don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 31 Maggio 2022

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ATTRAVERSO LA CHIESA NOSTRA MADRE CRISTO CI VISITA FACENDO DANZARE DI GIOIA LA NOSTRA VITA 

Il Signore viene a visitarci, e si avvicina a noi sempre attraverso una carne concreta, il seno purissimo di Maria, tabernacolo della presenza di Dio tra noi. E’ sempre Lei che ci visita, ambasciatrice dell’amore di Dio. E’ Lei che ci dona il Signore, celato nelle Sue castissime viscere. Lei è l’immagine più fedele della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo. Per noi, da sempre. E oggi, e domani. Dio incarnato, Dio adagiato nel seno d’una donna, Dio disceso alla nostra vita, Dio che visita e impregna le nostre ore. Dio incarnato nelle nostre carni incamminate nella storia. 


Maria è lo specchio fedele di quello che accade ogni giorno nelle nostre povere vite. In noi è già seminato il miracolo di una vita celeste, come lo fu Giovanni per Elisabetta. Proprio ora è vivo in noi qualcosa che le nostre forze, le nostre opere, i nostri desideri non hanno avuto il potere di generare. Sterili siamo, come ogni uomo, incapaci di darci vita, e di donarla. Sterili per accogliere la Grazia feconda di Dio. Come Elisabetta intuiamo ma abbiamo bisogno d’una visita, perché il miracolo di Grazia si schiuda in un canto di lode. Viviamo l’amore di Dio dentro di noi, ne sentiamo spesso tutta la portata soprannaturale, proprio come una donna incinta vive ogni cosa in modo particolare, come afferrata da una presenza interna, misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge. Con Elisabetta abbiamo bisogno di Maria. E Maria è la Chiesa, il suo saluto che risuona nel profondo è l’annuncio che il nostro cuore attende senza posa, la Parola capace di sciogliere in noi quello che, da

sempre, la Grazia ha seminato. La Parola che muove in noi la Vita in un sussulto di gioia. E’ l’annuncio che desta la gioia: Dio s’è fatto carne nella nostra carne, proprio nelle vicende che ci visitano per coinvolgerci, la storia nostra di ogni giorno. Maria è il mistero della nostra vita racchiuso nella dolcissima fanciulla di Nazaret, perché nella storia vibra l’eco dell’annuncio della Chiesa. Ed è vero che fuori della Chiesa non v’è salvezza, perché in ogni istante della storia che scorre in ciascun angolo della terra risuona la Parola, unica, di salvezza, Cristo Gesù, nascosto nel seno verginale di Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra. Con la sua voce, la Chiesa abbraccia l’universo in attesa della salvezza, mentre la storia diviene il tabernacolo del Figlio incarnato. Da quel giorno a Nazaret, quando Dio ha deposto il suo seme nel seno di Maria, nulla è più lo stesso.

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Tutta la storia, passata, presente e futura, è stata inondata da una Grazia nuova, e tutte le cose sono state rinnovate, perché il Signore, l’Emmanuele, ha preso dimora in ogni istante del tempo. Tutto di noi, dunque, è stato miracolosamente santificato, salvato, redento. Il mistero nascosto agli angeli è stato svelato, l’uomo è salvo. La vita non è più una corsa verso la morte. Il Cielo s’è dischiuso dinanzi ad ogni uomo, e per questo, ogni esistenza, anche quella che appare più distrutta dal peccato, anche quella che odora di morte, è pronta ormai per essere salvata. Un annuncio, una parola, la visita di Maria e quello che era perduto sarà riscattato. I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo. I “passi” degli eventi stessi che abbracciano ogni uomo in un saluto di Pace, sono nient’altro che la rivelazione del progetto di Dio: “Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il Signore: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza” (Ger. 29,11).

Shalom! Il saluto di Maria che sveglia la gioia nel seno di Elisabetta, che svela l’amore nascosto in ogni evento, in ogni persona che corre al nostro incontro. Shalom ci annuncia la moglie, anche quando ci sta rinfacciando qualcosa. Shalom ci annuncia il marito, anche quando, schiavo del perfezionismo, torna a casa e vorrebbe il mondo ai suoi piedi. Shalom ci annuncia il figlio che non ci degna di uno sguardo, immerso nella presa tentacolare del suo smartphone. Shalom ci annuncia il collega che trama ipocritamente alle nostre spalle. Shalom ci annunciano le analisi sballate appena ritirate all’ambulatorio. Shalom ci annuncia la Borsa che crolla, il benzinaio che espone il prezzo della benzina, l’ennesima lettera che rifiuta il nostro curriculum. Shalom ci annunciano gli istanti che ci attendono, visitano e abbracciano. Shalom mentre per il mondo tutto questo significa una dichiarazione di guerra, e arma l’ira, la ribellione, l’indignazione, i sentimenti di giustizia, le invidie, le gelosie, l’odio. Pace dice a noi la storia, dove e quando per il mondo è guerra.

Pace perché nella carne è disceso Dio, e tutto, ma proprio tutto è ormai divino, parte misteriosa di un Cielo che non conosciamo ma che possiamo cominciare a sperimentare. Pace! Il saluto di Maria che profetizza e anticipa il saluto del Figlio agli apostoli impauriti, il saluto di Colui che ha vinto il peccato e la morte e ha distrutto il muro che separava l’umanità da Dio e dal suo Regno: Pace!, il saluto che con cui il Cielo ci viene a visitare per attirarci nella vita nuova dei beati, pegno e garanzia qui sulla terra del destino che ci attende. ace! Il saluto di Maria che ridesta la gioia che abbiamo dimenticato tra le tristezze di ciò che ormai pensiamo come perso irrimediabilmente, la gioia della risurrezione di tutto quello che in noi era morto. La risurrezione della speranza. La storia nostra di oggi, e di ogni giorno, ci arriva al cuore attraverso il saluto di Maria. E tutto si illumina, il passato ci ha preparato a questo incontro, ed è questo quello che davvero conta. Anche le debolezze, nell’ascoltare la voce di Maria anche i peccati brillano d’una luce nuova, la stessa che risplende sul volto del Figlio risorto: Lui s’è fatto peccato, e su quel peccato conficcato per sempre sulla Croce, è brillata la misericordia. Pace a voi!

Si, la nostra carne, la nostra storia sono la dimora di Dio, il Cielo sulla terra perché tutto quello che di noi appartiene alla terra giunga, un giorno, in Cielo. Salvi, santi, suoi. Apparteniamo a Gesù, come Maria, con Maria, Donna umile ebbra di gioia, che canta le meraviglie di Dio, nella gioia che scaturisce dalla verità. Maria, donna vera, la creatura pura che non teme e non ricusa d’esser creatura. Maria, una vergine di Nazaret, nulla di più, niente di diverso desiderato. In Lei è ciascuno di noi così come dipinto nella mente di Dio, prima d’ogni inalazione mortifera di superbia originale. La sua umiliazione ci attira nella verità che ci costituisce creature in tutto dipendenti dal Creatore. Il suo seno verginale è tutto quello che di noi appartiene al Creatore. Le sue viscere materne sono la grotta povera, spoglia, di nessun valore che si addice – l’unica – al Dio che si fa uomo. La sua umiliazione accoglie oggi ogni frammento divino che è in noi, il cuore, la mente, il corpo che ci è donato per servire  e donarsi, e che giace schiavo del tiranno che ci ha insegnato l’orgoglio con le parole della menzogna. Maria è l’eletta che ha riassunto in sé ogni creatura perduta, immacolata per i macchiati, umile per i superbi, vera per i falsi. 

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E Dio ha guardato la sua umiliazione, gli occhi misericordiosi del Padre hanno fissato in Lei il suo primo progetto, un figlio, una figlia, e l’abbandono totale tra le braccia dell’amore. Dio ha guardato all’umiliazione di Maria, alla verità di Maria fatta di terra, la sua storia, le sofferenze e le angosce di tutti noi scappati dall’ovile della verità. Maria ci accoglie nella sua umiliazione, e ci conduce nel Magnificat della creatura che esiste nel Creatore, che è del Creatore, che vive per il Creatore. Dio guarda l’umiliazione di Maria come ha guardato il popolo gemente sotto il giogo del Faraone. E si prende cura di Lei, e, in Lei, di tutti noi schiavi della menzogna. Maria visita oggi la nostra vita, sulla soglia delle nostre ore, perchè con Lei possiamo accogliere il Salvatore. Maria ci conduce alla verità della nostra condizione e ci insegna a gridare, ad aspettare, ad accogliere. Maria ci mostra il vuoto che ci pervade, ci insegna a non averne paura, ad accettare quello che siamo, a lasciare ogni sogno, ogni desiderio alla volontà di Dio per noi. Maria ci accoglie e ci aiuta a schiuderci alla Grazia, allo stupore di fronte alle meraviglie della misericordia di Dio preparate per ciascuno di noi. Maria è nostra Madre e ci insegna e accompagna a donarci ad ogni persona e in ogni occasione; in fondo siamo suoi figli, i nostri occhi assomigliano ai suoi, sono disegnati e creati per vedere Dio in ogni istante: il suo Shalom li riporta al loro splendore.

Maria ci chiama, ci aiuta a lasciare che vengano dispersi i superbi pensieri annidati nei nostri cuori; che Dio faccia vuote le nostre mani piene di false ricchezze per riempirle dei suoi doni incorruttibili; che siamo oggi rovesciati dai troni del potere, dell’arroganza, dei vani sogni di gloria. Maria ci guida nel cammino di conversione che sono la vita e il tempo che ci son donati. Maria ci abbraccia oggi come abbracciò Elisabetta, e ci unisce al suo canto di lode, quello per cui siamo stati creati. La lode di povere, umili creature che, istante dopo istante, sono ricolmate di Grazia dal proprio creatore. Maria ci accompagna oggi, nella verità e nella gioia, pieni di stupore e di esultanza.

Fratelli, è necessaria “la tribolazione”, l’essere “schiacciatipestati”, secondo il significato del termine greco. Anche oggi, infatti, il male e il peccato saranno deposti nel tino della nostra storia, dove con Cristo saremo schiacciati dall’amore di Dio: “Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l’uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile” (S. Agostino). Il trofeo della vittoria di Cristo, infatti, è proprio la solitudine che potremo assumere per il mondo che non può soffrire per amare: “Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse: ecco un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera. Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro. 

Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele!” (cfr. Nm. 23-24). Un popolo che dimora solo, e proprio per questo testimone e vessillo di salvezza. Israele prima, e il Messia che ha compiuto questa profezia, e la Chiesa poi, sino a ciascuno di noi: soli con il Solo, per strappare il mondo alla sua solitudine. Soli nel rifiuto del figlio, per salvarlo. Soli nella gelosia della moglie, per amarla. Soli ovunque, nell’intimità piena con Gesù, e in Lui con il Padre, per mostrare a tutti la “bellezza” della vita divina nella debole “tenda” della carne dei figli della Chiesa. Perché ogni uomo possa desiderare la stessa “fine dei giustificati”, ovvero il compimento della vita in Cristo che risplende nei cristiani, frutto della sua “vittoria” sulla morte e il peccato.