PRENDENDOCI PER MANO CRISTO CI CONDUCE NELL’INTIMITA’ DELLA CHIESA PER GUARIRE I NOSTRI OCCHI CON LA SUA PAROLA PER CONTEMPLARE CHIARAMENTE IL SUO AMORE CROCIFISSO IMPRESSO IN OGNI UOMO
Betsaida, al confine tra la Galilea e la Decapoli, a un tiro di sasso dal paganesimo. Betsaida è ogni luogo, situazione e relazione dove viviamo un po’ con Dio e un po’ con mammona, un po’ fedeli e un po’ idolatri. Betsaida è la nostra vita che non è carne né pesce, sorgente di sofferenza per la frustrazione di non poter amare che, come una coltre oscura, ci avvolge popolando il cuore e la mente di incubi.Â
Quelli di fronte ai doveri che incombono e che vorremmo sfuggire; la casa, il lavoro, lo studio, le bollette e gli impegni di una società che viaggia alla velocità della luce. Il buio ci assale di fronte a quella persona che non possiamo perdonare o accettare, e cresce la paura della morte della speranza che intuiamo vicina. Per questo camminiamo a tastoni, ciechi su quello che realmente siamo e su chi ci è accanto. La cecità infatti è il segno di un disordine, mostra i limiti della natura ferita dal peccato. Siamo ciechi e sbattiamo ogni giorno sulle barriere architettoniche erette dal nostro cuore indurito, dai pregiudizi, dalle concupiscenze, dai moralismi, dai pensieri e dalla carne corrotti dal peccato.Â
Ma nulla di noi è estraneo all’amore della Chiesa che ci viene incontro nella nostra Betsaida per condurci a Gesù. Gli amici dello Sposo lo pregano infatti con pazienza perché si prenda cura di noi, spose accecate dalla menzogna del demonio. E il Signore, e senza giudicarci, prende per mano la sua sposa attirandola nel deserto per parlare al suo cuore. In questi passi balbettati accanto a Gesù è tutta la nostra vita. Abbiamo bisogno di camminare per mano dello Sposo che conosce il cammino della Pasqua per uscire dall’oscura notte della morte. Come nella Veglia Pasquale la luce del cero annuncia lo splendore del Re che ha vinto le tenebre, così la predicazione della Parola simboleggiata dalla saliva di Gesù spalmata sugli occhi del cieco ci annuncia la Buona Notizia che alla sua luce passeremo dalla cecità alla vista piena, ovvero la vita nuova dei risorti nella comunione con gli altri uomini.
Essa ci illumina innanzi tutto sull’albero della Croce dove Gesù nuovo Adamo ha condotto la carne disobbediente e per questo cieca del primo Adamo. Perché non c’è guarigione senza l’esperienza con cui il cuore vede se stesso e gli altri come alberi; ciò significa che il primo passo verso la guarigione è l’umiltà che riconosce i propri peccati che Gesù ha inchiodato sull’albero della Croce. Chi cammina nella Chiesa, infatti, posa il primo sguardo degli occhi dischiusi nella fede sulla Gloria che riveste la Croce di ogni sua debolezza. Solo l’esperienza personale che ogni umiliazione e caduta ci ha condotti all’incontro con l’amore infinito di Dio in Cristo suo Figlio, può aprire gli occhi del cuore per riconoscere un fratello in chi ci è accanto.
Il contatto prolungato e ripetuto con Lui che ci tocca attraverso il battesimo e ogni sacramento, ci unisce allo Sposo sulla nostra croce di ogni giorno, dalla quale, con i suoi stessi occhi, possiamo guardare a distanza ogni cosa senza trascurare nessun dettaglio offertoci per stendere le braccia e donarci. E’ la vista piena della fede adulta, ovvero, secondo l’originale greco, un vedere perfettamente attraverso la superficie e dentro la realtà , il discernimento capace di riconoscere in chi ci è accanto lo stesso volto di Cristo. Uno sguardo d’amore capace di contemplare nel fratello la bellezza dell’immagine di Dio celata dalle ferite del peccato. Per questo, una volta guariti, non si torna più al villaggio di prima, ai rapporti feriti dalla paura e dal peccato, ma si cammina obbedienti alla sequela di Gesù, guardando la storia e le persone con i suoi stessi occhi colmi di misericordia.
Commento a cura di don Antonello Iapicca
Qui l’intervista Rai a don Antonello
Busshozan shi ko 31-1
Takamatsu, Kagawa 761-8078
Japan