LA NOSTRA DEBOLEZZA ACCOLTA E BENEDETTA DALLE MANI DI CRISTO PER MOLTIPLICARLA NELL’AMORE
Gesù risorto, “passato all’altra riva”, “alza” anche oggi “gli occhi” e ci “vede” mentre ci avviciniamo a Lui. Con la “gran folla”, abbiamo sperimentato i suoi “segni” nella nostra vita, ma i conti non ci tornano ancora. Lui ci conosce, e per questo, con amore, ci “mette alla prova”. E’ “vicina la Pasqua”, è oggi; Lui “sa quello che sta per fare”, dare pienezza e compimento a ogni balbettio di vita che ci risuona dentro. Ma non può operare nulla se prima non ci accompagna a fare Pasqua con Lui, a passare dal nostro far di conto al suo: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Dove e comprare, parole trabocchetto che fotografano alla perfezione i nostri criteri. Cerchiamo luoghi che non esistono e crediamo di poter comprare ciò di cui abbiamo bisogno. Per questo sballiamo i conti, e ci ritroviamo impotenti di fronte a fatti e persone. Filippo siamo tutti noi, spesso incapaci di guardare oltre, con il cuore appesantito dalla ragione imprigionata dall’unica evidenza che balza immediatamente agli occhi: “duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”.
Matematica imperfetta perché incapace di contemplare l’infinito che abbraccia e dà senso a ogni numero. Anche se qualcosa abbiamo – “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” – come Andrea, non pensiamo che sia sufficiente: “ma che cos’è questo per tanta gente?”. Siamo abituati ad altri schemi, seduti ogni giorno nel consiglio di amministrazione che governa famiglia e affetti, lavoro e scuola, amicizie e relazioni. Non possiamo sfamare una moltitudine, fosse anche solo di due persone, coniuge e un figlio, lo sperimentiamo ogni giorno. E precipitiamo nelle delusioni, e silenzi, nervosismo, ira e rancori, insomma tutta la melma che ci afferra i piedi e ci blocca. Ingannati dal demonio che si nasconde nell’educazione e nella cultura, crediamo ciecamente nelle nostre possibilità; ma, una volta sperimentati i limiti, cominciamo a disprezzarci e a disprezzare. Invece, i cinque pani e i due pesci sono molto più di quello che le mani sono capaci di afferrare. La creazione stessa obbedisce a precise formule matematiche, ma i numeri che la definiscono non sorgono dal nulla, da un big-bang riproducibile in laboratorio. Vi è un’evidenza nascosta eppure intuibile, il segreto tracciato di numeri che non hanno fine perché il loro stesso principio è puro mistero. Un computer, un telefono, una pila, tutto ci parla d’infinito.
Ma non solo. Anche le persone che ci molestano e non accettiamo, anche questo giorno, con le solite cose da fare, con la macchina che vorresti cambiare, o il letto d’ospedale che non sopporti più, o la fila alla posta per due spiccioli di pensione. Anche te stesso con i tuoi limiti e contraddizioni. Tutto ci parla dell’infinito in cui si vorrebbe tuffare il nostro cuore, dove vorrebbe spaziare la nostra mente, e correre il nostro corpo. E l’infinito a cui aneliamo si svela pienamente nel miracolo compiuto dal Signore. Il Messia atteso è Dio fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. E’ lui l’infinito che, raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento. Quei due numeri che, a una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito e circoscritto, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione carnale e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni di una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito. Cinque pani e due pesci sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità. Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio e il conto in banca, l’altezza e il peso, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, di un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni, i valori alterati che sbucano dalle analisi, le parole che ci diciamo per contraddirle in un minuto, il carattere e i difetti, perfino i peccati!
Ogni numero che fa di noi quel che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano e una Parola, quelle dell’Autore di ogni matematica e di ogni scienza, l’Architetto di ogni vita. Le sue mani creano e ricreano e si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola e il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento. Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa dell’infinito. Ogni grumo dell’esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo. Non ci resta che obbedire alla Chiesa che, nel nome del Signore, ci invita a “sederci”. Ma dai, dovrei sedermi invece di darmi da fare? Sì, obbedisci e “siediti”, perché se non sperimenti che Cristo può moltiplicare quello che sei non vedrai la tua vita compiuta; se non sperimenti che la Vita che sfama e sazia non si “compra” in nessun “dove” ma è Lui la fonte che ce la dona, resterai schiacciato nelle tue meschinità. Solo così, infatti, saprai amare chi ti è accanto e trasmettere la fede ai tuoi figli, facendo “sedere” tutti alla mensa imbandita da Cristo. E offrire, in ogni circostanza, il poco, pochissimo che tutti abbiamo alle sue mani. Tuo marito è superficiale, arido, assiduo a poltrona, pantofole e televisione? Bene, prendi questa sua attitudine allo svicolamento dalle responsabilità e consegnala a Cristo, la vedrai moltiplicata in uno zelo mai visto…
Tuo figlio è pigro, incapace di studiare e concentrarsi? Bene, prendi questa debolezza e dalla a Cristo, l’unico capace di tirare fuori da ciascuno il meglio, ovvero il seme di vita eterna seminato dal Padre. Guarda che il miracolo è tutto qui: forse tuo marito sarà ogni giorno propenso a sdraiarsi sul divano, come tuo figlio incapace di star fermo dieci minuti, esattamente come quei cinque pani sono restati tra le mani di Gesù quello che erano; il Vangelo, infatti, a proposito dei pezzi avanzati dice che “li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo”, segno che Gesù ha continuato a “distribuire” i frammenti dai pani originari. Non ha prima moltiplicato e poi distribuito, ma ha continuato a prendere tra le mani i cinque pani che gli erano stati dati. Così, come il pane e il vino dell’eucarestia trasformati in corpo e sangue di Cristo, restano, alla vista, quello che sono, Gesù prende, tocca e benedice quello che siamo, compresi i difetti di chi ci è accanto, per farne un cibo capace di sfamare e avanzare per una moltitudine immensa, tutte le persone che incontreremo durante la vita. Non ci cambia magicamente, ma, lasciandoci deboli e poveri, ci colma del suo Spirito. Così anche una malattia, un problema, un dolore, un fallimento, un peccato, toccato da Cristo, si trasforma in una “Eucarestia”, una porta spalancata sulla gratitudine per il prossimo che non vede nulla per cui lodare Dio.
Questa è la Pasqua, la speranza che illumina il mondo avvolto nelle tenebre dei calcoli che sballano sempre, incapace di essere felice. Il “segno” che svela il Profeta, “il Messia inviato da Dio”, è la Vita moltiplicata e capace di saziare, offerta gratuitamente all’umanità. Il segno del Profeta è la Chiesa, povera, debole, bisognosa di penitenza e conversione, eppure ricca della ricchezza che nessun altro nel mondo possiede: la Parola – i “cinque pani”, immagine dei cinque libri della Torah – e il potere di Dio nella carne del suo Figlio – i “due pesci”, immagine delle due nature del Signore. Il segno dato al mondo sono i “Dodici” apostoli colmi del suo amore come i “dodici canestri” che hanno “raccolto” la sovrabbondanza della Grazia, inviati a sfamare e molto di più, a saziare la vita di ogni uomo. Ovunque e per chiunque vi è speranza, perché oltre ogni pane e ogni pesce v’è un orizzonte infinito di pienezza. Sfamati e saziati siamo chiamati a donare a tutti la sovrabbondanza del suo amore: il tempo e le parole, i gesti e il denaro, gli sguardi e le lacrime, le sofferenze e le gioie, ogni secondo che ci è dato, tutto “raccolto perché nulla vada perduto”; nulla della tua vita è insignificante, perché tutto è, tra le mani di Gesù, una benedizione per chi ti è accanto. Solo abbiamo bisogno di “ritirarci” sempre con Gesù, perché il mondo, coniuge e figli ad esempio, non credano che i miracoli che Lui opera siano frutto della nostra buona volontà; “soli sulla montagna”, crocifissi con Cristo per amore, ecco il cuore segreto della nostra vita, da dove nasce la nostra missione.