LA SALVEZZA DALLA SOLITUDINE DI CHI NON PUÒ AMARE È RESTARE CROCIFISSI CON CRISTO SULLA PORTA STRETTA CHE CI UNISCE A LUI E AI FRATELLI
Una «porta stretta» ci separa dalla felicità. Anticamente all’interno della porta grande ve ne era una di servizio, più piccola, che veniva chiusa per ultima. Era quella che attendeva il Servo di Dio a «Gerusalemme», e ogni suo discepolo nella propria «città». Essa è un appello di Gesù alla nostra libertà: Egli «passa», e «insegnando» la dischiude dinanzi a noi chiamandoci a seguirlo sul cammino della salvezza. Viviamo in un tempo di Grazia per convertirci, perché un giorno la porta sarà «chiusa». Il «tale» del Vangelo però sembra non lasciarsi coinvolgere. Anonimo e indifferente sulla soglia della questione fondamentale dell’esistenza, è immagine di ciascuno di noi di fronte all’urgenza della chiamata di Gesù.
Come quell’uomo e i rabbini del tempo, ci interessiamo della «salvezza» accademicamente, forse scandalizzati della possibilità che i pagani – la «casta» che ruba o il collega che ci fa le scarpe – si salvino con noi che crediamo di essere già «in salvo», lontani dalla loro corruzione e malvagità. Ma non siamo salvi affatto, l’indifferenza verso il drammatico appello di Gesù nasconde la paura che ci impietrisce dinanzi alla «porta stretta» dove passare per donarci ai fratelli. «Cerchiamo» di «entrare» nella comunione e nella pace con loro ma «non ci riusciamo». Il peccato ci ha fatto sperimentare la morte e, come i progenitori «scacciati» «fuori» dalla casa del «Padrone», «non abbiamo forza» di «lottare» (sforzarci) per amare. Allora ci affrettiamo a «bussare», pregando e chiedendo consigli, ma non è la conversione.
È il tentativo di giustificarci accusando Dio subdolamente opponendogli le nostre «opere». Certo Gesù ha «insegnato» nelle nostre chiese, è stato «presente» quando «abbiamo mangiato e bevuto» nelle liturgie, ma nel fondo non lo abbiamo mai accolto. Dinanzi alla «porta stretta» infatti cadono tutte le maschere e appare l’autentica matrice delle nostre «opere»: la superbia nella quale viviamo per noi stessi servendoci «iniquamente» dei fratelli. Sono opere così diverse da quelle del Figlio da renderci «irriconoscibili» al Padre; non può aprirci perché «non sa da dove veniamo», la lingua delle nostre preghiere infatti è radicalmente diversa da quella parlata nel suo Regno. Non è quella di Pentecoste, capace di farsi comprendere dal coniuge, dai figli, dai nemici, anche quando ne parlano una diversa. La lingua del Regno, infatti, è quella dell’amore che tutti ascoltano come fosse la propria. Lo Spirito Santo è l’unico che ci dona la parola giusta, il gesto unico e indispensabile, lo sguardo misericordioso, l’ascolto paziente con i quali passare per la porta stretta che mi separa dall’altro.
Ogni incomprensione deriva dalla mancanza di Spirito Santo. Altro che psicologi e terapie, si tratta di avere o non avere lo Spirito di Gesù Cristo che crocifigge ogni pensiero, parola e gesto, perché ci aprano al cuore dell’altro. Un padre senza Spirito Santo può fare e dire mille cose, serviranno a poco. Una moglie senza Spirito Santo non avrà misericordia del marito. Un prete senza Spirito Santo parlerà, farà omelie, si sgolerà, ma non resterà nulla. Ma anche oggi il Signore vuole donarci il suo Spirito, che rinnova in noi il miracolo dell’amore che ci farà passare per la porta stretta che distrugge l’orgoglio e ci fa servi degli altri. E’ ancora giorno, i fratelli sono accanto a noi e la «porta» è tenuta aperta dalla pazienza di Dio. Possiamo convertirci perché il «pianto» di oggi non ci accompagni domani e per l’eternità. La salvezza è dischiusa dinanzi a noi oltre la «porta stretta» del sepolcro del Signore. La forza dirompente della sua risurrezione ha rotolato via la pietra che ci impauriva. Il suo amore ci attira dietro a Lui nella «lotta» quotidiana per uscire dal peccato ed entrare nel Regno di Dio e sederci a «mensa» in compagnia dei Patriarchi e di tutti i peccatori salvati prima di noi.
Lasciamo che il Signore tagli via quanto in noi è troppo grande e ci impedisce di passare, per scendere dai «primi» posti della superbia che ci aveva condannato, all’«ultimo» dell’umiltà dove il Signore ci aspetta per salvarci. Entriamo attraverso la “porta stretta” che conduce alle acque del battesimo: sacramentalmente nella comunità cristiana, dove impariamo a spogliarci dell’uomo vecchio per accostarci alla fonte della Grazia che sono i sacramenti e la Parola di Dio; e poi nella vita di tutti i giorni, dove si attualizza quanto vissuto nella Chiesa: rigettare la via larga che conduce alla perdizione, che è dare soddisfazione alla carne e ai suoi desideri, giudicare, mentire, mormorare, per entrare nei fatti che ci aspettano disegnati a forma di Croce. In essi si schiude il Cielo, la riconciliazione, la pace, la vera felicità, l’abbraccio di Gesù.
Commento a cura di don Antonello Iapicca
Busshozan shi ko 31-1
Takamatsu, Kagawa 761-8078
Japan
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI
Verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13, 22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Parola del Signore