don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 30 dicembre 2018

NEL SENO BENEDETTO DI MARIA E DELLA CHIESA DIVENIAMO FIGLI DI DIO

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Quella volta, per la Santa Famiglia di Nazaret, il viaggio a Gerusalemme
era speciale: si andava per celebrare la Bar Mitswa di Gesù che, come ogni
ragazzo ebreo, giunto ai dodici anni, doveva recarsi al Tempio per divenire
“figlio della Legge”.

Per Maria si trattava di un nuovo parto: suo Figlio stava per entrare nel
mondo degli adulti, e Lei era lì ad accompagnarlo, come quella notte a
Betlemme. E non a caso sono i due momenti nei quali l’evangelista Luca
afferma che “sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”.

A Betlemme Maria ha partorito suo Figlio nel mondo, al Tempio lo doveva
partorire all’obbedienza che accoglie e si sottomette alla volontà di Dio
espressa nella Torah.

L’ “angoscia” di Maria inizia qui, nel suo cuore immacolato che comincia ad
essere trapassato dalla spada; come quello di ogni madre di fronte al
futuro adulto dei figli. Insieme a Giuseppe lo avevano portato a
Gerusalemme “secondo l’usanza”, ma di sicuro Maria aveva intuito che quella
di Gesù non era una Bar Mitswà come tutte le altre.

Sapeva di essere era la Madre del Messia. E infatti, sulla strada del
ritorno accade di nuovo un imprevisto misterioso e doloroso: quel Figlio le
era sfuggito, “senza che se ne accorgessero”. Maria doveva imparare ancora,
perché anche questo fa un “cuore immacolato”.
Lo “cerca” nella carne, negli affetti, nelle abitudini, nelle mappe
dell’esistenza disegnate faticosamente con l’esperienza, quelle con le
quali tutti cerchiamo di orientarci tra gli eventi e le persone; ma non era
lì che doveva “cercarlo” e, infatti, “non avendolo trovato, “torna” in
cerca di lui a Gerusalemme”.

E’ un primo passo, accetta di non aver capito e “torna” indietro, perché la
fede è un cammino di liberazione continua da se stessi, e Maria, per
accompagnare Gesù alla Bar Mitswà della Croce, per essere Madre della
Chiesa e Madre nostra, doveva camminare docile nella volontà di Dio,
“custodendo nel cuore ogni cosa” che la spogliava delle certezze umane, per
entrare nella notte che segna il passaggio al giorno della risurrezione.

Dopo “tre giorni”, infatti, “trovarono Gesù nel Tempio, seduto in mezzo ai
dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano
erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”.

E’ una profezia di ciò che, dopo la resurrezione, il Signore avrebbe
compiuto nella sua Chiesa attraverso i secoli, sino ai confini della terra:
colma dell’ “intelligenza” della Croce, offrirà la “risposta” della
resurrezione alla domanda di ogni uomo di fronte al dolore e alla morte.

Maria era giunta proprio lì, dentro a quella profezia. Vi era “discesa”
nella carne per cercare suo Figlio, vi ha trovato nella fede il Messia
Figlio di Dio che “deve occuparsi delle cose del Padre suo”. E Maria tace.
Il suo “cuore immacolato” accetta di non capire.

E’ la fede di Madre che si fa adulta abbracciando per “custodire e meditare
nel cuore” la Parola, senza la quale nessuna Bar Mitswà del Figlio sarebbe
autentica. E nella fede Maria lascia andare suo Figlio, nell’attesa umile
che sia Dio, nel suo “cuore immacolato”, a spiegarglielo, se, come e quando
avrebbe voluto.

Quante Bar Mitswà abbiamo celebrato con i nostri figli? Nessuna,
probabilmente, e non perché non siamo ebrei. Quante volte, cioè, ci siamo
fermati dinanzi al loro mistero? Ci sono atteggiamenti, parole, gesti
incomprensibili, soprattutto peccati inaccettabili.

Hai discusso con lui? Se sì, significa che hai cercato “nella carovana”
della carne le risposte, anche quando hai pensato di trovarle nella
religione, perché, a differenza di Maria, la tua relazione con lui è
viziata all’origine dalla menzogna del demonio.

Dubiti di Dio, e per questo il cuore non è aperto alla speranza del Cielo
capace di porre la relazione sul piano divino. Ti manca la fede adulta che,
anche di fronte al peccato inaccettabile, conosce la speranza; ami tuo
figlio nella carne, non con l’amore che sgorga da un “cuore che serba le
opere di Dio meditando le con umiltà”.

Però ci è impossibile cambiare il nostro cuore. Certo, ma non lo è per Dio,
e per la sua Chiesa, nella quale possiamo rinascere con un cuore nuovo.

Un cuore capace di accompagnare i figli alla loro Bar Mitswà, ad accogliere
cioè la Parola perché diventi la luce per ogni loro passo; e questo non si
può fare se essa non lo è prima diventata per noi.

Anche i nostri figli, infatti, per “occuparsi delle cose di loro Padre”
hanno bisogno come Gesù di una madre che glielo insegni. Hanno bisogno cioè
di genitori che “siano sottomessi” a Dio loro per primi, come Gesù proprio
nella sottomissione di Maria alla volontà di Dio ha imparato a obbedire
alla Torah “tornare a casa” per “stare loro sottomesso” come a Dio; vuoi
che tuo figlio ti obbedisca? Sottomettiti a Dio, e vedrai che prima o poi
riconoscerà nelle tue le Parole di Dio autentificate dalla tua vita.

I nostri figli hanno bisogno di genitori che, prima di loro, hanno imparato
alla scuola di Maria a pensare, discernere e amare con un “cuore puro”
gestato, nato e cresciuto nella fede nelle grembo fecondo della Chiesa.

Allora sapremo essere uscire dalla “carovana” per essere dinanzi ai nostri
figli come Maria dinanzi al suo; perché amarli come Lei ha amato suo Figlio
significa amare e servire innanzitutto la volontà di Dio in loro.

Per te e per me significa amare Dio più di tuo figlio, del tuo figlio nella
carne, delle tue speranze e dei tuoi progetti, di tutto quello che si
impara e si vive “nella carovana, tra parenti e conoscenti”.

Perché se sei un cristiano, sei figlio della Vergine Maria, e anche a te è
stata annunciata la stessa profezia di Simeone: anche tuo figlio ha
un’elezione speciale, sarà un segno di contraddizione, e per questo, e non
per altro, anche oggi il tuo cuore sarà trapassato da una spada.

Impara da Maria, allora, e ti accorgerai che hanno bisogno della tua fede,
solo di quella. In ogni evento si nasconde, infatti, la mano di Dio che
conduce tuo figlio, con pazienza e fedeltà sino al compimento della sua
vocazione.

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