don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 25 Aprile 2021

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SCELTI PER ESSERE AGNELLI NEL GREGGE DEL BUON PASTORE E DONARE CON LUI LA NOSTRA VITA


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Cristo è il “Pastore buono e bello” che “espone, dispone e depone” la propria vita per gli altri – secondo l’originale greco reso con “offre” – perché il lupo non ci sbrani. La bellezza di Colui che non aveva bellezza né splendore da attirare gli sguardi; la bellezza del Servo davanti al quale ci si copre la faccia, tanto era sfigurato appeso alla Croce. La Verità fatta carne in Cristo, che appariva castigato e fallito, mentre portava il peccato di tutti e intercedeva per i peccatori; la Verità che risplende nella Croce. Gesù è il “pastore bello, buono e vero”, perché, a differenza del salariato, ha “interesse” delle pecore; ciò significa che ha le pecore in sé, dentro al cuore, perché questa è l’etimologia del termine “interesse”. Sa che Gli appartengono, le porta nella sua carne, il nome di ciascuna è scritta indelebilmente con il suo sangue nelle sue ferite che risplendono eternamente di Gloria. È lì che conosce le sue pecore, nel dolore infinito che ha esigito il suo amore infinito. Conoscere – ghinôskô – nel linguaggio biblico, significa molto più di una conoscenza razionale; conoscere è donarsi, offrire la propria vita, e arriva ad indicare anche l’unione sessuale degli sposi. Cristo è il Pastore bello perché è lo Sposo più bello, lo Sposo perfetto e unico per la Sposa che è la Chiesa, che siamo ciascuno di noi scelti e chiamati nel suo gregge. Lo Sposo bello perché la bellezza autentica che non si corrompe è quella che conosce non per possedere nella concupiscenza, ma che conosce per donarsi senza riserve. La conoscenza che è in Dio, tra Padre e Figlio, dono libero e senza limiti di spazio e tempo.

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La conoscenza di Gesù che si consegna a noi oltre ogni limite, senza fermarsi dinanzi ad alcun peccato, e ci attira nella sua bellezza e nella sua conoscenza liberandoci dalla superbia e dall’egoismo per trasformarci in Lui. Nella sua conoscenza conosciamo, ovvero nel suo dono ci doniamo, deponendo come Lui la “psichè” – il termine che appare nel brano di oggi tradotto con “vita” – ovvero voglia di vivere questa vita biologica, disarmati, smettendo di difenderci. Gesù ci conosce nella verità che dà sostanza alla bellezza; la Verità che è Lui stesso, l’amore più forte del peccato e della morte che si fa Via per cercare e unirsi alla pecora perduta. La Verità che non esclude nulla, di sé e di noi, ci conosce amandoci sino alla fine, all’ultimo peccato, deponendo la sua Vita incorruttibile nella nostra carne corrotta, come il seme nella terra. Gesù ci conosce per quello che siamo anche in questo istante. Non la caricatura dell’amore dei salariati, passione mercenaria scambiata per amore dai fidanzati, dagli sposi, dagli amici, dai genitori e dai figli, dai fratelli della comunità cristiana. Non una relazione superficiale basata sull’apparenza, incapace di conoscere l’altro nel dono di se stessi senza condizioni; come accade a noi quando appare l’assoluta incompatibilità, e abbandoniamo anche colui per il quale abbiamo fatto di tutto, anche follie che siamo illusi fossero amore. Con Cristo, invece, tutt’altra cosa, una relazione che ha origine e compimento nella verità che è la realtà di ciascuno.

Lui è Dio sempre, anche quando noi siamo peccatori. E noi siamo peccatori, fragili, poveri, un soffio balbettante di vita, sempre. Così ci conosce, così lo possiamo conoscere, in un una trasfusione continua di vita e amore, in una osmosi di conoscenza che è il dono della propria realtà. istante dopo istante. Proprio come fa una pecora: essa non può vivere senza il pastore, perché non sa procurarsi da mangiare. Senza il pastore una pecora muore. La pecora bela, e il Pastore la chiama. La pecora ha fame, e il pastore la conduce al pascolo. La pecora è stanca e il pastore le provvede il riposo. Così anche noi, gridiamo, gemiamo, preghiamo, e il Pastore bello ci parla e ci chiama. Abbiamo fame e Lui si consegna a noi come unico cibo di vita. Siamo stanchi, impauriti, oppressi dai peccati, e Lui ci offre, nel suo intimo, il luogo di rifugio e riposo, il perdono e la misericordia che ci rigenerano a vita nuova. Il gregge di Cristo è un segno autentico, visibile e credibile del Paradiso che ci attende. Le pecore infatti, sono l’animale che più si avvicina all’Adamo prima del peccato, all’uomo creato ad immagine e somiglianza del Creatore. La pecora ascolta, obbedisce e vive, così come un cristiano liberato dalla schiavitù del demonio e del peccato, ascolta, obbedisce e vive, già qui, la vita celeste. E come nessuna pecora può resistere senza il gregge, perché si perderebbe e morirebbe, così anche noi non possiamo vivere senza la Chiesa, la comunità cristiana nella quale siamo stati chiamati.

In essa si compie la conoscenza tra ciascuno di noi e il pastore, tra lo Sposo e la Sposa. Nella Chiesa la conoscenza intima che è amore si dilata e abbraccia ogni fratello. In essa si impara così ad essere cristiani, pecore di Cristo, e poi mariti, mogli, padri, madri, figli, presbiteri, suore, ma anche celibi e nubili, perché in ogni circostanza sapremo conoscere il fratello nella stessa conoscenza con la quale siamo conosciuti dal Pastore buono e bello: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Come Gesù conosce il Padre? E come il Padre conosce Gesù? In un amore infinito, nel quale l’uno compie i desideri dell’altro perché tutto dell’uno appartiene all’altro. Non c’è alcuna curiosità morbosa volta a conoscere per possedere, ma l’ascolto umile della voce del Padre che risuona per noi attraverso il Figlio le cui parole ci sono predicate dalla Chiesa. E così, uniti nell’ascolto, i fratelli si conoscono e obbediscono alla volontà del Padre che fa buona e bella ogni cosa. Prima di essere ciò che siamo apparteniamo a Cristo, in una conoscenza che ci depone nel cuore e nella vita stessa di Dio. In questa appartenenza ci apparteniamo gli uni gli altri. Per questo non è la curiosità che spella l’altro per possederlo, precipitando in quel mondo carnale e diabolico dove si sbriciolano le relazioni: senza lo sguardo di misericordia del pastore nei nostri occhi la conoscenza delle proprie e altrui debolezze è puro veleno. Nell’intimità di Cristo invece, i cristiani vivono ogni relazione senza segreti nella consapevolezza di essere tutti pecore, tutti deboli, tutti peccatori. Che segreti può avere un fratello che condivide con me la stessa ferita? Cambieranno solo i tempi e i modi in cui essa si rivela nella debolezza e nelle cadute. Per questo non importano i dettagli che il mondo rende gossip pruriginosi su cui curiosare per tenere alta la concupiscenza.

I cristiani, e rispettando i tempi e la libertà, insieme ai segreti che ciascuno ha con il suo Signore, conosce l’altro sino in fondo, perché, senza giudizi e con la sola misericordia, vi ha già deposto la propria vita con quella di Cristo. Per le pecore dello stesso ovile di Cristo, la storia con i suoi Getsemani e i suoi Golgota, è già illuminata dalla luce della Pasqua. Così, possiamo vivere nella vita divina, amando senza riserve, oltre gli steccati dell’egoismo e della concupiscenza. Possiamo essere sinceri perché nulla è segreto tra noi e Cristo, e in Lui, tra noi e il Padre. Perché tutto di noi è trasfigurato nella sua Croce e nella sua resurrezione: perdonati e amati non dobbiamo più difendere la nostra vita, ormai saldamente stretta nelle mani del Pastore. Gesù è per ciascuno il vino buono, il vino bello e vero delle nozze di Cana, nel cui brano è usato “kalos”, lo stesso termine che si riferisce al Pastore: è Lui che infonde la gioia, il gusto, il senso e la pienezza alla nostra vita, trasformando l’acqua delle relazioni sterili ed egoistiche, nel vino nuovo della vita che sovrabbonda al punto di essere donata. E’ Lui il Pastore-Sposo che, unito alla Sposa, depone la sua vita nel mondo perché ogni sua pecora dispersa possa, attraverso la missione della Chiesa, essere ricondotta all’unico ovile. E’ la vita della pecora, offerta a ogni uomo perché in essa tutti possano conoscere il Pastore nell’amore con cui sono conosciuti.