don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 20 Giugno 2022

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NON GIUDICA SOLO CHI FISSA LA TRAVE SULLA QUALE CRISTO HA CANCELLATO I SUOI PECCATI

Sulla “trave” che è già piantata nei nostri occhi e che il demonio vuole occultare è inchiodato il Signore per lavare i nostri peccati con il suo sangue! Le sue braccia distese su di essa rivelano la misura con la quale siamo stati giudicati per giudicare con essa ogni fratello, vagliando cioè con amore ciò che in lui non viene da Dio. Correggere è l’amore più duro, perché suppone il “reggere-con” il fratello la sua trave; per questo bisogna essere profondamente uniti a Cristo sulla nostra trave, perché sia la sua mano a sfiorare il cuore del fratello come fa con noi, per togliere le pagliuzze che gli impediscono di vedere l’amore di Dio.

Anche questa settimana ci attende un aspro combattimento con il demonio che, tentandoci in mille modi, cercherà di strapparci alla verità per indurci a ribellarci al dio giustiziere e “senza misericordia” che, mentendoci, ci dipinge. Il pericolo, infatti, è di cadere nella trappola in cui è caduto il servo malvagio e pigro della parabola; nasconde sotto terra il talento del perdono e della vita nuova perché, ingannato, pensava male del suo padrone ritenendolo un uomo duro che miete dove non ha seminato. Come è accaduto al servo spietato di un’altra parabola che, avendo dimenticato che il padrone gli aveva condonato “tutto” il debito e non solo una parte alla maniera degli uomini, perseguita il fratello perché gli restituisca la “pagliuzza” che gli doveva. Il demonio, infatti, è appostato nei fatti e nelle relazioni per rubarci la memoria dell’amore di Dio.

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Ascoltiamo bene le parole di Gesù, perché ci sta dicendo proprio questo: “accorgiti della trave che hai nell’occhio”. Ma come è possibile non “accorgersi di una trave” se basta un minuscolo granello di polvere negli occhi ad infastidirci? E’ possibile perché il demonio ci anestetizza lo sguardo rubandoci dal cuore la memoria dei nostri peccati e della misericordia di Dio; così finiamo per vivere nella menzogna che avvelena ogni rapporto. Allora attenzione all’ipocrisia fratelli, l’abito che il demonio ci cuce su “misura” per affrontare ogni relazione indossando la sua menzogna. Attenzione, perché accettando di vestire una falsa immagine di noi stessi saremo pronti a infilzare nel giudizio chiunque ci capiti a tiro. Dietro ad ogni giudizio, infatti, vi è la superbia di chi ha creduto di essere dio mentre è diventato un clone del demonio, senza misericordia perché indurito nell’orgoglio che rifiuta l’immagine e la somiglianza con Dio.

Chi ha dimenticato la “misura” infinita della misericordia del Padre non sa come prendere le “misure” nel rapporto con l’altro. Ha solo quelle limitatissime della vita nella carne che cerca di sfuggire alla corruzione vendendo e comprando ogni centimetro dell’esistenza. Per questo deve “giudicare” il prossimo, “Krinein” nell’originale greco, ovvero deve “separare” gli aspetti della sua persona e della sua storia setacciando senza pietà la sua esistenza. Deve “giudicare” per poterlo sedurre, possedere e gestire, in una sorta di spietata analisi di marketing, proprio come le grandi marche per intercettare e convincere i potenziali nuovi consumatori. Oppure “giudica” perché per averne ragione e difendersi ne deve scoprire le debolezze.
E tu, per caso non vivi molte relazioni come un segugio in cerca di tartufi? Cioè pesando con il bilancino ogni parola, gesto, sguardo e presunto pensiero degli altri, cercando in tutto chissà quale malizia nascosta, quale ingiustizia, quale disprezzo. Chi giudica, infatti, è un nevrotico inguaribile, e spesso cade preda di una vera e propria patologia: “è tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!” (Papa Francesco). Magari proprio in questo tempo ti stai fissando su una persona e non riesci a staccare i tuoi occhi e la tua mente da lei; ovviamente perché la stai giudicando e non sopporti più nulla, perfino il suo modo di tossire, di mangiare, di vestirsi, di educare i figli, di usare i soldi. Se ti sta accadendo, convertiti perché sei in pericolo.

Il giudizio è un cancro che sbrana l’anima e genera peccati a ripetizioni. Dietro a molti peccati sessuali vi è un giudizio che cova nel cuore, ed è inutile combattere sul fronte della castità se prima non è bonificato il cuore dai giudizi. Ma non ci riesco accidenti, è impossibile non giudicare mio marito! Certo, per questo devi convertirti ogni giorno ascoltando nella Chiesa l’annuncio che ridesta la memoria dell’amore di Dio illuminando i nostri peccati. Come accadde agli abitanti di Gerusalemme che “si sentirono trafiggere il cuore” ascoltando il kerygma nel quale Pietro li aveva prima denunciati come assassini di Gesù e poi gli aveva annunciato la sua resurrezione e il perdono dei peccati. Fratelli, per accorgerci di nuovo della “trave” che è nei nostri occhi dobbiamo ascoltare la predicazione della Chiesa che ci denuncia come peccatori e che meriteremmo di essere inchiodati a quella “trave”.

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Ma se la fisseremo incontreremo i nostri peccati lavati dal sangue di Cristo, e saremo liberati dall’inganno del demonio. Come accadde al Popolo di Israele quando ha fissato il serpente di bronzo immagine di quelli che li stavano uccidendo. Sulla “trave” che è già piantata nei nostri occhi e che il demonio vuole impedirci di vedere è inchiodato il Signore! Le sue braccia distese su di essa rivelano la misura con la quale siamo stati giudicati per giudicare con essa ogni fratello, vagliando cioè con amore ciò che in lui non viene da Dio. Correggere è l’amore più duro, perché suppone il “reggere-con” il fratello la sua “trave”; per questo bisogna essere profondamente uniti a Cristo sulla propria “trave” perché sia la stessa sua mano a sfiorare il cuore del fratello per “togliere le pagliuzze” che gli impediscono di vedere l’amore di Dio.

Orando un dì S. Antonio, intese questa voce : Antonio tu non sei ancora giunto alla perfezione di un tal Coriario, ch’è in Alessandria. Andò subito il Santo a trovar colui ; e richiestolo dalla sua vita, quegli rispose : Io non so d’aver mai fatto bene alcuno ; onde alzato che sono la mattina, dico tra me, che tutta la gente di questa Città si salverà per le sue buone opere, ed io solo mi perderò per li miei peccati ; e l’istesso dico pure la sera con tutta sincerità prima d’andare a letto. No, no, ripigliò S. Antonio, tu coll’arte tua t’ha assicurato il Cielo ; ed io, come senza discrezione, non sono arrivato alla tua misura. Nelle vite de’ PP. si narra di un certo Monaco, il quale dando conto del suo interno all’Abate Sisois, disse, che portava quasi di continuo dentro di se la memoria di Dio.

L’Abate gli rispose. Questa non è gran cosa : la gran cosa sarebbe se tu vedessi sempre te stesso sotto ogni creatura. Essendo stato ricevuto in un Monastero un uomo principale d’Alessandria, l’Abate, che nel suo aspetto, e da altri segni lo prese per uomo aspro, altiero, e gonfio della vanità del secolo, volle guidarlo per la via sicura dell’Umiltà, e però lo mise alla porteria con ordine di gettarsi a’ piedi di tutti quelli, ch’entravano ed uscivano, dicendo, che pregassero Dio per lui, ch’era un peccatore. Ubbidì colui esattamente, e dopo d’essere stato sette anni in quell’esercizio, e di aver acquistata una grande Umiltà, stimò bene l’Abate di fargli prendere l’ordine, ed ammetterlo in compagnia degli altri. Ma egli, ciò inteso, tanto lo pregò e lo scongiurò di lasciarlo in quell’impiego per quel poco tempo, che dicea dovergli restar di vita, che finalmente l’ottenne.

E fu indovino, perché dieci giorni dopo se ne morì con gran quiete, e sicurezza della sua salute. Il fatto vien riferito da S. Giovanni Climaco, il quale dicea di aver parlato con quest’uomo ; e che avendogli domandato in che si occupasse in tutto quel tempo che stava alla porta ; rispose, che tutto il suo esercizio era di riputarsi indegno di stare in quel Monastero, e di godere la compagnia e vista dei Padri, e di neppur alzar gli occhi per guardarli. Si legge della V. M. Serafina di Dio, che parea non avesse gli occhi, che per guardare ed esagerare i propri difetti, e per ammirare negli altri la loro virtù. Ond’è che quando vedea, che gli altri facessero alcun bene, con gran sentimento dicea : o beati loro ! Tutti attendono a servire Iddio fuorché io. E quando ne vedea a’ piedi de’ Confessori, stima, che d’altro non parlassero, che di Dio ; e si rammaricava con se medesima, che altro non andava a dire a quelli, che scelleraggini e peccati. E se mai vedea farsi da alcuno qualche difetto, lo sapea facilmente scusare e compatire. Ed in questa maniera ella sapea mantenersi anche in vista degli altrui mancamenti nel concetto, che di se avea di esser peggiore di tutti .

“Un anziano raccontò: “Vi era un anziano che viveva nel deserto e, dopo aver servito Dio per molti anni, disse: “Signore, rivelami con chiarezza se ti sono stato gradito”. E vide un angelo che gli disse: “Non sei  ancora diventato come l’ortolano che vive nel tal luogo”. L’anziano, stupito, disse fra sé: “Andrò in città a vederlo. Chi sa che mai avrà fatto per superare il lavoro e la fatica di tanti miei anni!”. Partì dunque l’anziano, giunse al luogo che l’angelo gli aveva indicato, e trovò quell’uomo occupato a vendere ortaggi. Si sedette accanto a lui per il resto del giorno e, quando ebbe finito gli disse: “Fratello, puoi ricevermi nella tua cella questa notte?”.

Lo accolse con grande gioia. Giunto nella sua cella si mise a preparare il necessario per rifocillare l’anziano, e questi gli disse: “Fammi questa carità, fratello, raccontami la tua vita”. Poiché egli non voleva parlare, l’anziano insistette molto a pregarlo. Convinto dalle suppliche, l’uomo disse: “Mangio solo la sera; quando mi corico, tengo soltanto il necessario per il mio nutrimento; il resto lo do ai poveri e, se ricevo qualcuno dei servi di Dio, lo offro a lui. Quando mi alzo al mattino, prima di sedermi al mio lavoro dico che tutti gli abitanti della città dal più piccolo al più grande, entreranno nel Regno per la loro giustizia, mentre io solo erediterò il castigo per i miei peccati. Anche alla sera, prima di addormentarmi, dico la stessa cosa”. Udito ciò l’anziano gli disse: “Quest’opera è buona, ma non è tale da superare le mie fatiche di tanti anni”.

Mentre si accingevano a mangiare, l’anziano udì che in strada si cantavano delle canzonacce; la cella dell’ortolano si trovava infatti in una zona di cattiva fama. Gli dice l’anziano: “Fratello, tu che vuoi vivere così secondo Dio, come mai rimani in questo luogo? Non ti turbi quando senti cantare queste cose?”. L’altro gli dice: “Ti dirò, padre, che non mi sono mai né turbato né scandalizzato”. “Ma cosa pensi in cuor tuo quando odi queste cose?”, chiede l’anziano. “Penso – egli dice – che essi entreranno certamente nel Regno”. A queste parole l’anziano, preso da ammirazione, disse; “Questa è l’opera che supera la mia fatica di tanti anni”, e inchinatosi davanti a lui soggiunse: “Perdonami, fratello, non sono ancora giunto a questa misura”.