don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 30 Maggio 2022

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PIGIATI NEL TORCHIO CON CRISTO

Ci siamo, mancano pochi giorni al “compimento dell’opera di Cristo sulla terra”, ovvero cercare e salvare la pecora perduta per riportarla all’ovile. Per questo nel Vangelo di oggi appare con gli occhi “alzati verso il cielo” indicando a tutti noi il posto che ci ha preparato. E’ tutto pronto, basta solo accogliere la sua “Gloria” nella nostra povera carne, la Gloria dell’amore. Amore al Padre, ai discepoli, ad ogni uomo, amore compiuto nell’ “ora” della Croce, nella quale la Gloria di Dio è scesa sul Figlio perché Egli potesse, nella sua carne, glorificare il Padre. Non era mai successo che un uomo potesse rendere pienamente Gloria a Dio. Non a noi, che, come ogni uomo, siamo stati creati proprio per essere il riflesso della sua Gloria, ovvero la dimora del suo Spirito vivificante che, secondo il disegno del Creatore, avrebbe dovuto colmare ogni nostro pensiero, parola e gesto.

Ma, per l’inganno del demonio a cui abbiamo creduto, ciò non è accaduto. Quante mormorazioni, quanti giudizi, quanti peccati hanno sottratto la Gloria a Dio… Sì fratelli, soffriamo perché non possiamo rendere gloria a Dio con la nostra vita che, per questo, si trasforma in un caos che anticipa l’inferno. Ma proprio qui Gesù ha “compiuto l’opera che il Padre gli aveva dato da fare” manifestando nell’ultimo posto del mondo la Gloria di Dio. Anche nel peggior pezzo della nostra storia, nell’anfratto più oscuro del nostro cuore Gesù è sceso per deporvi la “Gloria del Padre”, che significa la sua presenza misericordiosa. Come, infatti, la sua “Shekinà” accompagnò il Popolo d’Israele nelle angosce dell’esilio a Babilonia, essa non ha mai abbandonato l’esilio dal paradiso di ogni uomo, scendendo sino ai bassifondi più corrotti. La “Gloria del Padre”, infatti, si è manifestata nel suo Figlio crocifisso, umiliato, disprezzato, rifiutato per raccogliere dalla discarica della storia la carne di ogni peccatore e riscattarla, facendone di nuovo una dimora per lo Spirito Santo. Così Gesù stesso è stato “glorificato dal Padre con la stessa Gloria che”, nella sua intimità, “aveva prima che il mondo fosse”: proprio per essere entrato nella morte, infatti, Gesù è stato risuscitato e accolto nel Cielo dove si è presentato “davanti” al Padre insieme a coloro che hanno accolto il suo sacrificio.


Nelle parole di Gesù del Vangelo di oggi si ode l’eco dello Shemà: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”. Un solo Dio, e un Popolo scelto ed eletto per manifestarlo al “mondo”. La santità di Dio, infatti, il suo essere totalmente altro, “separato” (significato della parola “santo”) si sarebbe manifestata nella santità del suo Popolo: “Siate santi, perché io sono santo (Lv 11,45). Ma, oggi come allora, è difficile essere santi, anzi impossibile; come fare allora per essere fedeli a questa missione in un “mondo” occupato e dominato dai pagani? “Un gruppo di farisei proporrà una soluzione radicale: se si crede nel regno di Dio occorre opporsi fortemente al «regno dell’impertinenza». E la resistenza si organizzerà proprio in Galilea” (F. Manns), dove Dio, non a caso, si era fatto carne, e nella quale erano stati scelti gli Apostoli.

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Essa era diventata ormai “la Galilea degli zelanti della legge… L’insurrezione in Galilea, organizzata dagli zeloti dopo l’anno 50, si radica in una profonda tradizione religiosa: Dio è il re d’Israele e il padrone della storia. Il dono della terra è il segno dell’alleanza. Arrogarsi la proprietà della terra come fanno i romani significa dar prova di un orgoglio smisurato, dell’appartenenza al regno dell’impertinenza. Essendosi i romani imposti con la forza, occorre fare tutto il possibile per liberare la terra. Alla violenza bisogna rispondere con la violenza. La sete di libertà che animava i rivoltosi scaturiva dal più stretto monoteismo. Era lo zelo della legge a spingerli ad agire” (F. Manns). Occorre tenere presente l’ambiente nel quale erano cresciuti gli Apostoli, e non dimenticare che, nonostante i tre anni passati insieme al Maestro, per loro “il suo parlare era rimasto oscuro”. Per questo le parole di Gesù nel Cenacolo toccano profondamente i loro cuori in attesa del Messia che “avrebbe ristabilito il Regno di Israele”. Si illudono di capire le sue parole: “ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini”. 

Sono convinti di “conoscere” Gesù: “Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi”. E “credono” che sia Lui “il Santo uscito da Dio” per liberare il Popolo dalla dittatura dei romani. Come noi, che pensiamo di aver capito il Signore e di credere in Lui. Ebbene oggi, all’inizio di questa settimana che ci prepara alla Pentecoste culmine della Pasqua, Gesù ci inchioda alla Verità: “Adesso credete?”. No cari fratelli, non crediamo, perché siamo ancora profondamente “scandalizzati” dalla Croce sulla quale Gesù ha compiuto lo Shemà rivelandosi come un Messia completamente diverso da quello atteso da Israele. Siamo “scandalizzati” della “santità di Dio” che non condanna il mondo ma “vince” il suo male per salvarlo; del suo essere “separato” dal nostro orgoglio sino a farsi il servo di tutti. Per questo come gli Apostoli, abbiamo “lasciato solo” il Signore. “E’ arrivata l’ora” del Calvario e siamo scappati: la malattia di nostro figlio, il lato sconosciuto e oscuro del carattere del nostro coniuge, il licenziamento, il tradimento dell’amico, la nostra debolezza che ci fa cadere sempre negli stessi peccati. E il male nel mondo, la sofferenza degli innocenti, le guerre, i terremoti, i disastri, le ingiustizie, il cancro.

Sì, la Croce ci ha “dispersi ognuno per conto proprio”, a ribellarci lontani da essa. Come “il mondo” abbiamo bisogno di essere salvati, che cioè sia “vinta” in noi la radice del male che ci “scandalizza” e “disperde” nella solitudine. Ma proprio l’abisso della nostra solitudine ha incontrato la solitudine di Cristo, e in essa, la sua intimità con il Padre. Lui non era solo! Proprio sulla Croce era inchiodato alla volontà del Padre; nell’amore che compiva lo Shemà gli era più intimo che mai e ci ha accolti nella loro intimità. Ti senti solo e sconfitto? Ascolta questo Vangelo e convertiti! Apri il tuo cuore a Cristo perché vi scenda per “vincere” il demonio che ti sta ingannando. La sua “vittoria sul mondo“, infatti, è Lo Shemà compiuto, la santità di Dio incarnata nella tua “dispersione”. Così, la Galilea dei Gentili, immagine di questo “mondo” disperso e rancoroso nel quale sei chiamato a vivere, non sarà più il luogo dove sperare un Messia giustiziere, ma quello dove tu possa ritornare ad essere “santo” a immagine e somiglianza di Dio: Io ho vinto il mondo! significa forse che Cristo è contro il mondo? No, piuttosto il contrario: questo mondo, che scaccia Dio dai cuori, viene restituito da Cristo a Dio e all’uomo come spazio dell’alleanza originaria, che deve essere anche l’alleanza definitiva quando Dio sarà tutto in tutti”. (Giovanni Paolo II).

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Non esiste un cristianesimo elitario che disprezza il mondo e i peccatori! Come Pietro e gli Apostoli dobbiamo scoprire che non siamo migliori né diversi dai figli del “regno dell’impertinenza”. Non del capoufficio, non del vicino di casa, neanche di chi ruba e uccide. Non ti scandalizzare per favore, perché il Signore ti “dice queste cose perché tu possa avere pace in Lui” che ti conosce e ti ama così come sei. Accetta dunque di avere bisogno, come tutti, che, attraverso la Chiesa, Cristo ti “restituisca” il mondo come un luogo dove poter amare e donarti. La prova che Dio ti ama è proprio che “avrai tribolazioni nel mondo”, tu che hai sperimentato di non essere capace di accettare la più piccola sofferenza. In esse, infatti, una volta salvato e rigenerato dalla Parola di Dio e dai sacramenti, potrai vivere pienamente nella “santità” di Dio perché crocifisso con Cristo si compirà in te lo Shemà; nell’amore a Dio con tutto te stesso,il Signore ti fa vittorioso sul male “separandoti” dal mondo per potergli annunciare la salvezza. Non si scappa: l‘amore autentico è soprattutto solitudine, perché ci fa partecipi della solitudine di Cristo: “nella donazione di sé sulla croce, Gesù depone, per così dire, tutto il peccato del mondo nell’amore di Dio e lo scioglie in esso” (Benedetto XVI).

Fratelli, è necessaria “la tribolazione”, l’essere “schiacciatipestati”, secondo il significato del termine greco. Anche oggi, infatti, il male e il peccato saranno deposti nel tino della nostra storia, dove con Cristo saremo schiacciati dall’amore di Dio: “Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l’uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile” (S. Agostino). Il trofeo della vittoria di Cristo, infatti, è proprio la solitudine che potremo assumere per il mondo che non può soffrire per amare: “Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse: ecco un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera. Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro. 

Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele!” (cfr. Nm. 23-24). Un popolo che dimora solo, e proprio per questo testimone e vessillo di salvezza. Israele prima, e il Messia che ha compiuto questa profezia, e la Chiesa poi, sino a ciascuno di noi: soli con il Solo, per strappare il mondo alla sua solitudine. Soli nel rifiuto del figlio, per salvarlo. Soli nella gelosia della moglie, per amarla. Soli ovunque, nell’intimità piena con Gesù, e in Lui con il Padre, per mostrare a tutti la “bellezza” della vita divina nella debole “tenda” della carne dei figli della Chiesa. Perché ogni uomo possa desiderare la stessa “fine dei giustificati”, ovvero il compimento della vita in Cristo che risplende nei cristiani, frutto della sua “vittoria” sulla morte e il peccato.