IL SILENZIO DI GESU’ NEL QUALE E’ GESTATA LA “FEDE GRANDE” DELLA CHIESA
Dalla stanza nuziale dove ha sposato il suo Popolo quale primizia della nuova umanità riscattata e unita a Lui nel Mistero Pasquale, come uno sposo innamorato Gesù esce dai confini di Israele per cercare la sposa adultera e idolatra, che vive lontana dalla santità del matrimonio per il quale è stata creata. Lascia le novantanove pecore nel recinto e si getta nel mondo, per riprendersi quella perduta; ogni uomo infatti, di qualunque cultura e di qualunque religione sia, è da sempre pecora sua, creata in Lui dall’amore del Padre. E’ “una”, perché “unica”, e solo Lui conosce personalmente ciascuno, e sa bene dove andare a cercarlo. Per questo, Gesù varca i confini di Israele, spingendosi nella “zona di Tiro e Sidone”, situata a nord-ovest della Galilea, i cui abitanti adoravano i Baal e le Ashere, attraverso riti che, per ottenere la fertilità, si tingevano di aspetti sessuali e orgiastici.
Gesù si introduce in territorio nemico, tra i cananei che hanno da sempre insidiato Israele, per scendere tra i sette popoli pagani, immagine dei sette peccati capitali hanno rapito il cuore dell’uomo. “Si ritira” in terra pagana perché aveva un appuntamento d’amore a tutti sconosciuto: vi doveva incontrare quella “donna Cananea, che veniva da quella regione”: Lui era lì per lei. Quella donna straziata dal dolore, infatti, era la primizia che Gesù, come gli esploratori inviati da Mosè, era andato a cercare nella terra che il Padre gli aveva promesso; quella donna era immagine e profezia di ogni anima che Gesù, compiuto il suo “esodo”, avrebbe strappato all’idolatria. Lì incontra il suo pianto, il “tormento” dei peccati e l’odore acre della morte. Ma, al contrario degli inviati di Mosè, non si impaurisce di fronte al potere del nemico, ma proprio nella devastazione da esso procurata, riconosce invece il segno che era ormai giunto il tempo di svelare il suo amore a ogni uomo; di prendere su di sé quel grido di dolore e riscattare dalla morte l’anima di chi non ha conosciuto Dio, di cui è immagine la “figlia” di quella donna. Tutti noi, oggi, abbiamo una “figlia straziata dal demonio”: quel rancore che non riusciamo a estirpare; la concupiscenza che ci tiene schiavi di internet e della pornografia; l’avarizia che ci fa dimenticare i bisogni di moglie e figli; l’invidia per il corpo di quell’amica che ci fa disprezzare noi stessi e ci getta ai bordi dell’anoressia e nell’accidia; la disperazione che sgorga, come pus, da quella ferita dell’infanzia, di cui non riusciamo a capire il senso e che ci fa guardare al futuro come a un’incognita dalla quale sfuggire; la droga, l’alcool, l’infantilismo cronico, l’idolatria dello sport e dei gadget elettronici, l’assuefazione ai social networks, il bisogno irrefrenabile di avere un ragazzo o una ragazza a fianco, nell’illusione che possa colmare il vuoto affettivo che ci devasta, precipitando in un commercio carnale che non ha fine.
Ma proprio nelle Tiro e Sidone in cui abbiamo scelto di vivere, cioè il mondo nel quale tutti hanno le stesse figlie malate e ci sembra che sia normale e di poter sopravvivere, viene oggi Gesù. Viene per noi, come se fossimo l’unica persona su questa terra. Anzi, è già accanto a noi: la sua presenza annunciataci dal Vangelo e dalla Chiesa, l’eco dei segni che ha compiuto in noi e negli amici, Lui in mezzo al nostro letame illumina la verità che abbiamo sino ad oggi sfuggito, dissimulato con impegni e sforzi, trucchi e inganni; Lui vicino a noi cambia tutto, e questa terra pagana, e il tormento provocato dal demonio, ci diventano all’improvviso alieni, scopriamo che non ci appartengono, e il dolore che abbiamo nascosto, prorompe in un grido: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”.
Ma proprio in questo momento nel quale ci si aspetterebbe la risposta e l’intervento di Gesù, accade l’impensabile: alla nostra preghiera Gesù oppone il silenzio, e “non ci rivolge neanche una parola”. E’ durissimo, e a nulla vale neanche l’intercessione della Chiesa: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. Niente, se non una risposta che sembra la fucilata di un estremista: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele!”. Ma come, io qui gridando e implorando, insieme ai fratelli, ai preti, alle suore, e Tu rispondi così? Ho capito, lo accetto, sono un pagano, ti ho tradito, ti chiedo di avere pietà di me, non ti basta? E’ il momento in cui tante anime capricciose e infantili disperdono il grido innescato dalla fede e lo trasformano in imprecazione e bestemmia: “ti rifiuti di esaudirmi perché non faccio più parte dell’élite religiosa, di quelli che vanno a messa, che si impegnano in parrocchia e fanno volontariato?”.
Ebbene, proprio questo è l’incrocio decisivo per la nostra vita! Possiamo lasciare ancora libertà all’orgoglio dell’uomo vecchio, e credere all’ennesima menzogna del demonio, oppure ascoltare, umilmente, senza scappare dalla realtà, come la donna cananea. Gesù non dice che non è stato mandato da noi. Gesù dice che è stato mandato solo alle pecore perdute della casa di Israele, e che “non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Che vuol dire questo? La donna cananea lo aveva compreso e, per questo, si era “prostrata” dinanzi a Gesù. In Lui aveva riconosciuto se stessa, che proprio a lei era stato inviato il Signore: in un lampo che suppone un lungo cammino di umiliazione aveva scoperto d’essere lei una delle pecore perdute di Israele. Nel cammino percorso da Gesù per giungere sino a lei aveva scoperto il proprio sul quale aveva abbandonato l’immagine originaria; invece del figlio di Dio aveva generato una figlia per il demonio, invece di una vita santa, ne aveva vissuta una immonda.
Ma ora, nonostante i suoi peccati che l’avevano gettata fuori dalla famiglia di Dio, come è accaduto al figlio prodigo, riconosce in sé stessa un diritto che nulla avrebbe potuto cancellare. E ad esso si appella, anche se non si sente più figlia ma solo un “cagnolino”; come il figlio minore, anche lei sa che, in casa di suo Padre, può mangiare le “briciole” che cadono dalla tavola dei figli. Sa che una briciola di quel pane è capace di salvare sua figlia, di riportare la sua anima alla dignità perduta. E questa è la “fede grande”, la fede adulta della Chiesa, la “donna” che ha conosciuto se stessa sperimentando l’amore rigenerante del suo Sposo, e ha avuto l’audacia della fede per avvicinarsi, lei pagana, a un rabbì ebreo, nella certezza invincibile che non l’avrebbe rifiutata. La risposta di Gesù non è dunque un rifiuto, ma l’annuncio della verità che prepara e accende la fede nel suo amore infinito. Basterebbe la sua presenza per ridestare in noi la nostalgia di Lui, per farci rientrare in noi stessi. Eppure Gesù sa che, infantili come siamo, rispondendo subito alla preghiera, ci lascerebbe a saziarci del miracolo, a vedere suturata la ferita per andarcene di nuovo per la nostra strada, senza essere salvati davvero.
Per questo anche oggi, prima di guarirci, ci rivela che siamo noi “le pecore perdute” del suo gregge illuminando come, con la nostra libertà, abbiamo scolorito in noi l’immagine di Dio; il suo silenzio ci fa rientrare in noi stessi, nella verità che apre all’umiltà e alla compunzione, rende contrito il cuore per aiutarci a credere che Lui è “capace di trasformare un cagnolino in una pecora di Israele” (San Beda). A Gesù non interessa somministrarci un antidolorifico, Lui ci rivuole come fratelli, per farci vivere come figli di suo Padre. Per questo, i suoi silenzi che sembrano non esaudire le nostre preghiere sono il segno del suo amore infinito; proprio quando non parla, ci ama più intensamente perché ci illumina la verità per spingerci nel cammino che ci conduce a prostrarci davanti a Lui nudi e senza difese, consapevoli di non avere alcun diritto, per gustare pienamente la gratuità della sua misericordia. Nulla ci può rendere indegni del Suo amore. Nulla tranne la superficialità della superbia.
Accogliamo allora oggi il suo silenzio ascoltando in esso la Verità, e lasciamoci accompagnare, come la donna cananea, in un serio cammino di conversione dove accogliere la fede adulta che si nutre del pane di vita. E’ questa infatti che Lui vuol seminare e si aspetta di trovare al suo ritorno: una fede che ci ottenga “quello che desideriamo”, perché il nostro desiderio sarà, in tutto, quello di essere e vivere come pecore del suo gregge. Allora, “all’istante” saremo “guariti” nell’intimo e, di nuovo sposati a Lui nell’amore e nella fedeltà, potremo amare e dare frutti di vita eterna per il mondo.
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Donna, grande è la tua fede!
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 15, 21-28
In quel tempo, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Parola del Signore.