ACCOLTI E AMATI SULLA RIVA DI OGNI NAUFRAGIO
Per chi cerca il Signore nessun respingimento sulle coste della Patria Celeste. Nessuno è scacciato fuori, ma tutti sono accolti con misericordia infinita. Noi, naufraghi della vita, strappati ai marosi che imperversano e ci sovrastano, da un “segno” incarnato in un testimone o annunciato da un apostolo, o forse per mezzo di una malattia, un dolore o un fallimento; e approdiamo in fin di vita sulle rive d’un Regno che abbiamo perduto, come clandestini che sfuggono a un regime tirannico, feriti, malconci, mentre un briciolo di speranza ci mantiene in vita.
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE
E il Signore è lì sulla riva della Vita, come quel giorno sulle sponde di Tiberiade, anche noi come gli Apostoli con un nulla tra le mani, i fallimenti di un’esistenza, che ci aspettava da sempre per un incontro capace di cambiare le sorti di ciascuno. Diceva Benedetto XVI: “Penso che il motivo del naufragio (di San Paolo) parli per noi. Dal naufragio, per Malta è nata la fortuna di avere la fede. Così anche noi possiamo pensare che i naufragi della vita possono fare il progetto di Dio e possono essere utili per nuovi inizi nella nostra vita“. E ancora nel suo libro Gesù di Nazaret scriveva: “Senza un morire, senza il naufragio di ciò che è solo nostro, non c’è comunione con Dio, non c’è redenzione”. Lo sguardo di Gesù vede nel naufragio e riconosce, sempre, la volontà del Padre. Come è stato per la sua stessa vita, che sembrava perduta tra una Croce e una tomba, e invece era incamminata verso la vittoria e la risurrezione. Gesù ci vede da lontano, e con il suo sguardo è già presente in ogni evento della nostra vita. I suoi occhi scrutano il nostro arrancare tra le onde, non ci perde di vista un secondo, eppure lascia che le esperienze di sofferenza e fallimento quasi ci sommergano, rispettoso della libertà che ci fa uomini veri, come con l’amico Lazzaro prigioniero di una malattia che lo avrebbe condotto alla tomba, come con i discepoli sospinti nel mare in tempesta. Quante volte la vita che ci è data come una missione è stravolta dalle nostre menti, dai cuori e dalle mani che ne fanno un progetto idolatrico a cui prostrarci, costi quel che costi. Il Signore è lì, sull’uscio dei nostri giorni, fremendo di zelo e d’amore, ma non tocca nulla; ci segue con trepidazione perché la barca non affondi, ma lascia che le correnti mondane e carnali la gonfino sino a farla naufragare. Lui sa che il vento dello Spirito, il soffio del Padre, è più forte d’ogni folata demoniaca. Lui sa che la Volontà di Dio ci sospinge comunque, misteriosamente, anche attraverso il naufragio, sulle rive della Verità.
- Pubblicità -
Ed è su quella battigia dove oggi ci troviamo, questo matrimonio che sembra andare in frantumi, il lavoro che ci soffoca o che abbiamo perduto, l’amore che ci ha lasciati, l’altro con cui non riusciamo a comunicare, la vecchiaia o la malattia, la precarietà economica o questo carattere che non riusciamo a domare, qui ora su questa sponda, con le onde che ancora ci inseguono, i polmoni strozzati e le forze spente, in questo confine tra morte e vita, che la libertà nostra si fa piena. Andare a Lui o lasciarci risucchiare dal mare. Gesù è lì a un passo, il Padre ha smosso il mare della nostra storia proprio per condurci a Lui, come un dono per il suo Figlio, il più prezioso. Basta “guardarlo”, dal profondo del cuore, fissarlo, e siamo salvi, e saremo vivi in eterno. “Guardare” Cristo ora, senza timore, abbandonando l’orgoglio che ci ha annichilito. Guardarlo perché con lo sguardo vada a Lui anche la nostra vita, tutta, senza riserve. Lasciare che il Padre ci “doni a Lui”, per risuscitare ora nella Volontà di Dio, che è il riscatto e la santificazione d’ogni briciola della nostra storia. Nulla si butta, tutto è trasfigurato, anche il naufragio, anche i peccati. Sì, è questa la notizia che può trasformare oggi la nostra vita, non v’è nulla che impedisca il perdono, nulla eccetto l’orgoglio ostinato. Come potremo buttar via un’occasione del genere, “vedere Cristo” e lasciarci guardare da Lui, e nel suo sguardo incontrare la nostra vita come una sinfonia d’amore? Non v’è altra “volontà in Dio” che quella per cui “nessuno si perda”. Può essere diversa la nostra volontà?
“Il Figlio è disceso dal Cielo” per lasciarsi inchiodare a una Croce e distruggere così l’opera di menzogna del demonio. “Vedere il Figlio” è proprio discernere questa volontà, sempre e in chiunque. E “credere” significa appoggiarsi in essa sperimentando che è vero, che anche il peccato di tuo figlio è stato perdonato perché Cristo ha dato la sua vita per lui, anche se ancora non ne è uscito; deve “vedere” Cristo in te, nella Chiesa, pieno di misericordia e radicato nella certezza che anche lui può cambiare, che “nessuno è perduto”; che quel ragazzo schiavo dell’egoismo e della droga, del sesso e del piacere è amato da Cristo, che è destinato a “risuscitare l’ultimo giorno” e che per questo ogni giorno è prezioso, un passo in più, un’occasione in più per “vedere” Colui che lo ama tanto. E lo potrà vedere solo se tu avrai sperimentato che c’è un piano misterioso di Dio che rovescia ogni criterio; se tu credi che, compiendo la volontà del Padre, Gesù ha dilatato proprio questa ben al di là del perimetro che i nostri occhi riescono a misurare. Se il tuo “vedere” Cristo si riflette in te, e se la tua fede in Lui si fa carne nella tua vita. Ma quanta stoltezza di fronte alle situazioni che cerchiamo di ammaestrare: la debolezza con i figli, ai quali siamo incapaci di dire no, di sederci accanto a loro per ascoltarne le ragioni sollecitandone l’intelligenza perché aprano gli occhi e “vedano” la Verità; il timore di perdere il loro affetto ci fa pavidi e nascondiamo loro il volto di Cristo, l’unico di fronte al quale un giovane può davvero esercitare la propria libertà. Ci perdiamo in moralismi astratti e soffocanti o compromessi lascivi che consegnano i ragazzi a sofferenze certe.
La loro felicità, come quella di tutti, si gioca dinanzi al volto di Cristo: contemplare il suo sguardo e vedervi riflessa la nostra storia trasfigurata, perdonata, redenta. E “credere”, che significa lasciarsi amare, guardare senza timore nel profondo del suo sguardo per sperimentare il suo perdono. Per questo siamo chiamati a mettere i figli davanti a Cristo, alla Verità che fa liberi, quando vogliono uscire in minigonna, quando esigono una nottata in discoteca, quando reclamano la vacanza con il fidanzato. Metterli davanti a Cristo, alla sua bellezza, al suo amore a cui non si può resistere, senza paura, senza compromessi. Quante volte ci siamo prostrati dinanzi a Lui per accompagnare i nostri figli di fronte allo stesso sguardo? Sottrarre Cristo ai loro occhi è il peccato più grave. Condurli a Lui con il cuore innamorato, colmo del suo amore, sapendo che è il Padre a “consegnare” noi e ogni uomo al suo Figlio, “perché nessuno vada perduto”. Poi appare la libertà autentica, anche quella di fare naufragio, ma con fissa nella memoria del cuore l’immagine indimenticabile del suo volto. Gesù, infatti, ha dato la sua vita per “risuscitarci l’ultimo giorno”, e questo significa che questi giorni che viviamo sono il tempo nel quale “vederlo e credere” in Lui, per ricevere “la vita eterna”. E chi ha questa vita anche se muore vivrà: “Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno” (Benedetto XVI).
- Pubblicità -
La Chiesa è per questo inviata a mostrare Gesù; in essa Lui attende ogni uomo come Giuseppe attese i suoi fratelli. Da loro venduto era sceso in Egitto, fino al buio della prigione, per risalirne ricolmo di onori e potere. Nessun rimprovero, nessun respingimento per i fratelli che lo avevano respinto. Anzi, con lo sguardo pieno della sapienza che discerneva in tutto la volontà di Dio che lo aveva condotto in Egitto proprio per sfamare i suoi fratelli, era lì a farsi vedere e riconoscere da loro per salvarli. Così anche noi, perdonati da Gesù, ci avviciniamo al prossimo senza respingerlo, per far vedere l’amore che ci ha salvato, e così anche lui può credere e accogliere la stessa vita. E’ questo il cammino che ci attende con Cristo, per andare incontro alla risurrezione, e offrirla al mondo.