don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 25 Settembre 2020

LA FEDE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA NELLA QUALE DIO COMPIE LA VOCAZIONE DI CIASCUNO

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Per parlarci delle cose serie e decisive per la nostra vita, il Signore ci conduce oggi ad aprire gli occhi sulla Chiesa, sulla comunità cristiana concreta nella quale siamo chiamati, il luogo solitario senza il quale non esiste relazione con Lui. Per ascoltare la sua voce e non indurire il cuore, abbiamo bisogno di un luogo separato dal mondo ateo e pagano (anche nel senso di una certa religiosità fai da te, orientaleggiante, gnostica e del tutto irrilevante per l’anima; come lo è quella dell’impegno sociale e civile, che, tra il plauso mondano, sposta di un millimetro le sorti dell’umanità ma incastra l’anima nel risentimento e nel giudizio). In esso, infatti, è l’uomo che fa domande a Dio, mentre nella Chiesa è Gesù che fa domande all’uomo. A cominciare dalla prima, fondamentale: “Dove sei?”, per passare a quella del brano di oggi: “voi, chi dite che io sia?”, sino all’ultima, decisiva: “mi ami tu più di costoro?”. La preghiera, che significa liturgia, ascolto e sacramenti uniti alla vita cristiana, celebra Dio, e non l’uomo. E’ Cristo al centro, non il nostro io.

Per questo non si può avere una relazione con Dio e con il suo Figlio senza una comunità nella quale l’io è continuamente chiamato a decentrarsi, a lasciare la cattedra riservata a Dio per sedersi al suo posti, l’ultimo. Anche quando preghiamo nella nostra stanza, lo facciamo insieme alla comunità cristiana; le fughe intimistiche alienano e spingono verso l’eresia, che è l’assolutizzazione soggettiva di un aspetto della fede, quello più consono alla propria sensibilità e più legato alla propria storia, sempre a scapito dell’insieme e della comunione. E’ quando, illudendomi di indossare il vestito della fede, mi chiudo per chiedere a Dio di compiere la mia volontà, senza tenere conto della sua, che, proprio perché abbraccia tutti nella stessa salvezza, è l’unica buona anche per me. Per questo oggi il Signore, ci chiede: “Ma voi, chi dite che io sia?”, e quel “ma“ è una sforbiciata che taglia di netto ogni compromesso tra il pensiero mondano e quello di Dio. “Ma voi”, che ho convocato e chiamato per nome per ascoltare la mia Parola in un’assemblea dove vi ho unito a me; “ma voi” che nella comunità cristiana vi nutrite del compimento della mia Parola che sono i sacramenti; “ma voi” che siete una comunione di “tu” che si amano, si perdonano, portano i pesi e i peccati degli altri; “ma voi” che non pensate secondo il mondo, che cosa pensate e testimoniate di me? Attenzione fratelli, perché non ci sono risposte soggettive; esiste solo una risposta esatta, quella detta da Pietro a nome della comunità: “Tu sei il Cristo di Dio”. Tranquilli, non vi scandalizzate, non si tratta di omologazione; questa è tipica del mondo nel quale proprio la presunta autodeterminazione è la cifra tragica dell’omologazione: chi ha tagliato con Dio, infatti, può pensare, dire e fare solo una cosa, peccare, come tutti gli altri. Nella Chiesa, invece, i peccati che omologano i fratelli sono perdonati, e ciascuno è riconsegnato alla sua identità autentica e irriducibile, libero per amare; e quando si ama, nessuna parola e nessun gesto è uguale all’altro, perché l’amore è creativo per raggiungere e donarsi all’altro nella sua originalità, proprio come Cristo ha fatto con ciascuno di noi, amandoci così come siamo, peccatori e traditori.

Nella comunità cristiana infatti, come Adamo, possiamo scoprire “dove siamo” ogni giorno, in famiglia, al lavoro, con gli amici; forse lontani da Cristo perché lo abbiamo tradito nei fratelli. E contemporaneamente, sperimentare che Dio non ci ha condannato, ma ha inviato il suo Cristo (unto) per salvarci. Sperimentare cioè quello che per la sapienza del mondo è stolto e per quella religiosa è scandaloso: la necessità ineludibile della sofferenza, del rifiuto e della morte di Gesù. Per te e per me. Per noi, che, avendo rifiutato Dio, soffriamo immensamente nel rifiutarci l’un l’altro, morendo nei peccati. Dio doveva scendere nel nostro rifiuto, come profetizzato nella figura di Giuseppe, il figlio di Giacobbe. Leggete la sua storia (dal capitolo 37 al capitolo 48 della Genesi), vi aiuterà a comprendere il mistero di Gesù; soprattutto l’ultima parte (Gen 45,1-15), che possiamo leggere in filigrana nell’episodio del Vangelo di oggi : “Allora Giuseppe non poté più contenersi dinanzi ai circostanti e gridò: « Fate uscire tutti dalla mia presenza! ».

Così non restò nessuno presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere ai suoi fratelli. Ma diede in un grido di pianto e tutti gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: « Io sono Giuseppe! Vive ancora mio padre? ». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché atterriti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: « Avvicinatevi a me! ». Si avvicinarono e disse a loro: « Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto”. I paralleli sono evidenti: la comunità dei fratelli di Giuseppe, come la comunità degli apostoli; entrambe hanno tradito, per cui la domanda di Gesù suona così: “ma voi”, che siete la comunità che mi ha tradito, che cosa dite di me? Pietro e la Chiesa non possono dire nulla di diverso da quello che avrebbero detto i fratelli di Giuseppe: “sei il Cristo” perché ti abbiamo visto nella cisterna e poi portato via verso l’Egitto, e ora ti vediamo governatore di tutto l’Egitto. Ti abbiamo visto soffrire a causa dei nostri rifiuti, quando abbiamo tradito moglie e marito, figli e amici crocifiggendoti in loro, e ora ti vediamo risorto e vivo accoglierci e perdonarci, senza altra condizione che quella di accogliere il tuo amore. Giuseppe scaccia tutti per restare solo con i fratelli, come Gesù con gli apostoli e le nostre comunità.

Giuseppe grida, come anche Gesù secondo il testo originale. Ci sgrida intimandoci di non dire nulla su di Lui finché il suo Mistero Pasquale non si faccia carne in noi e nella nostra comunità non appaiano i segno della fede, l’amore e l’unità. Altrimenti l’annuncio del Vangelo sarebbe preda dello scandalo e dell’incredulità per causa nostra. Ed è proprio quello che accade nella Messa: ascoltiamo la Parola di Dio e la predicazione che suscita in noi la fede che professiamo recitando il Credo. Ma qui, è come se Gesù ci sgridasse per indirci ad accogliere il Mistero Pasquale che realizza la Parola ascoltata compiendosi sull’altare eucaristico. Così la fede, che è la conoscenza intima del Signore, si realizza nella liturgia della Chiesa, come profetizzato nell’incontro intimo tra Giuseppe e i suoi fratelli: è solo nel cuore della comunità cristiana, infatti, che possiamo sperimentare la necessità dell’amore di Dio che, nel sacrificio di Cristo, ci scagiona da ogni peccato. E’ folle, assurdo, impensabile; atterrisce, come accade ai fratelli di Giuseppe. Ma Gesù è questo amore fatto carne da mangiare, capace di saziare i suoi fratelli, e in loro, ogni uomo di ogni generazione. Gesù doveva soffrire molto, essere rifiutato e morire perché solo così avrebbe potuto strappare i suoi fratelli alla condanna che gravava sulla loro vita. Coraggio, avviciniamoci a Cristo allora, senza paura e senza crucci: “non siamo stati noi a consegnare Cristo alla morte”, ma è stata la volontà d’amore di Dio che ha portato Gesù nel paese della morte per essere costituito Signore sui peccati e sulla morte. Ciò non significa che tu ed io non abbiamo peccato, ma che l’amore di Dio ha trattato da peccato suo Figlio al posto nostro, per giustificarci e donarci una vita nuova. La comunità che lo sperimenta può professare e testimoniare, con Pietro, che Gesù è davvero il Cristo di Dio, l’inviato nella morte per strappare al peccato ogni figlio di Adamo.


AUTORE: don Antonello Iapicca
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