MUTI PER ACCOGLIERE L’INCARNAZIONE DELLA PAROLA DELL’AMORE CHE RISCATTA IL SILENZIO DELLA MORTE
Il Natale è preparato da una voce che squarcia il silenzio dell’incredulità: “avrai gioia ed esultanza”. Nonostante l’incredulità, è annunziata a Zaccaria una gioia straripante. Essa scaturirà proprio dal silenzio del dubbio. Dio vuole salvarci, ma conosce l’estrema fragilità che tutti ci accomuna. Il suo amore accoglie, e assorbe nella fedeltà, ogni debolezza, compresa quella dell’incredulità. Come quella di Zaccaria di fronte all’annuncio dell’angelo. E’ un sacerdote, fondato sulla fede dei padri. Era già successo che Dio rendesse fertile un seno sterile, e Zaccaria lo sapeva. Ma, quando la storia della salvezza bussa alla sua porta, scopre che la sua fede non è così granitica come forse pensava. Finché i miracoli hanno riguardato gli altri, beh non era stato difficile credere.
Credere nel senso di ritenere possibile che, in casi eccezionali con persone speciali, Dio possa fare cose straordinarie. Un pochino come quando si guarda un film, riuscito talmente bene da coinvolgerti e far sembrare realistiche anche scene che la ragione considerebbe inverosimili. Ecco, la fede di Zaccaria era così, sicura davanti allo schermo, friabile quando da questo la storia esce e si estende sino a diventare la sua. Immagina lo spavento, come se d’un tratto, mentre stai vedendo spiderman, questi si materializzasse a fianco a te e ti dicesse di cominciare a saltare su pareti e tetti con lui. E poi, superato lo shock, subito a guardarti la pancetta, e il ginocchio che cigola, e tutte le sigarette che fumi: per favore, non io, non è possibile… E’ bello e vero quello che ci mostra un film fatto bene, la vita di un santo per esempio, ti sei emozionato molte volte e ti sei detto: accidenti è vero, come mai non ci avevo pensato prima…
Ma quando, partita la prima pubblicità, ti giri e vedi tua moglie che scalda i motori e comincia a vomitarti rimproveri su tutte le vere e presunte omissioni di marito e padre – e non ne manca nessuna, neanche quelle che farai cinque minuti prima di morire – e per questo ti impone come un martello pneumatico di rimediare, e accompagnarla qui e là, stendere la biancheria, fare la spesa per almeno quattro mesi, darle carta bianca su vacanze, weekend e colore della nuova carta da parati, quando questo torrente in piena ti investe… Splendido, ma non per me, e ti giri dall’altra parte, infilandoti silenzioso dentro te stesso. Anche così si diventa muti, come Zaccaria. Impossibile amare, bello a dirsi ma impensabile a farsi; proprio come avere un figlio da una moglie sterile quando si è vecchi.
Per questo, la domanda con cui Zaccaria risponde all’angelo è già un silenzio: “Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni”. Si ferma a guardare se stesso e sua moglie, e così precipita nel vuoto della propria incapacità. Maria, dinanzi a un annuncio ancor più stupefacente, non affonda in se stessa, ma si prende tra le mani, lei e quel suo non conoscere uomo, e le apre per raccogliere la Grazia che saprà compiere l’impossibile. Zaccaria, invece, si chiude in se stesso, e per questo Dio gli chiude la bocca. Nessuna parola umana rivestita di orgoglio può spiegare i miracoli di Dio. Ma proprio spegnendogli la voce, Dio mostra il suo amore e la sua fedeltà. Non si ferma, non passa ad altri possibili destinatari. Prende Zaccaria e lo siede muto dinanzi alla sua incredulità, visitata e riscattata gratuitamente dalla misericordia. Muto come Giobbe, per contemplare l’opera di Dio, senza sporcarla con le parole della sua limitata ragione. Solo così le sue labbra potranno schiudersi nella fede autentica con parole di lode gioiosa. Quando presenterà al Tempio quel bambino dinanzi a Dio e al popolo, potrà professare la fede chiamandolo Giovanni, il nome nuovo che Dio aveva indicato.
Zaccaria era così passato dall’incredulità alla fede attraverso un cammino nel silenzio. Per credere, infatti, occorre che le certezze e le ragioni umane facciano spazio alla novità di vita che Dio vuol donare. Allo stesso modo camminavano i pagani per giungere al battesimo, spogliati a poco a poco degli idoli, dei costumi mondani, accogliendo la fede predicata dalla Chiesa mentre si incarnava in una vita diversa da quella condotta prima. Così Dio sta facendo con noi. Quello che ci annuncia il Natale, infatti, al netto del sentimentalismo, è fuori della portata umana: Dio si fa carne nella tua carne. Ciò significa che viene a prendere la tua vita e la va a trasformare nella vita di Cristo, sino alla Croce, sino ad un amore che supera ogni limite, che si dona anche al nemico. Che non esige giustizia ma perdona, settanta volte sette. Rimani senza parole, vero? Tu, che hai quel rancore sordo per tuo genero, ti inginocchierai davanti a lui, che ha fatto soffrire tua figlia, che l’ha tradita, gli chiederai perdono e lo accoglierai a casa tua con un pranzo buonissimo. In te sarà vinta ogni sterilità, e darai alla luce Giovanni, una vita nuova e profetica, “colma di Spirito Santo fin dal seno di sua madre”. Sarai inviato come lui a “ricondurre molti figli d’Israele al Signore loro Dio” e a “ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”.
Dove? Nella tua famiglia, al lavoro, ovunque, perché “camminerai innanzi” a Dio sulle strade della tua vita, “con lo spirito e la forza di Elia”, testimoniando la vanità degli idoli e la provvidenza del Padre. La tua sarà una vita donata senza riserve per ogni uomo. Impossibile, io non ne sarò mai capace, anche perché non ci credo che sia quella la verità. Allora resti muto accanto alla tua Elisabetta, alla storia nella quale Dio va a compiere quello che ti ha annunciato. Muto a sperimentare il perdono di Dio che feconda il tuo cuore indurito, e lo scioglie, giorno dopo giorno, come è accaduto al grembo di Elisabetta. La storia visitata da Cristo e il cuore unito al suo ti testimonieranno che l’amore di Dio è l’unica Verità. E finalmente crederai, ti appoggerai a Cristo per vivere amando. Perché non basta uno spettacolo televisivo che parla divinamente di Dio, non basta neanche la religione vissuta come Zaccaria, “svolgendo fedelmente le funzioni sacerdotali”. Senza Cristo non si va da nessuna parte, perché chi non partecipa alla sua risurrezione resta morto nei peccati; la vita resta muta, senza parole che si facciano carne nell’amore come il Verbo incarnato. Senza un cammino di fede non può nascere in noi Cristo; Lui non è figlio dell’emozione, dello share e dei “mi piace”, ma della conversione e della Grazia. Accettiamo allora di non avere parole, sediamoci solitari e silenziosi in attesa della misericordia di Dio. Passiamo questi giorni che ci separano dal Natale nell’attesa di poter accoglie Dio che si fa carne per risuscitare la carne.
Che il nostro silenzio sia oggi la preghiera nuda e pura che sorge da un cuore contrito e umiliato, l’offerta della nostra esistenza al Dio della Vita che scioglie il cuore e le labbra nella benedizione, che è, come dicevano i rabbini, il luogo della presenza di Dio tra gli uomini.
Commento a cura di don Antonello Iapicca
Qui l’intervista Rai a don Antonello
Busshozan shi ko 31-1
Takamatsu, Kagawa 761-8078
Japan