IL MARTIRIO DELLA VERITA’ CHE CI FA LIBERI DI SERVIRE L’OPERA DI DIO IN OGNI UOMO
Un cuore radicato in Dio, anche se cade, è capace di contrizione e di umiltà. Anche se la mareggiata della passione ne ha sconvolto gli equilibri, può tornare ad aggrapparsi all’àncora che non ha smesso di legarlo misteriosamente a sé. Erode invece ha scelto il peccato, lo ha scelto nel fondo del suo intimo, laddove l’uomo è completamente libero e si giocano le sue sorti; Erode ha reciso la fune che lo legava all’àncora e la tempesta ha rotto, inesorabilmente, gli ormeggi. Lo si comprende al «momento propizio», che può essere quello in cui il Signore scuote la coscienza intorpidita, ma anche quello in cui il demonio sferra l’attacco decisivo.
Per Davide, dopo il peccato di adulterio e omicidio, il «kairos» è giunto con il profeta Natan, le cui parole dissolvono la menzogna e lo conducono al pentimento: «ho peccato» risponde, senza accampare scuse; così, nel riconoscersi peccatore, Davide accetterà, umilmente, le sofferenze che ne conseguono. Erode non può. Il rancore di Erodiade, alla quale aveva consegnato l’anima, lo trascina nell’abisso, perché l’accendersi di una passione spalanca sempre il passo a peccati più gravi. Per questo l’episodio di Erode ci invita a chiedere a Dio la grazia del cuore di Davide, pronto al pentimento, a rientrare in se stesso come il figliol prodigo, ad ascoltare la voce dei profeti che, con amore e fermezza, ci chiamano a conversione: ispirati da Dio, i pastori, i catechisti, i fratelli, i genitori, il coniuge, illuminano quanto, nella nostra vita, «non è lecito» ed è destinato a restare senza figli, svelando la parte di noi che, infeconda, appartiene alla terra ed è incapace di ereditare il Cielo.
La correzione, certo, quando arriva fa male, perché graffia l’orgoglio che ci vorrebbe impenitenti, ma poi reca il bene immenso della libertà. Accettiamo la correzione, per divenire liberi come Giovanni, senza paura e lontani dai compromessi, dalle ipocrisie e dai ricatti, sino a perdere la testa, cioè oltrepassando “il lecito” della ragione strozzata dalla ricerca del proprio tornaconto; così mostreremo al mondo che non è lecito chiudersi in ciò che è lecito per assecondare la carne, mentre è lecito perché secondo Dio e per il bene dell’uomo, abbandonare schemi e criteri che appesantiscono mente e cuore nell’egoismo, per uscire da se stessi e donarsi senza riserve.
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Sì, si può perdere la testa per Gesù. La verità, quella che ci fa liberi, quella che non è barattabile, la nemica dei falsi compromessi volti a salvare la pelle, fa perdere la testa. Ci sono sempre tagliatori di teste in cerca di poveri profeti disarmati che annunciano senza posa la verità. E la verità, normalmente è scomoda. Ne sappiamo qualcosa anche noi, quando qualcuno osa rimproverarci, evidenziarci un errore, un peccato.
La verità che la Chiesa ci annuncia ci fa liberi, smaschera il serpente antico e le sue menzogne che ci tengono schiavi, e apre la strada al liberatore, il Signore Gesù, la Verità incarnata per la nostra salvezza. “Non ti è lecito” gridava Giovanni Battista, e non per un rigido legalismo, ma perché sei creato per essere libero, felice, e non ti è lecito andare contro natura, il peccato non si addice all’uomo, genera la morte, sempre. Erode si era infilato in una strada senza ritorno, condannandosi ad una vita sterile, chiusa nell’egoismo. Una vita infelice: “Se uno prende la moglie del fratello è una impurità, egli ha scoperto la nudità del fratello; non avranno figli” (cfr. Lv. 18,16 e 20,21).
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La concupiscenza lo aveva accecato per trasformarlo in oggetto della maledizione più grande, quella di non avere figli; non vi era cosa più disonorante che scendere nella tomba senza una discendenza, perché era il segno di una vita senza frutto, scivolata via senza amore, senza consistenza, una vita in fumo. Come è accaduto a Davide che, alla vista della bellezza di Betsabea, chiude in prigione ragione e fede, si lascia trascinare dai vortici della passione, e macchina piani e menzogne per dar corpo agli sconvolgimenti dell’istinto ormai senza freno. Morirà Uria, ucciso dalla malizia di Davide. E morirà il bambino nato dalla passione, perché ogni pensiero e ogni azione che non siano ispirate da Dio attraverso la ragione illuminata dalla fede sono senza frutto. Erode «ascoltava perplesso», vigilava, temeva. Ma non era sufficiente. Aveva ormai consegnato il cuore a Erodiade.
Al contrario di Davide, peccatore, fragile, ma, inspiegabilmente per chi legge le cose solo carnalmente, proprio lui è il campione dell’uomo secondo il cuore di Dio. Il punto è tutto qui. Un cuore radicato in Dio, anche se cade, è capace di contrizione e di umiltà. Anche se la mareggiata della passione ne ha sconvolto gli equilibri, può tornare ad aggrapparsi all’àncora che non ha smesso di legarlo misteriosamente a sé. Erode invece ha scelto il peccato, lo ha scelto nel fondo del suo intimo, laddove l’uomo è completamente libero e si giocano le sue sorti; Erode ha reciso la fune che lo legava all’àncora e la tempesta ha rotto, inesorabilmente, gli ormeggi. Lo si comprende al «momento propizio», che può essere quello in cui il Signore scuote la coscienza intorpidita, ma anche quello in cui il demonio sferra l’attacco decisivo.
Per Davide il «kairos» è giunto con il profeta Natan, le cui parole dissolvono la menzogna e lo conducono al pentimento: «ho peccato» risponde, senza accampare scuse; così, nel riconoscersi peccatore, Davide accetterà, umilmente, le sofferenze che ne conseguono. Erode non può. Il rancore di Erodiade, alla quale aveva consegnato l’anima, lo trascina nell’abisso, perché l’accendersi di una passione spalanca sempre il passo a peccati più gravi. Per questo l’episodio di Erode ci invita a chiedere a Dio la grazia del cuore di Davide, pronto al pentimento, a rientrare in se stesso come il figliol prodigo, ad ascoltare la voce dei profeti che, con amore e fermezza, ci chiamano a conversione: ispirati da Dio, i pastori, i catechisti, i fratelli, i genitori, il coniuge, illuminano quanto, nella nostra vita, «non è lecito» ed è destinato a restare senza figli, svelando la parte di noi che, infeconda, appartiene alla terra ed è incapace di ereditare il Cielo.
La correzione, certo, quando arriva fa male, perché graffia l’orgoglio che ci vorrebbe impenitenti, ma poi reca il bene immenso della libertà. Accettiamo la correzione, per divenire liberi come Giovanni, senza paura e lontani dai compromessi, dalle ipocrisie e dai ricatti, sino a perdere la testa, cioè oltrepassando “il lecito” della ragione strozzata dalla ricerca del proprio tornaconto; così mostreremo al mondo che non è lecito chiudersi in ciò che è lecito per assecondare la carne, mentre è lecito perché secondo Dio e per il bene dell’uomo, abbandonare schemi e criteri che appesantiscono mente e cuore nell’egoismo, per uscire da se stessi e donarsi senza riserve.