«Tu, chi sei?»: il nuovo anno inizia con questa domanda, e la felicità dipenderà dalla risposta che sapremo dare. In mille modi diversi ci “interrogheranno” per conoscere la nostra identità . Lo ha fatto Mosè al roveto ardente, lo facciamo anche noi, perché conoscere il nome di un altro significa acquistare un potere su di lui. Lo chiami per nome, e anche in mezzo a una grande folla lui si gira: hai avuto il potere di strapparlo a se stesso perché fissi l’attenzione su di te.
Â
Vogliamo conoscere l’altro proprio per diventare importante per lui e ottenere il suo affetto, la stima, l’approvazione, sino ad appropriarci della sua persona, completamente, come una preda. Riuscire a insinuarci nella sua intimità ci dà sicurezza: è come entrare in una città con un buon navigatore in macchina, di quelli che ti indicano anche il traffico e le strade alternative, aggiornandoti sulle condizioni meteo e i lavori in corso. Anche se è una città grande e pericolosa, non hai problemi, puoi muoverti senza perdere tempo e al riparo da inconvenienti, perché con quell’aggeggio è come se te la mettessi in tasca.
Â
Un marito, infatti, pagherebbe oro per avere un navigatore con cui orientarsi nei cambi di umore della moglie: impazzisce ogni giorno tra vicoli di parole e viali di fantasie; si stressa per cercare di capirci qualcosa tra sensi unici di richieste e desideri che cambiano senza preavviso; e mai che si trovi un posto per parcheggiare… Tutti occupati: pranzi, cene, spesa, lavoro, fitness club, bambini da accompagnare e riprendere, telefonata quotidiana con mamma-sorella-amica, e poi la doccia e il tempo per me stessa, e sono stanca da morire e un cerchio alla testa che guarda sono già crollata.
Â
Ma anche lei senza tom-tom è perduta. Ogni volta che si illude di aver imparato a decodificare il grugnito del marito, è come se si ritrovasse dall’altra parte della città , imbottigliata nel traffico tra camion di indifferenza, autobus di impegni e scooter che le sfrecciano a fianco piantandole addosso sguardi assassini di ironia.
Â
Insomma, siamo tutti condannati a passare sotto il torchio dell’interrogatorio degli altri. In chiunque ci imbattiamo, risuona indiscreta la stessa domanda: “Tu chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”: i sentimenti e le concupiscenze, infatti, ci “inviano” agli altri ed esigono risposte che sazino la carne.
Â
Quanti fidanzati, (parola impegnativa lo so, ma altrimenti è impossibile definire quel groviglio di carne e passioni che legano due ragazzi), vivono oggi come in un interrogatorio continuo, senza accorgersene. Ammanettati l’uno all’altra nei propri smartphone, come in un grande fratello dove nulla deve restare segreto, si sottopongono mutuamente a indagini accuratissime: tra chat e selfie, post e tag, emoticon e commenti, devono sapere tutto, e guai se non sei immediatamente reperibile, se non sai dare la risposta che il partner si aspetta.
Â
Guai se non ti metti a nudo sin dentro l’intimità dei ricordi, dei sogni, dei pensieri, dei peccati, da quando eri ospitato nel grembo materno sino a questo istante che ti sta rapendo nella morbosità . Se non sai dire “chi sei”, aspettati dall’altro crolli verticali nell’orrido di drammatiche crisi esistenziali, terremoti emotivi che innescano tsunami violenti ed isterici sul mondo intero.Â
Ciò accade perché nell’intimo siamo ingannati come i “farisei”; crediamo d’essere Dio, “separati” dalle debolezze degli altri, diversi e migliori. Per questo siamo così stanchi e frustrati, sempre impegnati a rispondere a tutti che siamo dio. Che stress, vero?, dentro quell’immagine ipocrita che ci cola addosso come rimmel aggredito dal sudore. Eh sì, sudiamo tutti, perché non siamo dio…
Â
Ma proprio questa è la prima grande notizia dell’incarnazione: Dio si è fatto bambino perché per salvarci doveva dirci chi non siamo. Guardando Gesù nella mangiatoia capiremo che non siamo Dio perché scappiamo dall’ultimo posto, dal servizio disinteressato, da tutto ciò che ci fa piccoli…
Â
Magari lo vedessimo e lo accettassimo! Significherebbe che saremmo pronti ad accogliere il perdono di Dio che strappa l’orgoglio dalle sue radici piantate in noi. Smettiamola di scappare allora, togliamoci maschere e costumi, lasciamoci amare e cominciamo ad essere quello che siamo!
Â
E chi siamo? Giovanni Battista, perché, come lui, tutti siamo il frutto del miracolo che ha fatto sbocciare la vita dalla morte, la fecondità dalla sterilità . Siamo “voce che grida nel deserto”: sterili, senz’acqua, peccatori, non siamo Dio, ma proprio per questo siamo la sua “voce” che grida vittoriosa nella morte e chiama a conversione. La nostra vita salvata è la “voce” che annuncia l’amore gratuito di Dio.
Â
Siamo stati perdonati e graziati mille volte, e ogni evento nel quale ciò è avvenuto è “voce” che invita l’altro a “rendere diritta la via del Signore”, a cercare direttamente Lui smettendo di confonderlo con le sue creature. A non fermarsi alla nostra povera carne, ma a contemplare in essa l’opera di Dio.
Â
Anche quest’anno Egli ha pensato di “battezzare con acqua” questa generazione attraverso la nostra testimonianza. “Non sono il Messia” è l’unica e autentica risposta da dare a chi ci chiede “chi siamo”. Altro che ti amo, è questa l’unica risposta capace di aprire un varco all’amore vero tra due sposi, tra due fidanzati, tra genitori e figli, tra amici; dire “ti amo” sarà sincero e avrà valore solo se immerso nell’umiltà di chi sa di non essere dio per sé e per l’altro.
Â
Per questo chi ama in Cristo saprà dirgli: “non sono io” che potrò farti felice, non ti ingannare; “non sono io” che saprò rispondere ai tuoi dubbi, consolare le tue angosce, colmare le tue voragini affettive. “Non sono io il tuo Messia”: io sono solo la sua “voce”, perché in me parla il suo amore per te, umile al punto di mescolarsi ai miei peccati e alle mie debolezze, perché tu possa riconoscerlo e aprirti a Lui.
Â
“Non sono degno di sciogliere il laccio del suo sandalo” perché non ho alcun diritto su di te: è Cristo il tuo Sposo, l’unico che ha dato se stesso per te. Io ti sono accanto per aprire la strada a Lui, e amarti significa condurti a battezzarti nell’acqua della sua misericordia che sta bagnando anche me.Â
Â
Un marito è inviato a sua moglie per destarla e prepararla all’arrivo del Signore. Il suo carattere, i suoi difetti e i suoi pregi, le debolezze e perfino i peccati sono i segni attraverso i quali il Messia, Gesù, si fa conoscere. Finché ci affideremo alla carne, cercando di appropriarci dell’altro per sentirci amati, falliremo, perché pur “essendo in mezzo a noi” il Signore, continueremo a “non conoscerlo”, lasciandolo fuori e impedendogli di salvarci e farci felici.
Â
Ma coraggio, perché Lui viene a farsi conoscere proprio nei nostri peccati: non tocca la nostra libertà e lascia che i fallimenti ci umilino perché possiamo rivolgerci a Lui e accoglierlo senza riserve. E’ Lui il navigatore che, unendoci al suo Spirito, ci guida verso il fratello nel rispetto per la sua libertà , senza esigere nulla, per “battezzarlo” nella misericordia che prepara la salvezza del Messia.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betà nia, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.