LA SOLITUDINE E LA DEBOLEZZA PARALIZZANTE CHE STIAMO SPERIMENTANDO E’ IL LUOGO DOVE INCONTRARE SOLI A SOLO LO SPOSO
Quanti anni hai? E da quanti sei paralizzato in quel peccato? Sì quello che riappare ogni volta e sembra invincibile. Per il paralitico del vangelo erano “trentotto anni”, una vita paralizzata sul ciglio della vita, deposta alla “porta delle pecore” come sulla soglia degli inferi, confusa nella sofferenza di storpi, ciechi, zoppi. E “un sabato” che non era festa per quell’uomo schiacciato sul giaciglio dell’impotenza, scivolando nella morte insieme alle pecore destinate alla macellazione. Ma non è soave l’odore di quelle membra sacrificate, piuttosto fumo acre di carni strappate al destino di pace e felicità , rattrappite come le nostre, vorresti muoverle e non ti rispondono, desideri amare e ne sei incapace.
La paralisi ci ha reso irrilevanti; distesi sul “lettuccio” dei nostri giorni grigi, tiepidi e sterili, siamo come una mano di vernice trasparente e inodore spalmata su qualche parete, come ogni giorno passato senza amare. Ma c’è questo tempo di Quaresima e quarantena, che ci consegna l’annuncio della svolta proiettandoci la “clip” della nostra vita, sino a questo istante. Giusto “trentotto anni”, o cinquanta, o diciotto; non un giorno in più, non un anno in meno. Oggi, in mezzo a questa pandemia, perché è qui che la clip ha un sussulto, un volto di luce e una parola. Qualcuno ti ha “visto”, si è accorto e si preoccupa di te perché “sa che stai così da molto tempo”: “Vuoi guarire?”. Sei paralitico, ma non è per questo che sei nato; l’incapacità di avvicinarti all’altro e donarti a lui è una malattia, si può guarire. Così oggi Gesù ti dichiara il suo amore, innescando in te il desiderio di Lui. Di colpo si illumina tutto il passato, e non era quello che il demonio ci ha raccontato.
Questa impotenza e incertezza che il coronavirus ci obbliga a vivere è come un “fermo immagine” della nostra storia, ma risplendente della luce che irradia la vittoria di Cristo: alla luce potente della sua Parola possiamo guarire, alzarci dalla frustrazione perché liberati dalla menzogna del demonio, e guardare a tutta la nostra vita con gli occhi della fede. E’ questa la prima, decisiva, risurrezione, il pegno della vita eterna che ci attende. Se Dio c’è sempre stato e mi ha amato sempre, molto più ora, e domani, e per l’eternità . Possiamo dunque guardare alla nostra storia dalla stessa esperienza del paralitico: se avesse avuto “qualcuno ad immergerlo”, non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la sua voce. Si sarebbe immerso, forse sarebbe guarito, avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po’ di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l’ombra del fratello maggiore.
Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. Non avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato felice. La Croce, il lettuccio dove hai disteso sino ad ora la tua vita, proprio tutta la tua storia che ti è sembrata così grigia ed inutile, con le frustrazioni, la solitudine, il fastidio e la fatica di vivere, tutto è stato per incontrare Lui, la “porta” attraverso la quale entrare e trovare il pascolo della vita eterna. Il lettuccio roso dai tarli del giudizio, dell’invidia, della concupiscenza e di ogni peccato è il talamo preparato alla misericordia di Dio. Il fallimento umano, infatti, è il corteggiamento di Gesù: per vincere orgoglio e resistenze, riconoscere che siamo paralitici perché abbiamo creduto al demonio che ci ha schiacciati nella paura, e lasciarci amare da Lui. E’ Gesù la piscina dove non è necessario che qualcuno ci immerga; le sue ferite sono per te, nessuno può passarti avanti.
“Alzati, risorgi, prendi il tuo lettuccio e cammina”: Gesù ci guarisce per “incominciare a camminare” in una vita nuova, in un percorso di conversione quotidiano per “non peccare più”, aggrappati nella comunione della Chiesa, alla Parola e ai sacramenti. Chi ha conosciuto la gratuità dell’amore di Dio sa che tornare a dar credito al demonio e peccare, sarebbe l’accadere di “qualcosa di peggio” della paralisi, ovvero precipitare all’inferno. Per questo Gesù ci invia nella storia facendo ogni istante memoria del suo amore, per non dimenticare da dove ci ha tratto. I cristiani non elaborano il passato come fosse un lutto, anzi, vivono il presente come il frutto della misericordia di Dio che ha irrorato misteriosamente ogni istante sino ad oggi, e “prendendo il lettuccio” dove hanno sperimentato la Gloria della sua vittoria sul peccato. La vita diviene così una missione, per testimoniare l’amore gratuito di Cristo.