don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 3 Agosto 2022

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IL SILENZIO DI GESU’ NEL QUALE E’ GESTATA LA “FEDE GRANDE” DELLA CHIESA

Prima di guarirci, Gesù ci rivela che siamo pecore perdute del suo gregge illuminando come, con la nostra libertà, abbiamo scolorito in noi l’immagine di Dio; il suo silenzio ci spinge a rientrare in noi stessi, nella verità che apre all’umiltà e alla compunzione; rende contrito il cuore per aiutarci a credere che Lui è “capace di trasformare un cagnolino in una pecora di Israele” (San Beda).

A Gesù non interessa somministrarci un antidolorifico, Lui ci rivuole come fratelli, per farci vivere come figli di suo Padre. Per questo, i suoi silenzi che sembrano non esaudire le nostre preghiere, sono il segno del suo amore infinito; proprio quando non parla, ci ama più intensamente perché illumina la verità della nostra superbia che esige, pone condizioni e non si abbandona, difende spazi per il propio ego, i criteri e i progetti, e non consegna al Padre la vita come un foglio bianco.

Il suo silenzio ci fa scendere sino agli estremi, come la figlia della donna pagana, per giungere a prostrarci davanti a Lui nudi e senza difese, consapevoli di non avere alcun diritto, per gustare pienamente la gratuità della sua misericordia. Nulla ci può rendere indegni del suo amore. Nulla tranne la superficialità della superbia. Accogliamo la Verità, per accogliere, nella Chiesa, la fede adulta che si nutre del pane di vita. La fede che ci ottiene quello che desideriamo, perché il nostro desiderio sarà, in tutto, quello di essere e vivere come pecore del suo gregge. Allora, all’istante saremo guariti nell’intimo e, di nuovo sposati a Lui nell’amore e nella fedeltà, potremo amare e dare frutti di vita eterna per il mondo.

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Come il Buon Pastore alla ricerca della sua pecora perduta, Gesù esce dai confini di Israele per cercare la sposa adultera e idolatra, che si è allontanata dalla santità dell’unione sponsale per la quale è stata creata. Ogni uomo infatti, di qualunque cultura e di qualunque religione sia, è da sempre pecora sua. Solo Lui conosce personalmente ciascuno di noi, e sa bene dove andarci a cercare. Per questo Gesù varca i confini di Israele, spingendosi nella “zona di Tiro e Sidone”, situata a nord-ovest della Galilea, i cui abitanti adoravano i Baal e le Ashere, attraverso riti che, per ottenere la fertilità, si tingevano di aspetti sessuali e orgiastici.

Gesù si introduce in territorio nemico, tra i cananei che hanno da sempre insidiato Israele, per scendere tra i sette popoli pagani, immagine dei sette peccati capitali hanno rapito il cuore dell’uomo. “Si ritira” in terra pagana perché aveva un appuntamento d’amore a tutti sconosciuto: vi doveva incontrare quella “donna Cananea, che veniva da quella regione”: Lui era lì per lei. Tutti noi, oggi, abbiamo una “figlia straziata dal demonio”: la schiavitù a qualche peccato, l’impossibilità di accettare quel fatto, qualcosa insinuata dal demonio ferisce l’immagine di Dio e rattrista lo Spirito Santo. E proprio lo Spirito geme in noi che non capiamo e non sappiamo, come il grido di questa donna. Ma viene oggi Gesù, Vviene per noi, come se fossimo l’unica persona su questa terra.

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Anzi, è già accanto a noi; Lui vicino a noi cambia tutto, e questa terra pagana, e il tormento provocato dal demonio, ci diventano all’improvviso alieni, scopriamo che non ci appartengono, e il dolore che abbiamo nascosto, prorompe in un grido: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Ma proprio in questo momento nel quale ci si aspetterebbe la risposta e l’intervento di Gesù, accade l’impensabile: alla nostra preghiera Gesù oppone il silenzio, e “non ci rivolge neanche una parola”. Niente, se non una risposta che sembra la fucilata di un estremista: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele!”. Ma come, io qui gridando e implorando, e Tu rispondi così? E’ il momento in cui tante anime capricciose e infantili disperdono il grido innescato dalla fede e lo trasformano in imprecazione e bestemmia.

Ma proprio questo è l’incrocio decisivo per la nostra vita! Possiamo lasciare ancora libertà all’orgoglio dell’uomo vecchio, e credere all’ennesima menzogna del demonio, oppure ascoltare, umilmente, senza scappare dalla realtà, come la donna cananea che, per questo, si era “prostrata” dinanzi a Gesù. Al culmine della sofferenza aveva compreso che proprio a lei era stato inviato il Signore; in un lampo che suppone un lungo cammino di umiliazione, aveva scoperto d’essere lei una delle pecore perdute di Israele. Aveva abbandonato l’immagine originaria nella quale era stat creata; invece del figlio di Dio aveva generato una figlia per il demonio, invece di una vita santa, ne aveva vissuta una immonda. Ma ora, nonostante i peccati che l’avevano gettata fuori dalla famiglia di Dio, come è accaduto al figlio prodigo, riconosce in sé stessa una relazione che nulla avrebbe potuto cancellare.

E a questa relazione originaria precedente il peccato originale si appella, anche se, come il figlio minore, non si sente più degna d’essere chiamata figlia ma solo un “cagnolino”; ma, come lui, anche lei sa che, in casa di suo Padre, può mangiare le “briciole” che cadono dalla tavola dei figli. Sa che una briciola di quel pane è capace di salvare sua figlia, di riportare la sua anima alla dignità perduta. E questa è la “fede grande”, la fede adulta della Chiesa, la “donna” che ha conosciuto se stessa sperimentando l’amore rigenerante del suo Sposo, e ha avuto l’audacia della fede per avvicinarsi, lei pagana, a un rabbì ebreo, nella certezza invincibile che non l’avrebbe rifiutata.

La risposta di Gesù non è dunque un rifiuto, ma l’annuncio della verità che prepara e accende la fede nel suo amore infinito. Per questo Gesù, prima di guarirci, ci rivela che siamo noi “le pecore perdute” del suo gregge illuminando come, con la nostra libertà, abbiamo scolorito in noi l’immagine di Dio; il suo silenzio ci fa rientrare in noi stessi, nella verità che apre all’umiltà e alla compunzione, rende contrito il cuore per aiutarci a credere che Lui è “capace di trasformare un cagnolino in una pecora di Israele” (San Beda). A Gesù non interessa somministrarci un antidolorifico, Lui ci rivuole come fratelli, per farci vivere come figli di suo Padre.

Per questo, i suoi silenzi che sembrano non esaudire le nostre preghiere sono il segno del suo amore infinito; proprio quando non parla, ci ama più intensamente perché ci illumina la verità per spingerci nel cammino che ci conduce a prostrarci davanti a Lui nudi e senza difese, consapevoli di non avere alcun diritto, per gustare pienamente la gratuità della sua misericordia. Nulla ci può rendere indegni del Suo amore. Nulla tranne la superficialità della superbia.

Accogliamo la Verità, per accogliere, nella Chiesa, la fede adulta che si nutre del pane di vita. La fede che ci ottenga “quello che desideriamo”, perché il nostro desiderio sarà, in tutto, quello di essere e vivere come pecore del suo gregge. Allora, “all’istante” saremo “guariti” nell’intimo e, di nuovo sposati a Lui nell’amore e nella fedeltà, potremo amare e dare frutti di vita eterna per il mondo.

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