, non corrompiamo, paghiamo le tasse e il condominio, esigiamo le fatture e gestiamo il denaro con oculatezza. Ma siamo tristi, sempre in lotta con il mondo e le sue ingiustizie, torvi e sulla difensiva, e guai a chi viene a chiederci qualcosa che non gli sia dovuto; guai a chi mette in crisi la nostra giustizia di farisei. E ci beffiamo di Gesù. Magari con il rosario in mano, o lasciando cadere un euro nella mano dello zingaro seduto alla porta della Chiesa o adottando un bambino a distanza. E ci beffiamo di Gesù, proprio mentre ci indigniamo e condanniamo i peccatori, i ladri, i corruttori, e li bolliamo come il cancro della società, la causa delle nostre sciagure.
Ma Gesù conosce il nostro cuore, ci provoca e ci spiazza: prima loda un amministratore fraudolento, poi ci invita a “comprarci” gli amici, a formarci una “lobby” che ci sostenga e faccia pressione perché possiamo salvarci, essere accolti nelle dimore eterne. E’ interessante notare al proposito quanto il termine lobby sia appropriato: è una parola che deriva dal latino medievale, lobia, loggia, portico. Secondo l’Oxford Dictionaries, lobby è “un locale che offre uno spazio o un anche un corridoio all’esterno vicino all’ingresso di un edificio pubblico”. Il termine lobby designava la zona del Parlamento inglese dove i rappresentanti dei gruppi di pressione cercavano di contattare i parlamentari. La lobby sarebbe, in senso traslato, una fase antecedente al mercato o alla politica dove imprenditori e uomini di affari cercano di forgiare e modificare le regole del gioco a loro vantaggio. Dunque Gesù ci invita oggi a crearci una lobby che, nell’anticamera del Paradiso, “faccia pressione” per aggiustare il giustizio, cambiare o indirizzare le regole per farci accogliere nelle dimore eterne. Una cosa che, oggi, è oggetto di indignazione, come quella sorta nel cuore dei farisei alle parole di Gesù: letteralmente essi “arricciano il naso”, disprezzano e dissentono.
Ma le parole scandalose di Gesù smascherano l’ipocrisia e svelano il nostro cuore e quello dei farisei: un cuore amico al denaro, che si scandalizza e ride della libertà che Gesù mostra proprio nei confronti dei soldi. Egli provoca l’indignazione per mostrare la giustizia autentica, che supera quella mondana e farisaica. Come quando spiazza il giovane ricco che si illude di compiere la Legge mentre ha il cuore saldamente ancorato ai propri beni, non lasciando a Dio che piccole briciole; come Caino, invidioso, etimologicamente con gli occhi incapaci di vedere o che vedono al contrario, e che per questo offre parzialmente a Dio, mentre Abele, secondo la tradizione rabbinica, offre se stesso insieme alle primizie. Caino, immagine dei farisei, giusti solo in apparenza, ma “irritati e con il volto abbattuto”, con il peccato ormai accovacciato alla porta. L’indignazione li porterà ad uccidere, esattamente come Caino. E’ l’invidia della bontà di Gesù che dà a tutti gli operai lo stesso stipendio, senza apparente giustizia. Così Gesù svela il cuore malato di chi non ha mai dato davvero a nessuno, perché chi non offre se stesso non ha mai dato nulla.
Gesù, al contrario, ci ha dato tutto se stesso. E così ha fatto di noi i suoi amici acquistati a prezzo del suo sangue, gli amici che lo hanno accolto nelle dimore eterne. Siamo diventati i testimoni del suo amore presso il Padre, la sua lobby che gli ha spalancato le porte del regno del Padre: “Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli… dicendo: Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato” (Eb. 2, 11). Allo stesso modo anche noi, donandoci, amando oltre la giustizia dei farisei, acquistiamo amici che saranno i testimoni a nostro favore e ci accoglieranno nelle dimore eterne. Così, il dono quotidiano di noi stessi, l’offerta dei nostri beni e delle nostre sofferenze, delle malattie, dei fallimenti, delle angosce, schiuderà le porte del Cielo ai nostri nuovi amici, liberandoli, in Cristo, dalla schiavitù della paura, perchè, una volta entrati nel Paradiso, ci accolgano con loro.
I pagani saranno accolti e benedetti dal Padre proprio per aver accolto i discepoli, ed in loro Gesù stesso, anche senza rendersene conto. Perché la vita dell’apostolo, il suo essere all’ultimo posto, completamente consegnato al Vangelo e agli uomini, tutto a tutti, in carcere, malati, piccoli e poveri, costituisce l’offerta dell’unico necessario, Cristo vivo in loro. Offrire Cristo dunque è l’unico modo di farsi amici, una lobby che accolga in Cielo, perché si rallegrino insieme chi semina e chi miete. Il Vangelo di oggi è un’istantanea sulla missione della Chiesa, sulla figura degli apostoli, e, soprattutto, di Colui che li invia.
In questa cornice si comprende l’insistenza di Gesù sulla fedeltà. Un apostolo è colui che si fa amici per il regno dei Cieli, che dona se stesso ad ogni uomo nell’amore di Cristo; la vita nella carne, i beni, gli affetti sono strumenti affidai per compiere la missione. Essere fedeli nella cosa più piccola, secondo l’originale greco tradotto con nel poco, genera la fedeltà nella cosa vera, originale greco tradotto con nel molto. Ma la cosa più piccola è sempre contenuta in quella più grande, più vera. Mammona, termine aramaico che evocava il “patrimonio” di una persona, è contenuto nel bene vero, in Cristo! Così le cose più piccole, affetti, denaro, tutto ciò che si riferisce alla carne, quando non sono vissute dentro la Verità che è Cristo divengono inique; ogni relazione, nel matrimonio come nel fidanzamento, nell’amicizia, nel lavoro, nella comunità, sono autentiche, giuste e sante solo se vissute in Cristo. Mammona infatti designava anche un idolo cananeo cui andava l’adorazione dei pagani. La moglie, il marito, i figli, il lavoro, il denaro possono divenire idoli muti cui chiedere la vita. Nel cuore incominciano le piccole infedeltà per assicurare la nostra vita, che si trasformano a poco a poco in grandi infedeltà, adulteri generati dall’idolatria. Nel cuore decidiamo a chi prostrarci e chi servire.
La ricchezza iniqua che rende schiavi esige una continua purificazione, una sua conversione, una trasfigurazione: occorre salire ogni giorno al Tabor per vedere la nostra carne risplendere di una luce che non è di questo mondo, così che essa ritorni al suo posto, quale veicolo dell’amore celeste. Il Tabor della Trasfigurazione si fa presente nelle occasioni che Dio ci dona per farci amici con la ricchezza più piccola, con quella iniqua che reca la ferita della corruzione: donare tutto attraverso la carne; essere fedeli, affidabili nelle relazioni, nel lavoro, negli affetti, nei beni.
E la fedeltà ha una sola coniugazione: donare, sempre e senza riserve. Il dono è la trasfigurazione della carne, rende celesti i beni deponendoli nella Verità, fa tesori e amici per il Cielo amando in Cristo. E’ questa la missione alla quale la Chiesa e ciascuno di noi è chiamato: sovvertire l’ordine della carne, il criterio che si fa beffe di Dio, la schiavitù di mammona; e annunciare e rendere credibile il Cielo, relazioni nuove nel dono totale di se stessi, una lobby di amici che donano e ricevono la Verità, l’amore infinito di Dio. Sì, qui sulla terra, la Chiesa è un’anticipo del Cielo dove ci si fa amici attraverso la vita nella carne donata senza riserve, amici che si accolgono mutuamente nelle dimore eterne, in un amore che supera ogni pretesa giustizia carnale.
Chi è amico del denaro non può essere amico di Dio. Per questo Gesù dice di farsi amici con il denaro e tutto il patrimonio, usando lo stesso termine con il quale denuncia il cuore dei farisei. Non si può essere schiavi di due padroni: “o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”. Non ci sono alternative. Odiare o amare. Guarda il portafoglio, saresti capace di tirare fuori tutto il denaro e darlo al primo povero che incontri per strada? In questo stesso momento? E’ pura pazzia, qualcosa di irrazionale non è vero? Sicuro che lo è, agli occhi del mondo e per la sapienza della carne. Ma agli occhi di Dio è quanto di più semplice e naturale vi sia, perché Lui ha donato tutto, e nulla ha anteposto alla nostra vita e salvezza; per amore nostro ha perso tutto. Questo è il criterio di Dio, così Egli stima il denaro ed i beni. Cristo ha amato il Padre e ha odiato il denaro, il potere, la sua stessa divinità, e tutto per amore nostro amore. Ha odiato la sua stessa vita perchè ha amato la nostra. Per questo motivo amare il denaro è odiare a Dio, il suo amore, la sua tenerezza, la sua misericordia.
L’apostolo è stato eletto e chiamato ad essere schiavo di Dio, e proprio per questo, suo amico. Gesù infatti non chiama più servi i suoi discepoli, ma amici, perché confida loro tutto, sino al dono estremo della sua vita. Non vi è amore più grande di questo. La radicalità dell’amore genera altrettanta radicalità. La primogenitura di questa amicizia, la vocazione ad essere astri nel mondo corrotto, è la cosa vera che contiene quella più piccola, il granello di senapa destinato a divenire un albero sui cui rami riposeranno le Nazioni. La nostra vita, come e unita a quella di Cristo, ci è data per essere seminata. Essa non ci appartiene, è ricchezza altrui; la nostra ricchezza invece è Cristo, la Verità che dà senso e sapore a tutto.
Per questo il Signore dice che, se saremo fedeli nel dono, ci sarà data la ricchezza che è già nostra: il Destino celeste ci appartiene già, e questa è la chiave del Vangelo di oggi. Possiamo essere fedeli, possiamo compiere la missione facendoci amici per il Cielo, possiamo affezionarci a Cristo, perché Lui è già oggi in noi, siamo suoi, ed Egli ci appartiene. “«Il mio amato è mio e io sono sua. Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (Ct. 2,16; 6,3). Come l’amministratore disonesto possiamo allora disporre dei suoi beni, della vita che ci è affidata, per donarla e ritrovarla per l’eternità. Le sue viscere ci rinnovano e ci fanno figli fedeli in ogni istante, in ogni pensiero e parola; Egli ci fa fedeli fino al martirio di una consegna totale, amore a Dio ed odio, sincero, al mondo.
Gesù, lo so bene, l’amore si paga soltanto con l’amore, perciò ho cercato, ho trovato sollievo rendendoti amore per amore. «Usate le ricchezze che rendono ingiusti, per farvi degli amici i quali vi ricevano nei tabernacoli eterni». Ecco, Signore, il consiglio che tu dai ai tuoi discepoli dopo aver detto loro che «i figli delle tenebre sono più abili nelle loro faccende che i figli della luce». Figlia della luce, ho capito che i miei desideri di esser tutto, di far mie tutte le vocazioni, sono ricchezze che potrebbero rendermi ingiusta, allora le ho usate per farmi degli amici.
Santa Teresina di Lisieux, Storia di un’anima.
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE