don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 17 Luglio 2022

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AMATI NELLE NOSTRE DEBOLEZZE COME MARTA PER AMARE CRISTO COME MARIA

Marta pensa di ospitare e servire Gesù, Maria riconosce di essere sua ospite, perché Lui è venuto proprio per servirla. Occupata e agitata dalle sue molte cose, Marta non riconosce il Messia Salvatore in Gesù che la visita, Maria scopre di essere stata scelta da Lui per salvarla, accoglierla nella sua intimità e donarsi a lei. Marta ha scelto se stessa, Maria sceglie lo Sposo che l’ha scelta senza condizioni come sua Sposa. Marta pensa che Gesù abbia bisogno di lei. Maria sa di avere bisogno di Lui. Marta si illude di essere necessaria a Gesù, Maria sa che solo Gesù le è necessario. Marta si crede maestra e suggerisce a Cristo cosa dire, Maria è discepola in ascolto. Marta esige, Maria gode la gratuità. Marta difende la parte che pensa sia buona e bella di sé, Maria si vede parte di Cristo e a Lui si dona senza riserve. Marta è schiava e mormora perché oppressa da progetti, criteri e ideali, Maria è libera e riposa in Cristo che è, già qui, la parte buona e bella di cui e per cui vivere, l’eredità celeste che non si corrompe, la vita che non muore, l’unico amore che rende buona e bella la sua vita, come un anticipo di Paradiso. Marta fa, Maria è. Nella Chiesa, dove Gesù ci serve offrendosi gratuitamente nell’amore che ci parla, perdona, sazia e ricrea, impariamo a lasciarci amare, a passare dall’attitudine di Marta a quella di Maria, del discepolo che ascolta, obbedisce e segue Cristo verso la parte che non ci sarà tolta.

Una bella faccia tosta Marta. Si “fa avanti”, e già si muove male… Tutto in lei è un “farsi avanti”, mentre tutto in Maria è un farsi indietro, tanto indietro da “sedersi ai piedi di Gesù”. E’ il contrasto tra l’atteggiamento di chi si fa discepolo e quello di chi si fa maestro. Maria è discepola, Marta si crede maestra. E le accade come a Pietro, che va avanti a Gesù e gli si mette di traverso per farlo inciampare sul cammino verso la Croce.

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Anche Marta, “presa dai molti servizi”, è schiava del pensiero mondano, sempre ispirato dal tentatore, “shatan”. Entrambi non accettano la propria storia, e cercano di tirare Gesù dalla propria parte, a seguire il proprio “pensiero” e dargli compimento. Ma Gesù non è il giudice che esigeva Marta, non è stato “accolto” nella sua casa per farle giustizia, per soddisfare la sua “cupidigia”. Lui è lì per molto di più che aggiustare la sua vita. Luca descrive Marta come “una donna che aveva una sorella”, nel senso che la sua vita dipendeva da quella relazione; ciò che la definiva era Maria, e, proprio per questo, dev’essere stata molto difficile la loro relazione.

Sembra una scaramuccia come le tante che si incendiano anche nelle nostre case. Eppure nasconde un Vangelo, una Buona Notizia così importante da indurre Luca a scrivere l’episodio e a tramandarlo a ogni cristiano. Quanti di noi soffrono perché “hanno una sorella”, o un fratello, o un padre, una madre, una moglie, un figlio che, come Maria per Marta, con la loro attitudine contestano la nostra? Tutti, nessuno escluso; anche il parroco soffre perché “ha un vice-parroco”, una suora perché “ha una consorella”… Le relazioni sotto lo stesso tetto sono così importanti da assorbire il nostro cuore.

Marta e Maria sono il paradigma di ogni famiglia, e da qui ha inizio tutto. Non a caso Gesù dice che “chi non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli, non può essere mio discepolo” come Maria. Marta era “presa” da qualcosa che l’aveva resa insofferente, ansiosa, alienata; e quindi gravida di giudizi, al punto di rivolgersi al Signore con la presunzione e l’orgoglio di essere nel giusto, ed esigere da Lui la giustizia che sembrava esserle dovuta.

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Un laccio affettivo l’aveva “presa” e la teneva schiava, come noi. “Presa”, infatti, traduce il greco perispao, che significa letteralmente “essere ansioso”, “vivere in una grande tensione”, ma anche “essere distratto”. La “diaconia” si era trasformata in un idolo nel quale cercava vita e gratificazione, il “servizio” l’aveva afferrata fin entro il suo intimo, inquinando i suoi “pensieri”. Era ormai “distratta” dall’Ospite per il quale era indaffarata, allontanata dallo stesso motivo per cui era indaffarata.

Il cuore del Vangelo di questa Domenica è nascosto qui: Marta aveva invitato Gesù, accidenti, e ora quell’invito le era diventato pesante. Che cosa era successo? Era successo che la presenza di Gesù, il suo essere l’unico di cui davvero c’è bisogno, la parte buona e migliore della vita, aveva scatenato in lei i demoni che l’avevano “presa” al laccio della menzogna originale. Maria, la sua sorella, la carne della sua carne, era in quel momento divenuta lo specchio della parte migliore di lei stessa; in essa le era annunciata la chiamata e l’elezione che significava la visita di Gesù. Senza dire una parola, “seduta ai piedi di Gesù”, Maria stava smascherando il suo uomo vecchio, che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Maria era la discepola che anche Marta era chiamata a diventare.

Ma, di fronte a questo, “presa” dall’inganno del demonio, ella resisteva: l’uomo vecchio non accettava di essere rinnegato… E per questo giudicava Maria, perché, in fondo, come sempre accade quando giudichiamo un fratello, Marta stava giudicando e disprezzando se stessa; voleva giustizia da Gesù per giustificare la sua superficialità e durezza di cuore, e non soffrire il cammino della conversione.

Attenzione però, perché un testo rabbinico del tempo affermava: “Questi sono i lavori che deve fare una donna per il marito: cucire, lavare, cucinare, allattare i bambini, pulire la casa e lavorare la lana…”. E Marta rappresenta proprio il ritratto della donna perfetta… Ora però non aveva più davanti lo sposo della carne, si profilava nella sua vita una nuova relazione, al di là della carne. Era davanti a Lei lo Sposo della sua anima, Colui che era venuto sino a casa sua per donarle l’autentica perfezione. Essa, infatti, non mira a un compimento esteriore della Legge, ma all’amore. E l’amore rivelato in Cristo non sa giudicare…

Marta, invece, era ancora nella dimensione limitata della carne, e giunge in quel momento a giudicare addirittura Gesù; erano gli attacchi violenti del demonio che la inducevano a pensare male di Lui: “non ti curi” di me? Hai solo occhi per mia sorella? Non vedi che sto qui penando per accoglierti degnamente, come una perfetta donna della Scrittura, mentre mia sorella se ne sta “seduta” a non far niente? A che cosa le era servito il suo “servizio”? A nulla, anzi a qualcosa sì, a peccare. C’è in questo breve passaggio tutta la tensione e il dramma del parto battesimale: in Marta appare l’uomo della carne visitato da Cristo che lo chiama ad uscire da se stesso, a “sedersi” ai suoi piedi, ad accoglierlo come l’unico Sposo (i piedi, nella Scrittura, fanno anche riferimento agli organi sessuali, non vi scandalizzate).

Marta è ancora “presa” dal pensiero del mondo, ma Gesù che ha attirato a sé sua sorella Maria, è come una bomba gettata in quel groviglio di passioni, gelosie, invidie e rancori che albergano nel suo cuore. Dal momento che vi è entrato il Signore, la sua casa – quelle mura nelle quali la carne l’ha fatta da padrona – è destinata a divenire una Chiesa, un’assemblea convocata dalla Parola di Dio, la comunità che ha sperimentato la risurrezione di Gesù, la celebra e la vive nell’amore e nell’unità.

Ma Marta l’aveva accolto, e questo era l’importante. Su quel moto sincero e retto del suo cuore Gesù stava cominciando in lei l’opera che l’avrebbe trasformata in una discepola. Basta accogliere, non importa come, poi Gesù fa il resto… Anzi, è fondamentale quel passaggio dove si prende coscienza della propria realtà di peccatori. Il Signore, infatti, non sarebbe potuto scendere a Betania per risuscitare Lazzaro, se prima non vi ci si fosse recato come ospite per smascherare il cuore di Marta e chiamarla a conversione.

Per questo anche Marta è stata canonizzata: è stata visitata e amata così com’era, centrata su stessa, orgogliosa e superba. La sua santità che ha brillato nella stupenda professione di fede in Gesù e nella sua resurrezione fatta mentre il suo fratello Lazzaro era ancora morto, inizia qui, dallo svelamento della propria povera realtà (Betania significa “casa del povero”), e dalle parole profetiche di Gesù. Anche per Marta sarebbe arrivato il momento di rinnegare se stessa e di seguire il Signore, esattamente come accadde a Pietro. Anche Marta avrebbe smesso di “farsi avanti” per sedersi ad ascoltare la Parola di Gesù, ma doveva scendere i gradini dell’umiltà, e sperimentare che solo l’amore di Cristo sarebbe potuto scendere e amare la sua piccolezza.

Così, anche a noi, che viviamo i nostri rapporti esattamente come Marta, è rivolto lo stesso annuncio: Maria, la Chiesa, la tua comunità concreta, ha scelto la “parte buona”, non solo la migliore tra altre buone. Cammina con Maria allora, “cammina sedendoti” come un discepolo ad ascoltare l’unica Parola buona per la tua vita. Ascolta la predicazione della Chiesa, abbraccia la Parola come una sposa, stringiti a Cristo in ogni istante della tua vita, lascia che faccia di te carne della sua carne. Ascolta e vedrai crescere in te la fede sino a divenire adulta, e in essa saprai obbedire alla volontà di Dio, amando oltre te stesso. Coraggio Marta, coraggio a te e a me che, come lei, ci “preoccupiamo” delle cose del mondo e “ci agitiamo” per quello che ci sarà tolto! E’ preparata per noi la novità di vita che ha reso libera Maria.

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