don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 25 Marzo 2021

L’ANNUNCIO CHE NELLA DEBOLEZZA POSSIAMO ASCOLTARE, CI GUARISCE E CI FA FIGLI DI DIO

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AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Maria, l’amata, appare sulla soglia del Vangelo avvolta in un saluto imprevisto, un annuncio intrecciato su poche, essenziali parole. Attendeva le nozze, e con esse grazie e gioia, senza immaginare che Dio aveva scelto e preparato quella semplicità nascosta per farne la soglia dove deporre l’eterno. Un giorno come gli altri, confuso tra quello di molti altri, in una cittadina anonima lontana dalla storia che conta: sono questi il momento e il luogo pensati da Dio per fare possibile l’impossibile. L’incarnazione e la salvezza di ogni uomo cominciano qui, dove sembra che non vi sia nulla di speciale da attirare l’attenzione. Nulla tranne Maria, a riempire quella semplice ordinarietà con la fede e l’attesa immacolate. Maria non era in cerca di nulla di straordinario; era semplicemente dove l’aveva messa la volontà di Dio. Essere Immacolata Concezione significa essenzialmente questo, obbedire e restare lì, abbandonati a Dio, sereni e felici nella propria storia. Come Adamo ed Eva prima di cadere nel peccato. La menzogna del demonio, infatti, come un virus mortale, ha reso impossibile restare sul cammino tracciato dal Padre. La cifra del peccato originale è proprio questa impossibilità di vivere, in pienezza, l’istante che ci è dato; l’impossibilità di essere felici con questa storia qui, con questa famiglia, questo marito e questa moglie, questi figli e questi genitori, questo lavoro e questi professori. Il peccato ci ha sporcato il cuore e non riusciamo più a vedere l’amore di Dio in niente e nessuno; la realtà ci schiaccia, dobbiamo scappare, e cercare un po’ d’aria in qualsiasi esperienza, basta che non sia la stessa di oggi. Il peccato ha reso impossibile il possibile di una vita abbandonata a Dio e al suo amore.

Maria no, non aveva bisogno di fuggire. Immacolata Concezione, non si era mai allontanata dal Paradiso: in ogni istante era “piena di Grazia”, in ogni evento “il Signore era con Lei”. Anche quel giorno, all’irrompere di quel saluto che, improvvisamente, Le svelava il mistero sino ad ora tenuto segreto anche a Lei. L’intimità con il Signore, la Grazia che accompagnava ogni suo passo nella volontà di Dio, sino a quel momento tutto era stato così naturale. Ma quell’invito a “rallegrarsi” che, lo sapeva, raggrumava in sé tutte le profezie sull’avvento del Messia, perché proprio a Lei? Era “turbata” Maria, di fronte a quel “saluto” nel quale si condensava una storia di peccati e misericordia che abbracciava generazioni. “Shalom”, pace, era il segno del Messia, la speranza che i suoi fratelli s’erano scambiati da sempre, tenendola viva per non morire. Ora tutto era lì, a un millimetro da Lei; ogni uomo, ogni donna, ogni povero e ogni peccatore, tu ed io, eravamo tutti lì, sulla soglia del cuore di quella Fanciulla indifesa, la più piccola, l’ “umile vergine” di Nazaret. Era giunta la “pienezza dei tempi”, il compimento della salvezza; quell’istante nascosto agli occhi del mondo attirava ogni altro istante della storia, passato, presente e futuro. Quell’istante illuminava la purezza originaria di Maria: aveva compiuto la volontà di Dio perché anche Dio potesse compiere la sua volontà. La sua carne “vergine” era il frammento di Paradiso che Dio aveva preparato per deporvi il suo Figlio, la Carne che avrebbe reso ogni carne peccatrice un frammento di Paradiso. Maria doveva solo fare quello che aveva sempre fatto: accogliere l’amore di Dio, perché ai suoi occhi immacolati ogni volere di Dio non era che amore. Solo un Figlio da accogliere, il Messia da gestare e donare al mondo. Impossibile certo, “senza conoscere uomo”, ma “possibile” a Dio che era “con Lei” da sempre. 

Ancora una volta, la più importante, quella decisiva, Dio doveva scendere in ciò che è impossibile all’uomo per aprire un cammino di speranza nell’ineluttabilità che tiene schiave le persone. Per farlo e fecondare l’umanità sterile aveva bisogno  della “verginità” di Maria, immagine di ogni situazione impossibile; per salvare i superbi aveva scelto e preparato la sua “umiliazione”. Non c’era da “temere”: quel concepimento e quel parto sarebbero stati opera della Grazia che l’aveva “colmata” da sempre. Lo Spirito Santo sarebbe “disceso” su di Lei per deporvi il Santo Figlio di Dio. Come quando si rivelò ad Elia, Dio non era nel terremoto, neanche in un vento gagliardo; Dio era in quella brezza soave che le sfiorava l’anima, nel soffio del suo Spirito che, dolce e delicato, bussava alla porta del suo cuore. Del resto, anche “Elisabetta sua parente, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio”: il Signore le aveva regalato un segno da contemplare, per non venir meno dinanzi alla grandezza della sua elezione. Non restava che sciogliere le labbra per la risposta preparata dall’eternità. E Amen è stato, l’Amen degli Amen di Maria: “Il verbo con cui esprime il suo consenso, nell’originale, è all’ottativo, un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch’io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“.” (Raniero Cantalamessa). Il Cielo è riaperto, la volontà di Dio ha trovato dimora nel desiderio puro di Maria. Da quell’istante nulla è stato e sarà più come prima. Nell’obbedienza di Maria è generata l’obbedienza del Figlio, perché Nazaret era il grembo del Getsemani. Madre e Figlio sono ora davanti a noi per donarci finalmente compiuto l’impossibile che ci fa paura. 

Guardiamoci dentro, che cosa oggi ci turba e ci schiaccia? Che cosa ci spinge a peccare per non soffrire? “Non temere!”, proprio nel fondo dell’incapacità di assumere la nostra storia, plana oggi l’annuncio dell’angelo per deporvi il seme dell’impossibile già reso possibile: l’obbedienza alla volontà di Dio, restando nascosti nelle piaghe di Gesù incarnate nei dolori e nei tradimenti, nei fallimenti e nelle frustrazioni, nelle umiliazioni e nell’irrilevanza. “Non temere!”, perché il turbamento che ci prende di fronte alla sproporzione tra quanto ci è annunciato e la povera realtà della nostra vita, è destinato a divenire gioia purissima. E’ pronta per noi la gioia di Maria, madre della gioia del Messia risorto dalla morte, che ha distrutto il peccato e il suo regno di dolore. La gioia dell’obbedienza, che il mondo non conosce, la gioia della libertà di amare sino a donarsi totalmente, perché “nulla è impossibile a Dio”: neanche perdonare il marito che ha tradito e il parente che ci ha calunniato; neanche giustificare con misericordia chi ci ha fatto la più terribile delle ingiustizie. “Nulla” ci deve spaventare: nella Chiesa nostra Madre risuona oggi come quel giorno l’annuncio dell’angelo. Basta ascoltare e dire con Maria il nostro amen che consegni a Cristo ogni centimetro della nostra carne perché ne faccia il tempio della sua gloria. Oggi Nazaret è la tua casa, il tuo matrimonio e la tua stanza d’ospedale, perché tutto di te è avvolto e impregnato dello Spirito Santo che compie in ogni istante e in ogni luogo il Mistero Pasquale di Cristo. “Non temere!”, perché da oggi la Croce non fa più paura, la carne vittoriosa di Cristo l’ha trasformata in una porta dischiusa sul Paradiso. La novità dell’Incarnazione si rivela in un Popolo che cammina nel deserto della storia senza morire, il Corpo di Cristo che sale sulla Croce dalla quale tutti fuggono scandalizzati. Per questo, la nostra missione inizia ogni giorno appoggiati nella fede di Maria, per divenire con Lei “servi del Signore” nei quali “si compie l’incarnazione della Parola di Dio”, annunciando a tutti che la sua volontà è amore e misericordia, sempre.

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