NELLA CHIESA SIAMO RISUSCITATI DAL PENSIERO MALVAGIO PER CAMMINARE NELLA BENEDIZIONE
“Perché pensiamo cose malvagie nel cuore”? Perché pensiamo che Gesù “bestemmi”? Perché portiamo dentro lo scandalo della sofferenza e non crediamo che Gesù abbia il potere di giungere alla radice del male ed estirparlo. Non riusciamo a credere in un perdono che cancelli e dimentichi i peccati e possa ricreare una persona sino a fare di un assassino un santo. Sappiamo che Dio è buono, onnipotente, e nel Credo professiamo la fede nel perdono dei peccati. E così cominciamo a pensare male di Gesù, proprio quando la Chiesa ci chiama alla fede, ad abbandonarci all’amore di Dio e a portare ai piedi di Gesù e aspettare che Lui operi la guarigione nelle situazioni difficili, nelle relazioni paralizzate, o di quello che in noi vi è di infermo. “Pensiamo male di Gesù” perché, indurito il cuore per l’inganno del demonio, non accettiamo che alla radice di qualsiasi problema vi siano i peccati.
Come nel Vangelo, la mormorazione e il giudizio scattano quando Gesù, invece di operare il miracolo che guarisca le situazioni, punta diritto i peccati. Quando la Chiesa vorrebbe deporci ai piedi di Gesù perché ci perdoni e trasformi il cuore ci ribelliamo perché vorremmo un miracolo che cambi la realtà attorno a noi. Non accettiamo chi ci annuncia che vi è il peccato dietro la paralisi del dialogo e della comunione con il coniuge o le esplosioni continue dei figli che non siamo capaci di far ragionare e ci trascinano in altrettante esplosioni di ira. Vorremmo capire i perché di tante atrocità, di tante ingiustizie, ma rifiutiamo di accettare che esista una radice del male, la paralisi del peccato perché il pensiero unico che domina la nostra cultura non la prevede. Adagiati nel peccato pensiamo cose malvagie. Non riconoscerlo, guardarlo con supponenza, sorvolarne la serietà e la drammaticità è dare del bestemmiatore a Gesù. Significa essere nemici della sua Croce. Ignorare il peccato è ignorare Dio, il suo potere, il suo amore.
Restare appiattiti sulle sue conseguenze, cercando come eluderle o sbianchettarle, dimenticando la Rivelazione che indica nel peccato la radice di ogni male, anche quelli che chiamiamo malattie o disastri naturali, conduce a pensare male di Dio, o a escluderlo dalla vita; non possiamo accettare un Dio che sembra non agire contro le ingiustizie, e preferiamo dimenticarlo, o cercare comunque e ad ogni costo un capro espiatorio su cui riversare il dolore e il risentimento. Il giustizialismo e l’indignazione di questi tempi nascondono negli armadi gli scheletri di una società che ha legittimato l’omicidio più efferato, quello perpetrato sulle creature più indifese. Il cortocircuito demoniaco stringe come un cappio mortale le nostre vite, cadute nell’illusione che si possa vincere il male con un male più grande travestito da bene. Insieme con la cultura mondana, non crediamo che la paralisi indichi il disordine del peccato, ma è piuttosto un incidente cui ribellarsi. La Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. Vi è un solo cammino per guarire: guardare in faccia la Verità, lasciarci giudicare dalle Parole d’amore di Gesù. In Lui i peccati sono rimessi e sperimentiamo la vera liberazione, perché il mistero del male si svela nel perdono.
A Boezio che si chiedeva “Se Dio esiste, da dove il male?”, San Tommaso d’Aquino rispondeva capovolgendo i termini: “Si il male è, Dio è”, perché l’esistenza di Dio è affermata e argomentata proprio a partire dalla realtà del male (Contra Gentiles, 1. III, c.71). Il perdono ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l’umiltà e spariscono i pensieri malvagi, i giudizi, la malizia. Sulla roccia della Verità si infrangono le onde del male, e sorge un pensiero nuovo, di pazienza e misericordia. Nella Verità si dischiude la porta della vita davanti ad ogni peccatore, a ciascuno di noi: lasciarsi amare, riconciliare, perdonare. Accettare d’essere peccatori, e gettarsi ai piedi di Gesù, aiutati e accompagnati dalla Chiesa: “O Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Perché Gesù è mosso dalla fede degli amici del paralitico a compiere il miracolo del perdono riconsegnando forza e vigore alle membra paralizzate. Abbiamo bisogno della comunità cristiana, dei pastori e dei fratelli, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti e deporre i malati ai piedi di Gesù.
Abbiamo bisogno della fede della Chiesa che apre per noi un cammino distruggendo pareti e tetti che ci accerchiano e ci impediscono di andare a Cristo, per essere liberati e tornare a casa, nella storia di ogni giorno con il letto che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza nella quale si rivela pienamente la potenza dell’amore di Dio. A noi la memoria di quello che siamo, a Gesù l’amore e il perdono.
AUTORE: don Antonello Iapicca
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