IL GUAI CHE CI SALVA
“Guai” a noi! L’espressione greca “ouai” deriva dal termine ebraico “hôi” con cui si esprime il lamento funebre. Gesù dunque, con amore e compassione, ci guarda nella nostra realtà. Non ci minaccia per intimorirci, ma ci parla per destarci dalla morte causata dall’aver dimenticato il suo amore nella nostra vita. “Guai a voi” perché avete dimenticato che “il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re di Egitto” (Dt 7,7ss).
Infatti, proprio per vivere nella Grazia della libertà, il Signore ci ha comandato di fare dei segni concreti con cui destare la memoria dell’elezione e dell’amore di Dio in ogni circostanza della nostra vita. Allo stesso modo, gli ebrei erano tenuti a pagare la “decima” dei principali frutti della terra. Quella terra concreta nella quel vivevano e che li produceva era il segno della loro appartenenza a Dio. Era il la prova della gratuità del suo amore: bastava guardarla e sfiorarla per ricordare quella d’Egitto, impregnata di sangue e sudore, amara di schiavitù e infelicità. Viverci senza memoria significava violentarla e profanarla, come degli usurpatori. Perché questo non accadesse e far ritornare i figli di Israele alla gratuità si pagava la decima, che era come un sigillo d’amore posto su ogni frutto, impedendo così che esso diventasse il segno della propria forza.
“Pagare la decima” era dunque un memoriale che annunciava la liturgia cristiana, soprattutto l’eucarestia: il corpo e sangue di Cristo sono la vera “decima”, il “rendimento di grazie” che offre la comunità dei riscattati dal peccato e dalla morte. Per liberarli, infatti, Gesù Cristo ha “pagato” sino all’ultimo spicciolo. Un cristiano sa che non avrebbe potuto “pagare” il prezzo del suo riscatto; vive nella terra promessa della vita nuova ricevuta gratuitamente come una veste immacolata. L’eucarestia a cui partecipa esprime il memoriale del Mistero Pasquale che lo ha salvato, lo rende attuale e per questo fa scaturire in ogni parola e gesto il rendimento di grazie. L’amore abbraccia ogni aspetto della sua vita, anche i dettagli più insignificanti, non “omettendo” nessuna occasione per lodare e amare.
“Guai a te” che non vivi oggi nella gratitudine e nella benedizione. Ripensa ai sepolcri nei quali eri precipitato, e rispondi: saresti potuto uscire dal carcere “pagando la decima della menta, dell’anèto e del cumìno”? Impossibile vero? Eri rinchiuso lì proprio per scontare la giusta condanna per aver “trasgredito le prescrizioni più gravi della legge”… Eppure oggi, stoltamente, pensi che puoi rimettere ordine nella tua vita, in famiglia, al lavoro “pulendo l’esterno” con i tuoi sforzi e i tuoi criteri. Il demonio ci inganna erodendo la memoria dell’amore di Dio, che è il fondamento del cristianesimo, perché, abbassando la guardia smettiamo di combattere per difenderlo in noi.
Per questo siamo “intemperanti”, incapaci cioè di entrare nell’umiliazione e nella sofferenza che suppone l’amore autentico. Continuiamo ad “ingoiare cammelli” mentre “filtriamo i moscerini”. Per gli ebrei il “cammello” era un animale immondo vietato da mangiare; per questo Gesù dice, metaforicamente, che quegli “scribi e i farisei ipocriti” si fissano sulle prescrizioni minori lasciando che il cuore si nutra di pensieri immondi e carnali, cioè provenienti dal demonio. Come accade a noi, che ci fissiamo nevroticamente e fobicamente sui difetti degli altri senza curarci del nostro cuore malato e perverso che sporca il nostro sguardo. I nostri, infatti, sono gli occhi di chi si crede un dio e, come quel fariseo salito al tempio a pregare, idolatra le proprie presunte opere buone frutto di sforzi e sacrifici, e per questo giudica, disprezza e si separa dal fratello, “trascurando” così “la giustizia, la misericordia e la fedeltà”.
E questa è l’ipocrisia. Fratelli, se non vediamo più l’amore di Dio nella nostra vita, sbaglieremo le nostre scelte, dando importanza assoluta a ciò che, slegato dall’insieme, non ne ha. Faremo delle relazioni una coltivazione di nevrosi, e soffocheremo gli altri nella gelosia. Per questo esigiamo e non siamo mai soddisfatto. Decime da riscuotere ovunque e con chiunque, tasse a cui chiedere vita, prestigio, senso e identità. Ma coraggio, accetta di essere un “fariseo cieco”, e lascia che Dio, attraverso la cura materna della Chiesa, “pulisca l’interno del bicchiere”. Non temere, il Signore non ti giudica, ti corregge perché ti ama! Con il suo “guai” pieno di compassione Gesù vuol scendere nelle profondità del tuo cuore malato di amnesia, per perdonare ogni peccato estirpandolo insieme alla malizia velenosa deposta dal demonio, e seminarvi la sua vita. Coraggio, ci è data una comunità dove gustare di nuovo, ogni giorno, le primizie della Terra Promessa, il latte e il miele dell’amore e della comunione.
E imparare a non dimenticare i “portenti” dell’amore di Dio, camminando alla luce della parola di Dio che ci dona la fede che cresce all’interno di noi perché all’esterno risplendano le opere della Grazia in favore di chi ci è accanto.
Qui puoi continuare a leggere altri commenti al Vangelo del giorno.
Queste erano le cose da fare, senza tralasciare quelle.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 23, 23-26
In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».
Parola del Signore