CONVOCATI DAL CIELO PER PORTARE IL CIELO IN OGNI CASA
Il Regno dei Cieli è vicino, gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. Un giapponese in Italia, ovunque vada, faccia quel che faccia, manifesta chiaramente la propria origine. È disegnata nei suoi occhi, l’annunciano le sue parole, la si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Così è per gli Apostoli del Regno, ovunque giungano appare il Cielo. È impresso nelle loro vite, così diverse, così scandalose. Vite trasformate nella Chiesa, la comunità cristiana dove ciascuno di loro è stato “convocato”. Il termine Chiesa, deriva infatti dalla radice ebraica «qăhăl», l’assemblea di popolo convocata da Dio. Come sottolineava l’allora Cardinal Ratzinger, “tali assemblee, esistevano tanto nel mondo greco quanto in quello semitico.
La «qăhăl» ebraica si differenzia però dall’assemblea plenaria greca, costituita da cittadini con diritto di voto, in un duplice senso: alla «qăhăl» partecipavano anche le donne e i bambini, che in Grecia non potevano essere soggetti attivi della vita politica; erano infatti gli uomini che con le loro decisioni a stabilire quello che si doveva fare, mentre l’assemblea d’Israele si riuniva per ascoltare l’annuncio di Dio e darvi il proprio assenso, come accadde alle falde del Sinai. Cristo morto e risorto è il Sinai vivente; quelli che si accostano a lui formano l’assemblea eletta e definitiva del popolo di Dio, che stipula la Nuova ed Eterna Alleanza nel suo Mistero Pasquale. Con il battesimo gli apostoli sono stati inseriti in Cristo, non più molti, uno accanto all’altro, ma uno solo in Cristo Gesù”. Per questo la Chiesa diviene il luogo della Nuova ed Eterna Alleanza tra Dio e gli uomini, tra il Cielo e la terra. Come Israele (gli apostoli sono dodici come le tribù del Popolo eletto) durante la teofania del Sinai, così gli apostoli convocati nella comunità che ascolta la Parola e celebra il culto, vedono Dio e non muoiono. Quello che era stato profetizzato nel deserto si compie nella Chiesa: Dio ha riaperto la porta del Paradiso, l’uomo esule e ramingo nel deserto di morte come il figlio prodigo, può tornare a casa dove il Padre lo attende per accoglierlo nella sua intimità. Gli apostoli sono i profeti che, convocati da Gesù, hanno camminato nella Chiesa sulla via del ritorno, della teshuwà (conversione); hanno sperimentato la propria debolezza e l’amore di Dio che li ha guariti dalla loro incapacità di restare in piedi e donarsi strappandoli alla menzogna del demonio.
La Chiesa, infatti, è l’unico luogo dove l’uomo non è dio, e proprio per questo può testimoniare e annunciare il Paradiso dove è vivo e ci ama il Dio unico e vero. Nel Vangelo di oggi dunque, appare la Chiesa, e, quindi, la sua missione. Ciò che gli apostoli sono inviati a fare è quello che Gesù ha fatto e fa per loro nella comunità. Come loro, nessuno di noi è passato per un ipotetico ufficio risorse umane della Chiesa. Siamo stati convocati, così come siamo, perché in noi risplendessero la forza dell’amore e il potere sui peccati di Cristo. Uniti a Lui nel grembo della Chiesa, siamo inviati ogni giorno nella volontà del Padre che è la salvezza di ogni uomo. Per questo ogni nostra parola e ogni nostro gesto saranno l’incarnazione delle parole e dei gesti di Gesù. Come portare con noi bastone (segno di comando e potere umano), denaro, pane, bisacce per il viaggio? Sono i segni dell’uomo vecchio che si fa dio, apostoli di se stessi che nessun peccatore potrà accogliere. Invece ogni missione, cioè ogni relazione è un vero e proprio “viaggio” da se stessi all’altro: ogni nuova giornata di lavoro, ogni mattina e serata in famiglia, ovunque siamo in cammino, senza radici e installazioni. Non abbiamo schemi per parlare ai figli. Come non abbiamo manuali per vivere le relazioni con i capi e i colleghi di lavoro. Abbiamo “solo” la Parola da annunciare, garanzia della libertà assoluta.
Niente vincoli, nessuna catena, perché ogni giorno è nuovo e ogni relazione va costruita istante dopo istante, disposti a camminare e a viaggiare sino a dove si trova l’altro, nella libertà di rinunciare a tutto pur di salvarlo. Per entrare nella casa delle persone, nella loro intimità e familiarità, occorre portare una sola tunica, quella della nostra debolezza resa candida nel sangue dell’Agnello, identica a quella che indossa il prossimo a cui siamo inviati perché diventi per lui un segno di speranza. Non servono vestiti con cui cambiare a seconda delle situazioni, ma l’amore di Cristo che si è fatto peccato per noi, lasciandosi spogliare per raggiungerci nella nostra vergognosa nudità, e riportarci con Lui nella nudità innocente del figlio di Dio che vive abbandonato al suo Papà celeste. Coraggio, il Signore oggi ci convoca nella sua Casa dove ci sazia e trasforma nel suo amore, ci dona la sua forza e il suo potere, per entrare nelle case che ci accolgono a guarire e a scacciare il demonio, per fare di esse il luogo nel quale Gesù possa rimanere. E, per amore, scuotere dai sandali la polvere pagana della terra di chi ci rifiuterà, perché si accorgano della terra del Cielo giunta sino alle soglie della loro vita.
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Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9, 1-6
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
Parola del Signore