don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 20 Ottobre 2022

373

IL FUOCO DELLO SPIRITO SANTO CHE ILLUMINA OGNI CONFLITTO PER SANARLO ALLA RADICE CON IL POTERE DELLA RISURREZIONE

Nel cuore della Chiesa brucia il fuoco dell’amore che Gesù ha «gettato» sulla terra perché anche su di essa si possa compiere la volontà del Cielo. In ogni apostolo «c’è una passione che deve crescere nella fede e che deve trasformarsi in carità che accenda come fuoco anche l’altro» (Benedetto XVI). La stessa “angoscia” sofferta da Gesù fino al “compimento del battesimo” che lo avrebbe inabissato negli inferi a liberare Adamo e ogni uomo, spinge da duemila anni gli apostoli sul «carro di fuoco» della visione del profeta Ezechiele, per annunciare il Vangelo sino ai confini della terra.

Quando però una sua interpretazione sentimentale e orgogliosa induce ad adattarlo alle culture e alle mode, si spegne la profezia, si «discredita il cristianesimo» e si inganna il mondo, offrendogli solo una triste edizione rivisitata di ciò che è già suo e non ha potuto salvarlo: “I vostri volti non sono volti di salvati, per questo io non crederò mai al vostro Signore” (J. P. Sartre). Sono i volti di un genitore, un educatore, un prete, una fidanzata, un amico quando accettano un compromesso.

- Pubblicità -

Tradiscono l’amore consegnando l’altro alla menzogna e al peccato. Se un padre, laddove appare – magari nascosta da sofismi sottili – una divisione con il figlio circa la volontà di Dio e l’adesione a Cristo, si lascia ingannare e inizia un dialogo teso a smussare e a frammentare la verità, avrà consegnato suo figlio al demonio. Se un parroco si illude che la divisione nella parrocchia sia causata da una mancanza di dialogo e di comprensione, e cercherà un compromesso non individuando i demoni che si nascondono in certe posizioni che vogliono limitare il soffio dello Spirito, spegnerà lo Spirito e lascerà che l’inganno si radichi.

Così in moltissimi altri casi, perché la divisione portata da Cristo ci spaventa, stentiamo a crederla possibile; l’immagine buonista e sentimentale secondo la quale il Signore debba ricucire sempre tutto e a qualunque prezzo, ci rende tiepidi e lascia campo aperto ad eresie striscianti, scismi incipienti, divisioni autentiche e laceranti: esse restano come germi infetti coperti da compromessi travestiti di pace e benessere. Ma è necessario che avvengano gli scandali, è necessario che appaiono, tristi e violente, le divisioni: chi ha detto che esse sono sempre un male e che debbano essere prontamente risanate?

Ma è il Signore che provoca la divisione, come accade con le novità ispirate dallo Spirito Santo: i carismi, i movimenti, gli ordini religiosi, lo zelo rinnovato nelle parrocchie. E il Papa, oggi Francesco come ieri i suoi predecessori, rivelando che lo stesso Spirito che rinnova la Tradizione soffia nell’Istituzione e nei carismi. E’, infatti, la novità di un amore assoluto e radicale, che reclama per sé tutto, perché tutto di sé ha donato; la novità che, abbiamo visto, raggiunge ogni ambito della vita: sessualità, lavoro, affetti, amicizie… Laddove si fa presente la divisione di fronte al Vangelo appare evidente dove sia la novità e chi la accoglie: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal Regno! (Vangelo sec. Tommaso, in: Origene, In Jerem. lat., 1 [3], v. 104)

- Pubblicità -

Il grigio non è colore cristiano… Per questo, spesso proprio la “divisione” svela il Regno di Dio, e smaschera la sua contraffazione. E’ buona solo quella “portata” da Gesù con amore e misericordia; la stessa di un chirurgo che taglia per curare; non certo la divisione insinuata dal diavolo, il padre di ogni discomunione, frutto amaro della superbia e dell’orgoglio che si fanno invidia, come negli scismi e nei divorzi ad esempio: “un cuore geloso è un cuore acido, un cuore che invece del sangue sembra avere l’aceto; è un cuore che non è mai felice, è un cuore che smembra la comunità” (Papa Francesco).  Il fuoco di Cristo, invece, divide per evitare di ricorrere alle toppe e annuncia il vino nuovo riversato in otri nuovi! Famiglie nuove, amicizie nuove, fidanzamenti nuovi. Tutto santo e libero perché tutto vissuto in Cristo, nella vera pace, la sua pace, che ci attende anche oggi, quella di un amore libero capace di donarsi gratuitamente.

L’amore al quale Dio ci torna a chiamare nel mezzo del nostro cuore ormai raffreddatosi, preoccupato più dell’apologia che dell’annuncio. Apologia di se stessi, delle proprie posizioni, anche del Magistero della Chiesa, tutto usato come una clava contro chi non la pensa come noi; tutto, anche le cose sante usate per soddisfare il proprio uomo vecchio, mentre degli altri, del peccatore, che sono per i quali esiste la Chiesa, non ci importa nulla. A casa come in Chiesa, con i familiari come tra sacerdoti, è sempre una continua lotta tra, da una parte l'”irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”; e dall’altra il “buonismo distruttivoche a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici” (Papa Francesco).

La novità del Concilio Vaticano II, come di ogni altro, e i suoi frutti fecondati dallo Spirito Santo, sconvolgono come fuoco la Chiesa, così come ogni figlio provoca un terremoto impensato nella famiglia. Ma, nella Chiesa gerarchica come nelle nostre parrocchie, e anche nelle nostre famiglie, sono forti le tentazioni ricordate dal papa a conclusione dell’Assemblea speciale del Sinodo sulla famiglia: ” La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati  cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili”. La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. La tentazione di trascurare il “depositum fidei”, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”, credo, queste cose”.

Il “fuoco” acceso da Gesù sulla Croce riduce in cenere i legami morbosi che si nascondono nei desideri della carne e ; il “fuoco” che la Chiesa sempre riaccende sino agli estremi confini della terra, ci fa liberi di osare, per amore, la fedeltà alla Verità. Occorre osare di fronte al capoufficio rischiando il posto di lavoro, pur di testimoniare la verità universale e ultima che abbiamo sperimentato. Osare la notte quando, unendosi al coniuge, siamo chiamati ad offrire i nostri corpi alla volontà di Dio, ad aprirci alla fecondità e alla vita, accogliendo il terzo, quinto o decimo figlio, per riaffermare il significato assoluto e universale che Dio ha nella nostra storia come in quella del mondo.

Occorre osare la castità ed il rispetto nel fidanzamento per annunciare la verità dell’amore crocifisso, l’unico autentico che, nel sacrificio, rivela il dono più grande, puro, disinteressato, quello di Cristo, gioia del loro cuoreosare nell’educazione, lottando con i compromessi affettivi, non temendo il rifiuto e la ribellione, perché i figli o gli studenti o i cristiani affidati siano ogni giorno più conformati e uniti a Cristo, pienezza delle loro aspirazioni.

Osare la stolta arrendevolezza della Croce, il non resistere al male che non è in contraddizione con l’affermazione senza smagliature della verità. Perché la Verità è sempre crocifissa, o non sarà Verità, anche se fosse la professione senza se e senza ma dei principi non negoziabili, anche se trovasse il rifiuto violento e la morte eroica. Resterebbe, appunto, una morte eroica, ma non un martirio; la testimonianza, infatti, è sempre l’offerta gratuita e gioiosa della propria vita per amore dell’altro divenuto nemico. Il dogma che abbraccia e infonde vita ad ogni altro dogma è la Croce, l’unico luogo che afferma, senza tema d’essere smentito, la gratuità e l’universalità dell’amore di Dio.

Solo Lui, e coloro che a Lui sono uniti, possono osare il dono totale di sé, senza sperare nulla se non la salvezza del mondo. Solo questo amore è credibile, nel senso che solo chi ama il nemico sino a dare la vita per lui conferisce anche al dogma, ai valori e ai principi morali irrinunciabili e non negoziabili, l’autorevolezza dell’autenticità. L’amore, infatti, li rivela “in presa diretta” mentre si realizzano nei cristiani, come connaturali all’uomo, come gli unici che si addicono alla persona, di qualunque razza e cultura. Solo l’amore riesce a far decodificare il grido nascosto nelle mille grida di dolore dell’umanità, riconoscendo in esso il bisogno di un’accoglienza e di un perdono che superi anche le regole della convivenza civile e finanche la legge naturale.

E’ vero, essa è inscritta nel cuore di ogni uomo, non vi è condizionamento capace di cancellarla sino in fondo, ed è altrettanto vero che, usando della libertà, gli uomini l’abbiano infranta. Tu ed io, non meno di un pagano o di un politeista, di un ateo o di un agnostico. Sottolineare all’infinito questa realtà non serve a nulla, neanche battersi perché venga accettata. Essa sarà rivelata solo in carni e vite capaci di superare i limiti della natura e delle leggi che Dio stesso le ha imposto, andando a ripescare chi, liberamente e orgogliosamente, le ha infrante. La legge naturale risplenderà solo in coloro che compiranno leggi soprannaturali, quelle dell’amore che ha sconfitto la morte, il limite estremo e invalicabile della natura.

I cristiani lo possono superare, entrano nel regno dei morti, si aggirano negli inferi e toccano, destano e si caricano dei relitti umani che vi si trovano. Amano senza condizioni chi ha abortito, ucciso, rubato, adulterato; si consegnano ai pedofili, ai terroristi, ai torturatori, agli evasori fiscali, ai corrotti, alla loro moglie e ai loro mariti, gratuitamente, nello stesso modo i cui sono stati amati. In quegli inferi depongono un raggio di speranza, un lampo della luce di Pasqua, la testimonianza credibile della vittoria di Cristo sulla morte e del conseguente perdono di ogni peccato. Non solo, proprio nel buio disperato di chi si disprezza al punto di non saper più vivere secondo natura, la Chiesa osa offrire la possibilità di una vita nuova, la stessa vita di Cristo, quella che scorre nelle sue vene: la vita soprannaturale che include, compie e sublima la legge naturale; il rispetto gioioso di ogni principio non negoziabile, l’affermazione perentoria e incontestabile della vita incastonata nella vita di chi la sta perdendo per puro amore.

Quale migliore e più credibile e autentica affermazione “pro-life” che quella di chi, per difendere la vita che non muore nella carne destinata a morire, offre la propria di vita, nella certezza di conservarla per l’eternità grazie alla resurrezione di Cristo? Quale maggiore difesa della vita nascente nel seno di una madre che quella di chi accoglie nel suo seno di misericordia madre e figlio, educando e accompagnando con il latte della misericordia e il bastone della Croce? E così per la vita di un anziano, di un malato, per il matrimonio, per le persone gay e per l’educazione, per ogni ambito della vita, soprattutto quelli più insidiati. Soprattutto per le donne, vergini, spose e madri, oggetto dell’attacco più proditorio del demonio: sono le donne a dover essere accolte oggi sotto il manto della misericordia, dove possano gridare, piangere, reclamare, per incontrare la gioia del loro compimento in quanto donne che il mondo le ha sottratto. A tutto questo è chiamata la Chiesa; a questo la chiama Papa Francesco, ad osare l’amore che esce verso le periferie dell’esistenza, quelle di chi è indifferente ma soffre indicibilmente, e ai quelli non si può restare indifferenti; a osare l’amore che non si difende, soprattutto quando è percepito, paradossalmente, come odio.

Occorre osare anche di vedersi rifiutati da chi ci ha dato la vita; come Edith Stein, che, pur soffrendo nella carne, non ha esitato ad abbandonare la propria religione e sua madre per seguire il Signore. E sarà proprio nella camera a gas del suo “doppio” martirio, come ebrea e come cristiana, che tutto si illuminerà e compirà: nell’amore che la consumava attirava e salvava anche ciò che aveva dovuto abbandonare. La divisione che porta Cristo è il distacco dalla carne che prelude alla comunione eterna: “Cara madre superiora, mi permetta di offrirmi in sacrificio di espiazione per la vera pace: perché il regno dell’anticristo sprofondi, se possibile senza un nuovo conflitto mondiale, e che un nuovo ordine s’impianti”. Chi vive in Cristo in Lui sarà perseguitato; dal suo uomo vecchio per cominciare e dal mondo perché un cristiano sarà sempre un segno di contraddizione. La sua vita sarà una profezia che, ovunque giungerà, provocherà la divisione. Gesù Cristo infatti non è un Segretario Onu, né tanto meno un gestore di fitness club o di uno di quei centri di pseudo-spiritualità dove ritrovare se stessi. Con Lui si è catapultati dritti dritti dentro le arene di ogni giorno, e leoni e tigri sono lì ad aspettarci.

Ma è proprio questa la vita più piena, buona e vera che fa scaturire il canto di ogni cristiano divorato dai suoi carnefici, il canto nuovo dei martiri di ogni parte del mondo. Il Signore ci chiama ad essere crocifissi con Lui perché il mondo riceva la vita; santi, separati, consacrati, cioè etimologicamente divisi, “pionieri del Cielo” – secondo un altro significato della parola che compare nel Vangelo odierno. Il Cielo offerto anche e proprio a coloro dai quali pareva ci fossimo separati, genitori, figli, sposi, amici, fidanzati. Essere discepolo di Cristo significa essere suo, non ci apparteniamo più. E’ questo il senso più profondo delle parole dure e difficili del Vangelo di oggi. Siamo suoi per discendere liberi con Lui nel “battesimo” che ci immerge nel dolore del prossimo perché incontri in noi il suo amore.

Il sito di don Antonello.