don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 29 Novembre 2021

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PER MEZZO DELLA FEDE CHE CI DONA LA CHIESA CRISTO SCENDE NELLA NOSTRA VITA PER GUARIRE IL NOSTRO CUORE PARALIZZATO E RICREARCI COME SERVI


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Siamo stati creati in Cristo, in Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti; ma la realtà è che, nati per servire, giacciamo distesi in un letto d’impotenza, incapaci d’amare e di servire. E soffriamo terribilmente. Desideriamo che la nostra vita sia quella che Dio ha pensato, ma proprio non ce la facciamo. I ricordi, le sofferenze, le angosce, i tradimenti, la solitudine, le delusioni, la morte del nostro essere più profondo incontrata appena abbiamo tentato di donare qualcosa di noi ci ha “paralizzati”. La libertà dell’altro che si fa peccato, è oscurità che ci inghiotte e paralisi che ci blocca nella paura. Per questo, alle porte di questo nuovo Avvento, la Chiesa ci pone dinanzi la figura di questo centurione, nel quale possiamo vedere ciascuno di noi.

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Egli ha incontrato il Signore, il Kyrios che, con una parola, ordina alla morte di far posto alla vita. Il centurione non rappresenta una fede magica; egli fa presente il cammino dentro il dolore e l’angoscia e l’approdo alla certezza di una fede adulta sperimentabile. Esperto della struttura imperiale, sapeva che l’autorità conferiva il potere di comandare e farsi obbedire; subalterno del Caesar-Kyrios partecipava del suo potere. Nell’incontro con Gesù, dal profondo dell’angoscia, si fonda sulla propria esperienza per “scongiurarlo” di esercitare l’autorità ed il potere che gli riconosceva. Il centurione, pagano, ha sperimentato la sua impossibilità di fronte al male, pur avendo autorità e potere nella società; e lì, in fondo alla discesa nella verità, ha incontrato un altro Kyrios, quel Rabbì galileo, al quale consegnare la sua vita per salvare quella del servo.

“Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”: è cosciente della sua indegnità, non fa parte del Popolo eletto, e sa che, per la Legge, quel rabbino non può contaminarsi ed entrare in casa sua. Ma, e qui appare la novità della fede, non si ferma a questo. L’amore per il suo servo, l’angoscia per la sua sofferenza, lo rende audace più di quanto non sia indegno. Ha a cuore la sorte del suo servo e questo lo spinge ad oltrepassare le barriere della Legge. Egli sa che Cesare, il Kyrios di Roma, può infrangere la Legge perché ne è lo stesso autore: una sola parola e la Legge cambia. Questa è la fede del centurione! Quell’Uomo è un Kyrios ancora più potente, la sua Parola può compiere quello che per l’uomo è impossibile, perché quella Parola è molto più della legge, è la vita stessa più forte della morte, è l’amore che vince il peccato.

Il centurione ha sperimentato l’amore che lo ha accolto offrendosi di “andare Egli stesso a casa sua”, in un luogo impuro, e curare il servo malato; di fronte alla risposta inaspettata che rompe ogni schema legalistico, il centurione riconosce la novità, la grandezza e la speranza che porta con sé: quell’Uomo è disposto a sporcarsi con lui, con le sue cose, con i suoi peccati; quell’Uomo, uscendo da se stesso e non difendendo gelosamente i suoi diritti divini, vuole scendere “nella sua casa” di schiavitù. Quell’Uomo è Kyrios perché può andare oltre la Legge, e dimostra il suo potere in una forma radicalmente diversa da quella di tutti gli altri signori: Gesù è tanto potente da mettere da parte il suo potere, da obbedire invece di farsi obbedire, da servire invece di farsi servire.

“Io verrò e lo curerò!”: in queste parole è tracciata tutta l’esperienza del centurione, quella sconvolgente di un amore mai visto che lo spinge sino alla certezza, alla fede che gli illumina il cuore; solo un Kyrios così può salvare il mio sottoposto, solo chi si è fatto servo può raggiungere, toccare e sanare il mio servo. Solo un Dio che si è fatto uomo come ciascuno di noi ci può davvero salvare, strappare dalle tenebre e dalla morte.Con il centurione possiamo, in questo tempo, imparare l’umiltà che sorge dalla verità e implorare dal Signore la Parola capace di sottomettere all’obbedienza la nostra volontà schiava della superbia.

Perché guarire è tornare a servire in virtù di un cuore che obbedisce alla volontà di Dio. Per questo Dio si è incarnato proprio per compiere questa guarigione dell’uomo dal di dentro, dalla sua stessa carne paralizzata. Che il Signore ci conceda in questo Avvento di ascoltare la Parola del Signore che ha il potere di liberarci.