LA GRANDEZZA DEI PICCOLI, IL CIELO SULLA TERRA
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE
Vi è una piccolezza che è l’unica e autentica grandezza. Un mistero, un arcano che rimane velato ai discepoli perché non si tratta di un insegnamento da recepire intellettualmente, di una legge morale, di una meta da raggiungere, di un impegno da prendere. E’ la piccolezza rivelata sulla Croce. E’ lì che Gesù sarà apostolo perfetto del Padre; sulla Croce tutto sarà compiuto. All’udire l’annuncio di questo compimento – il passaggio doloroso del Messia nel rifiuto, nell’umiliazione e nella morte di croce – i discepoli restano come indifferenti, rimuovono la questione in modo del tutto naturale, secondo la carne, e, in tutta risposta, cominciano a discutere su chi, tra loro, fosse il più grande. Letteralmente, entra in loro un pensiero, ovvero, secondo il significato originale del termine “dialogismos”, una riflessione interiore e non di una vera e propria discussione tra i discepoli.
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Ciascuno dialoga con se stesso, ed è la trappola più subdola: l’orizzonte celeste è chiuso, si guarda solo a se stessi, non si riconosce un Altro cui sottoporre i propri pensieri; non si ascolta, è pura solitudine e soliloquio, profezia di una morte incipiente. Dialogando con se stessi ci si consola, ci si vizia, ci si compatisce; o, al contrario, ci si disprezza, ci si giudica senza misericordia. Su tutto campeggia un idolo che si fa sempre più grande, il proprio ego, inizio e fine di ogni pensiero, desiderio, progetto. Sono evidenti le tracce del diavolo, di colui che, attraverso il dialogo, ha diviso il cuore dell’uomo, spezzando il filo di abbandono, dipendenza e obbedienza fiduciosa che lo legava al suo Creatore. Dialogando con se stessi su chi fosse il più grande, i discepoli, senza rendersene conto, dialogavano con il demonio, nemico della Croce.
Come ci accade di fronte alla via crucis che ci attende allo schiudersi di un nuovo giorno, e ci troviamo a dialogare con noi stessi, cercando di scoprire la nostra grandezza, il peso nella famiglia, tra gli amici, nel matrimonio, con il fidanzato, a scuola e al lavoro. Cerchiamo una grandezza che ci rassicuri, che scacci timori e precarietà, che ci strappi all’insignificanza, che dia sostanza al nostro stare al mondo. Per questo Gesù, conoscendo la nostra debolezza, prende anche oggi un bambino e lo pone accanto a sé. Che significa? I bambini, nella società di duemila anni fa, erano nulla, erano non persone, miserabili, pitocchi, secondo la traduzione dell’originale termine greco del Vangelo. Al bambino era negato anche il diritto alla vita. Nel caso suo padre non lo avesse accolto in famiglia, il bambino poteva essere gettato fuori, buttato giù da una rupe, lasciato per strada a morire, o essere ceduto come schiavo. Così oggi Gesù, prendendo vicino a sé un fanciullo, ci presenta a noi stessi! Ci svela verità che il demonio vuole occultarci.
Siamo bambini che dipendono in tutto da Dio! Viviamo per pura Grazia, e questa è la nostra unica e autentica grandezza: nella misura in cui ci lasciamo amare, la grandezza di Dio colma la nostra vita; presi e posti accanto a Cristo siamo grandi, come il ladrone crocifisso al suo lato. Era lì, ed è entrato in Paradiso con il Signore, il primo di tutti… Coraggio allora, facciamoci prendere da Gesù e lasciamoci crocifiggere con Lui, perché i fatti che oggi ci umilieranno ci purificheranno conducendoci alla verità, all’originalità di ciascuno, che è quella di Adamo prima del peccato, obbediente e abbandonato al Padre. La Croce, infatti, spogliandoci della menzogna, ci unisce a Cristo che, per salvarci, si è fatto il più piccolo di tutti. Non saremo soli nelle difficoltà!
C’è Lui che ci prende e ci accoglie nella sua intimità per ridonarci la dignità perduta. Allora, è all’ultimo posto che nasce la vera comunione con i fratelli, segreto di un matrimonio santo, di un fidanzamento autentico e di un’amicizia inossidabile, perché la propria realtà accettata umilmente è il grembo che accoglie l’amore di Dio. Nella Verità, infatti, cessano le invidie, le gelosie e gli antagonismi; nella debolezza e nell’indigenza comune a marito e moglie, prete e parrocchiani, genitori e figli, fratello e fratello, opera la stessa potenza di Dio che scaccia il demonio. Nella comunità cristiana è impossibile impedire a Cristo di compiere il bene! L’imperfetto usato nell’originale greco, infatti, indica proprio il tentativo ripetuto e fallito di impedire al tale di scacciare il demonio. Ciò significa che chi cammina nella Chiesa e scende ogni giorno i gradini dell’umiltà, impara ad accogliere se stesso (piccolo e debole) e gli altri (così come sono) “nel nome di Gesù”, ovvero nel suo potere che opera miracoli quando, dove e in chi proprio non ce lo aspetteremmo.
In te e in me, come in tuo figlio e in quel fratello che stai giudicando perché non ti segue nei tuoi schemi. Quante difficoltà hanno incontrato e continuano a incontrare i carismi donati da Dio alla Chiesa, scontrandosi, nella loro effervescenza e nel loro zelo, con la durezza di chi, spesso affetto da clericalismo cronico, ritiene di essere l’unico depositario del Nome di Gesù…. Ma è proprio quel Nome che si fa dono (carisma) anche nei tempi e luoghi e alle persone più imprevedibili, perché ovunque sia annunciato e conduca alla salvezza le generazioni. Gesù stesso in fondo è stato un carisma incompreso, uno che, secondo il Sinedrio e i potenti di Israele, aveva usato in modo improprio del Nome di Dio, sino a morire per aver bestemmiato ed essersi fatto Dio, ovvero apostolo del Padre.
Ma Gesù impedisce che sia impedito l’annuncio, educando così i suoi discepoli a quello che, di lì a poco, anche loro sperimenteranno: il rifiuto da parte della comunità ebraica, la proibizione esplicita di parlare nel Nome di Gesù, sino al martirio. Gesù spezza il laccio della gelosia svelando la verità, che nessuno è contro chi annuncia il Vangelo, non vi può essere rivalità tra chi è stato raggiunto dalla stessa Grazia, dallo stesso amore gratuito