L’INTIMITA’ CON CRISTO NELLA CHIESA E’ IL GREMBO DELLA VITA OFFERTA A SERVIZIO DELLA SALVEZZA DI OGNI UOMO
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE
Viviamo dissipati tra mille impegni pur di sfuggire dalla verità che si svela nell’intimità, con Cristo prima, e poi con marito e moglie, con i figli, con i fratelli: “Ogni uomo è “fugitivus cordis sui”, si allontana dal suo proprio cuore” (S. Agostino). Siamo come Esaù, “uomo della campagna”, che cacciava per suo padre ma viveva lontano da lui, sino a perdere la primogenitura. Giacobbe, invece, l’ “uomo tranquillo e semplice, che viveva nelle tende”, pur essendo un furbastro, è immagine del cristiano che la Quaresima ci chiama a diventare. Aveva capito l’importanza dell’intimità con il padre, e per questo ha avuto in eredità benedizione e primogenitura. Ohel, la tenda dove dimorava, è anche sinonimo di una Beth Midrash, la sala di studio della Torah.
Non a caso in ebraico “filatterio” significa “luogo in cui si conserva”; erano, infatti, delle custodie cubiche di cuoio contenenti piccoli rotoli di pergamena su cui erano scritti alcuni passi della Torah. Fissati con cinghie alla parte superiore del braccio e alla fronte, costituivano una sorta di piccola Beth Midrash che accompagnava i rabbini durante le loro giornate. Erano il segno dello studio e dell’intimità con la Parola che avrebbe dovuto illuminare ogni loro passo. Una parte dei farisei e degli scribi, invece, ne avevano fatto il tabernacolo della loro ipocrisia: dal servizio alla Parola alla Parola assunta a proprio servizio. Li “allargavano” davanti alla gente per non dilatare il cuore nell’intimità con Dio; così “pulivano l’esterno” della coppa, lasciando imputridire l'”interno”. Ogni pratica religiosa era ostentata “per essere ammirati dagli uomini”, dai quali bramavano i saluti per sentirsi importanti. Avevano ridotto le cose sante a merce esposta nella vetrine monobrand del proprio ego, impegnati a scalare “i primi posti” nelle vendite, sino ad usurpare la “Cattedra di Mosè”.
Per fare presente Mosè e la sua autorità, nelle sinagoghe era lasciata una sedia vuota. L’avrebbe occupata il profeta annunziato da Mosè. Raggiunta questa, i farisei e gli scribi a cui si rivolgeva il Signore, avrebbero arpionato l’autorità suprema che legittimava ogni altra autorità sul Popolo. Esattamente come accade a noi, pronti ad azzannare ogni Grazia, a convertire tutto in legge, a usare tutto e tutti per soddisfare desideri, concupiscenze, bisogni ed esigenze. Quante preghiere ostentate, quanta affettata umiltà, disponibilità, mitezza per carpire benevolenza, stima, prestigio. “Seduti sulla cattedra di Mosè” pretendiamo di dare disposizioni a destra e a manca, da come si prepara un caffè a come gestire i conti dell’Italia. Non cerchi forse il tuo “posto d’onore”, il primo ovviamente, nel cuore dei figli, dei genitori, della fidanzata? Anche le parvenze d’umiltà sono, spesso, simulacri dell’orgoglio che ci divora. Ma il Signore ci chiama oggi nella sua tenda, nella Beth Midrash della sua intimità. E lì, ad inginocchiarci ai piedi dell’unico Maestro, per ascoltare e imparare a vivere dell’unica cosa di cui abbiamo bisogno, la sua Parola di misericordia. Con la Quaresima la Chiesa ci invita per questo a digiunare dalla visibilità a tutti i costi, dal presenzialismo non-stop sui social networks; e a dare in elemosina quanto usiamo per apparire, alienarci e sfuggire l’amore autentico che ci inchioda alla Verità. Forse l’elemosina significa rinunciare a qualche impegno nel quale crediamo di essere imprescindibili, magari anche in parrocchia, per starcene accanto ai nostri figli e al nostro coniuge; a mettere tra parentesi le attività che tu hai scelto per essere protagonista, forse proprio quelle più pie e altruistiche, dove puoi essere “salutato” e riconosciuto da parroco e sacrestano.
Non ti accorgi che stai “allungando i filatteri” per farti amare? No? credi di farlo con amore e dedizione? Allora rinunciaci, e riempi quel tempo con la preghiera davanti al Santissimo o con la Scrittura in mano, con il rosario o l’Ufficio Divino, e pensa che qualcun altro lo farà molto meglio di te…. Scendi dal palco, e chiuditi nella tenda, lì, ai piedi della Croce, l’autentica “cattedra di Mosè”. La cattedra che noi usurpiamo, infatti, è riservata al Messia, al Profeta inviato da Dio per salvarci. Solo accogliendo Gesù che viene ogni giorno per condurci con l’autorità della Parola compiuta in Lui, potremo partecipare della sua stessa autorità. Il Signore infatti ci attira a sé dalla Croce, dove il Maestro si è fatto Servo. Ci precede ogni giorno per sederci con Lui alla destra del Padre, ma occorre passare dalla Croce. Solo nella verità della nostra debolezza, laddove scopriamo di non avere più filatteri da allungare perché il cuore è ferito dal peccato, potremo aprirci alla misericordia di Dio, e sperimentare che Lui basta a colmare ogni nostro desiderio.
Nell’intimità con Cristo è gestata la pienezza della libertà, e dall’unione con Lui nasce la gioia di poter amare gratuitamente. E questo vale innanzitutto per preti e suore, i soggetti più a rischio di contrarre il virus dell’ipocrisia. Scopriremo allora il cuore della Quaresima che, anche quest’anno, ci vuol condurre alla conversione autentica e interiore, a “dire” di meno perché abbiamo sempre “detto e non fatto”, “caricando” sulle spalle dei fratelli i pesi che non abbiamo neanche sfiorato. Padri e madri, preti e catechisti, abbiamo sulle spalle i lividi della Croce portata con Cristo? No? Allora ogni nostro “dire” è pura ipocrisia. Se hai schiantato la schiena di tuo figlio o di tua moglie con le tue leggi significa che non hai conosciuto Dio e il suo amore. Per questo la Quaresima ci invita a una rivoluzione autentica, altro che qualche cerotto spirituale! Convertirci significa “abbassarci” e scendere dalla cattedra dell’ipocrisia con cui offriamo ai figli e agli altri l’alibi per non ascoltarci; e camminare accanto a loro per divenire insieme discepoli dell’unico Maestro che dice e fa quello che dice: “figlio mio, sono una frana anche peggio di te, ma ho sperimentato che Dio è buono e fedele, e il poco di autentico che c’è in me è opera sua”.
Inoltre, la Quaresima ci chiama seriamente a pregare nel segreto e…. a donarci nell’intimità al nostro coniuge. Ma dai, non dovrebbe essere un tempo di mortificazione? Appunto, mortifica i tuoi appetiti travestiti di pietà e conversione, digiuna “abbassandoti” davanti all’altro e “servendolo” in ciò di cui lui ha bisogno; questo significa anche unirsi a tua moglie o a tuo marito nei momenti che, invece, vorresti riservare per te. Sì, perché se l’intimità che credi di avere con Cristo non ti porta alla stessa intimità con chi ti stato donato da Lui, è falsa. Allora, smetti di guidare tu e lascia che il Signore ti conduca alla sua Beth Midrash, la sua intimità autentica nella quale trovare bella e santa ogni altra intimità. E in Lui abbandonarci ad Abbà, all’unico Papà che ci fa padri nel Padre, perché figli nel Figlio, maestri sulla sua cattedra della Croce.