COME SIMEONE E ANNA NELLA COMUNITA’ VEDIAMO LA PAROLA FARSI CARNE PER SALVARE OGNI FRAMMENTO DELLA NOSTRA VITA E DIVENIRE SEGNO DI CONTRADDIZIONE PERCHE’ IL MONDO SI DESTI E CONVERTA
Simeone, l’attesa che ascolta per vedere il Cielo. Simeone, la storia di Israele come la storia di ogni uomo racchiusa in una promessa. Simeone, orecchi e occhi sulla soglia del suo compimento. Simeone, infatti, è la traduzione di “Shime’on”, nome ebraico tratto da “sh’ma”, che significa ascoltare: “Shemà Israel, Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore Dio tuo con tutte la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze, e il prossimo come te stesso. Fa questo e avrai la vita eterna“.
Simeone, come ogni ebreo, ascoltava e pregava queste parole ogni giorno; sapeva che il compimento dello Shemà era la salvezza, ma la carne glielo rendeva impossibile. Per questo “attendeva la consolazione”, qualcuno che fosse con-lui per compierlo. Lo Spirito Santo, infatti, gli aveva assicurato “che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore”: non sarebbe cioè morto nei peccati per non aver obbedito allo Shemà, perché prima avrebbe visto il Messia realizzare con esso la sua “salvezza”.
E così, proprio in quel giorno, lo Spirito lo muove verso il Tempio a vedere ciò che aveva ascoltato. E la salvezza non poteva essere che quel Bambino accompagnato da Giuseppe e Maria, ‘anawim come lui che era “un uomo giusto e pio”. Proprio quella Famiglia santa era ai suoi occhi pieni di Spirito Santo il “segno” che l'”ora” del Messia era giunt. Niente trombe e fanfare, solo e semplicemente una povera Famiglia che entrava, come “luce”, nel Tempio.
Ed era giusto così: per salvare ciò che era perduto il Messia doveva essere un “segno di contraddizione”, uno scandalo che “rivelasse i pensieri di molti cuori” ingannati dal demonio. Non poteva adeguarsi agli schemi e ai progetti umani. Avrebbe saziato la fame di giustizia dell’uomo della carne e non lo avrebbe guarito. Per riscattare gli orgogliosi incapaci di riconoscersi creature al cospetto dell’unico Dio, doveva diventare l’ultimo di tutti. Per perdonare l’incapacità di amare, doveva farsi servo al posto di chi non aveva voluto servire.
Si doveva fare peccato perché la “spada” della profezia di Ezechiele giungesse sulla sua carne e risparmiasse i peccatori. Eccola infatti sua Madre, il seno benedetto dove Dio si era fatto carne per offrirsi in sacrificio e salvare,, l’anima che avrebbe accolto con suo Figlio la “spada” destinata all’umanità.
Sì, quel Bambino giunto nel Tempio di Gerusalemme avrebbe portato a compimento lo Shemà nella sua Pasqua, introducendo con la sua carne crocifissa e risorta in quella stessa città l’umanità redenta nel Tempio del Cielo. Con Lui sarebbero “caduti” nella morte i peccatori per “risuscitare” in una vita nuova.
Prendendo in braccio il bambino Gesù Simeone aveva toccato l’impossibile reso possibile nella notte di Pasqua: “Così come Dio al principio creò dal nulla un mondo perfetto, così ha creato dal nulla il suo popolo. Israele non è frutto di un processo evolutivo, come avviene per tutti i popoli, ma creazione di Dio, che sfida ogni legge della natura e della storia” (Maharal, I pozzi dell’esilio).
La notte di Pasqua è stata dunque un parto prodigioso, perché vi nacque un Popolo che, secondo le leggi della natura e l’esperienza della storia, non avrebbe dovuto vedere la luce. Come Gesù, il figlio della verginità. E “ora”, dopo quaranta giorni dalla sua nascita, come dopo i quarant’anni passati dal popolo neonato nel deserto, Simeone “accoglieva tra le braccia” la Pasqua compiuta.
Quel Bambino, infatti, era già la Terra Promessa a Israele come un segno della “salvezza preparata da Dio davanti a tutti i Popoli”. E Simeone, abbracciando Gesù, vi stava per entrare; poteva finalmente benedire Dio come Giacobbe quando rivide il volto di Giuseppe che credeva morto a causa dei peccati dei suoi fratelli. E dire: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”.
Nel volto di Gesù Simeone aveva visto ciascuno di noi, salvati da quel Bambino. Accogliamolo allora “ascoltando” l’annuncio dello Spirito Santo che ci consegna la Chiesa. Potremo “vedere” anche noi compiersi la Parola, come i pastori la notte di Natale che si dissero l’un l’altro “andiamo a vedere questo avvenimento”: “Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne” (Benedetto XVI).
Coraggio allora, la salvezza si può vedere. Non abbiamo più bisogno di immaginare la felicità. E’ finito il tempo della manna, ora Dio lo possiamo stringere e mangiare, e saziarcene sino a diventare noi stessi pane per gli altri. Basta indurire il cuore, son passati i quarant’anni spesi a mormorare e a perdere tempo facendosi immagini di Dio strozzate nell’idolatria dei vitelli dorati che ci hanno sempre deluso.
E’ giunto il tempo in cui lo Spirito Santo ci apre gli occhi sul Bambino che Maria, immagine della Chiesa, ci offre nel Tempio che è la comunità cristiana. Abbracciandolo ci sentiremo abbracciati. No, niente sentimentalismi… Dio s’è fatto carne non un cioccolatino! Si è donato a noi sulla Croce per farci sperimentare il perdono dei peccati, la “salvezza” appunto. La sua “Gloria” avvolgerà di Luce ogni nostro passo, ogni relazione, ogni evento!
La possiamo “vedere” ascoltando l’annuncio e lasciando che lo Spirito Santo ci illumini e ci faccia inginocchiare confessando i peccati per accogliere il perdono. E “vedremo” la salvezza farsi carne in noi, liberandoci dalla schiavitù ai vizi e alle menzogne, alle ipocrisie e agli idoli. Sarai sincero, spegnerai il PC e starai con tua moglie e i tuoi figli, donerai te stesso, il tuo tempo e i tuoi soldi. Sarai felice!
Perché la salvezza si “vede” stringendo quello che il peccato ci impediva di guardare. Accogliendo ciò che agli occhi della carne appare piccolo come un bambino, i fatti che ci umiliano, l’esatto contrario di quello che un cuore superbo desidera. Vuoi “vedere” la tua vita compiuta al punto di benedire Dio come Simeone nella “pace” di chi non manca di nulla e non desidera altro che il Cielo? Guarda Maria “ora”, mentre ti sta consegnando la tua vita nella quale si è fatto carne Dio. E “ascolta” il suo annuncio, perché Cristo è risorto davvero, ha vinto ogni peccato che ti impedisce di amare; aspetta solo che tu l’accolga per compiere in te lo Shemà che ti farà gustare il Paradiso, oggi.
Lc 2, 22-35 Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».