don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 15 Giugno 2022

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NELL’INTIMITA’ DELLA COMUNITA’ CRISTO ASCOLTA E SAZIA IL CUORE DI NARCISO TRASFORMANDOLO IN QUELLO DI FIGLIO

Vuoi essere felice nel tuo matrimonio? Cura innanzitutto la relazione con Cristo. Vuoi educare i tuoi figli? Appartati spesso nella cella del tuo cuore con Lui. Vuoi avere pace nel lavoro, a scuola, con gli amici? Non dimenticare il segreto del tuo cuore e cerca di restarci con il tuo Sposo. Così, in tutto e con tutti, compiremo nella Chiesa la sua missione di Madre che, unita al Padre nel segreto fatto di preghiera, elemosina e digiuno, accoglie gli orfani e li rigenera come figli.

Il Signore ci chiama a chiudere la porta e cercare nostro Padre perché la sua Parola oggi ci svela che stiamo vivendo come orfani. Abbiamo smarrito la nostra identità di figli e per questo i nostri peccati sono quelli che caratterizzano gli orfani; la concupiscenza che ci spinge fuori dalla tenda, come Esaù, cacciando amore e sostentamento laddove non ve ne sono, rischiando così, seriamente, la primogenitura e la felicità autentiche. Troppo spesso viviamo proiettati al di fuori di noi stessi nella continua esibizione dei nostri sentimenti, delle parole, anche delle briciole di bene che non ci appartengono perché opera della Grazia, usando tutto come frecce con le quali infilzare le nostre prede: l’amico, la fidanzata, il marito, la moglie, il capoufficio, chiunque sia.

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E’ il trionfo del narcisismo, pericolosissimo. Un narcisista, come descritto oggi da Gesù, ha una fame insaziabile di essere considerato, è sempre concentrato su se stesso e non riesce a guardare ai bisogni dell’altro; è nevrotico con i propri difetti, fisici, caratteriali, spirituali; da un lato non si accetta, dall’altro vive nei sogni di grandezza, tende ad esagerare i propri risultati; è invidioso e si aspetta sempre che gli altri lo considerino; ha un senso molto forte dei propri diritti, perché, in fondo, si sente speciale. Per questo ha difficoltà enormi nelle relazioni, che cerca sempre di piegare ai propri interessi. Svelarsi tra menzogne e ipocrisie, le foto ritoccate postate su Facebook e Twitter, sempre connessi e in vetrina, sperando un “mi piace” che colmi il vuoto inaccettabile.

Quante ragazze, per non dire delle donne adulte, non sanno resistere ad esporsi nella propria bacheca. E’ un modo perverso e subdolo di “sfigurarsi la faccia”, proprio mentre si mostra il nuovo taglio di capelli, o uno sguardo leggermente ammiccante, o qualcosa di peggio. Comunque sia, il solo esibirsi è sintomo di un malessere profondo, un autentico “sfigurarsi il volto” che riflette l’intimo dove dovremmo custodire con pudore e rispetto la santità della nostra anima. Nel vangelo di oggi l’originale greco ha un gioco di parole che dovremmo tradurre così: “sfigurano la faccia per figurare davanti agli uomini”: pensaci, quanto tempo passi a “sfigurarti la faccia” per presentarti “malinconico” dinanzi all’altro per fargli pesare che hai “digiunato” sacrificando il tuo tempo, i tuoi programmi, una pizza con gli amici, la partita di calcetto, per farlo contenti? Non hai poi sperimentato di “aver ricevuto già la tua ricompensa”, un timido grazie, mentre della considerazione autentica che speravi neanche l’ombra? Quante volte hai “suonato la tromba davanti a te” perché gli altri si accorgessero delle tue “elemosine”?

Regali per fare colpo e sorprese strabilianti per farsi notare e amare; lavoro e studio ostentati come l’impegno in parrocchia urlato con il megafono, perché quegli sfaticati degli altri parrocchiani sentano bene e imparino come si fa; la coerenza con gli impegni presi e i servizi nella comunità, ricordati a ogni occasione per umiliare i fratelli, e le offerte con cui essere ricordati da una targa bene in vista. Come accadeva nelle assemblee delle sinagoghe, dove si raccoglievano le offerte per i poveri e chi offriva molto era invitato a sedersi in un posto d’onore, vicino ai rabbini. Ma sempre “elemosine” erano, nel senso dispregiativo che spesso si dà alla parola, intendendo il superfluo che non serve, dato per farsi belli; mai che ti sia messo davvero in gioco offrendo te stesso nel “segreto”. Non avresti avuto la “ricompensa” che esigeva la tua carne, l’ammirazione e la stima pronte poi ad evaporare in un baleno.

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Quante “preghiere” issate su schiene diritte e imbarcate su voci impostate e possenti, incipriate di parole ricercate, sperando da esse il compimento della propria volontà, da Dio prima e dai fratelli poi. Speriamo di essere canonizzati a suon di parole, “cembali che tintinnano” come le “opere”, i “digiuni” e le “elemosine” con cui cerchiamo i favori affettivi, il prestigio e la stima. Non siamo tutti così, come Narciso che stava specchiandosi quando è caduto in acqua affogando?

Ma Gesù è innamorato dei narcisisti, perché vede oltre ciò che vorrebbero figurare l’estrema loro indigenza. Per scendere sin dentro la loro realtà ha digiunato nel “segreto” del deserto per prepararsi alla missione che il Padre gli affidava e combattere contro le insidie e le tentazioni del demonio. Si è offerto nel silenzio solitario del Getsemani, facendo “elemosina” di tutto se stesso, avendo cioè “pietà e misericordia” secondo il senso dell’originale greco del termine, nella pura gratuità che dimentica nel momento stesso in cui si offre, proprio come se la “mano destra non sapesse che cosa fa la sinistra”.

Per questo oggi Gesù ci richiama a un “segreto”, a ritornare alla stanza più intima, “tameion” nell’originale greco, che può significare un magazzino o una dispensa, oppure la stanza più interna, quella meno adatta ad attirare l’attenzione degli ospiti, probabilmente perché senza finestre. Chiudere la porta, e scendere laddove non vi sono finestre, e non si può scappare… Immagine di un’attitudine finalmente sincera, di colui che è rientrato in se stesso, con gli occhi e la bocca chiusi di fronte alle tentazioni della concupiscenza, in un’intimità di figli che tutto attendono da loro Padre.

E’ il pudore a cui siamo chiamati, il segreto intimo di una relazione che ci mostra solo al nostro Sposo nel quale siamo stati risuscitati alla vita nuova dei figli di Dio. Per questo, si digiuna come se in ogni circostanza stessimo celebrando le nozze con lo Sposo: “ci si profuma il capo e lava il viso”, testimoniando al mondo la gioia di essere uniti a Cristo, ma nascondendo nel “segreto” del talamo del cuore il dono totale e il rinnegare se stessi, “perché gli uomini non vedano” e si “riceva così dal Padre la ricompensa” preparata per i suoi figli. E’ dunque un digiuno che ci fa salire sulla Croce con Cristo, inchiodando la carne nella sua totalità all’amore autentico che resterà un “segreto” tra te e il Padre. Allora, nell’estrema impotenza che suppone la Croce, la nostra di ogni giorno, appariranno inconfondibili le “opere” fatte in Dio delle quali non ci si rende conto, perché vengono dallo Spirito Santo che abita in chi le compie.

Per questo si può essere autentici solo nella Chiesa, dove l’indigenza è la carta d’identità dei battezzati. In un ospedale c’è poco da nascondere! E chi lo fa spreca il suo tempo, impedendo al medico di curarlo. Così è nella Chiesa, dove siamo iniziati alla fede attraverso la cura del nostro cuore malato perché orfano: “Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana: generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani” (Papa Francesco). Con amore essa ci annuncia oggi l’attitudine del figlio che ha un “Padre nei Cieli”, e per questo è figlio di Dio: le “preghiere” con i “digiuni” e le “elemosine” sono i segni con cui esprimiamo a Dio e ai fratelli la nostra povertà e la nostra debolezza, per implorare la fede che compia in noi le “opere” di vita eterna per le quali siamo stati chiamati ad essere cristiani: “ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia” (San Pier Crisologo). Smettiamo di far sapere a tutti quello che facciamo o sogniamo di fare.

Tagliamo con l’apparenza e dedichiamoci alla Verità: “Mi viene in mente una bellissima parola della prima lettera di san Pietro che in latino suona così: ‘Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis’. L’obbedienza alla verità dovrebbe ‘castificare’ la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell’anima.

La ‘castità’ a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non è cercare gli applausi, ma cercare l’obbedienza alla verità” (Benedetto XVI). E’ nel “segreto” casto dell’intimità con Cristo, infatti, che si nutrono le relazioni adulte e compiute nella Verità che è Cristo: “si tratta della cella che c’è dentro di te dove sono rinchiusi i tuoi pensieri e dove risiedono i tuoi sentimenti. Questa camera di preghiera ti accompagna ovunque, è occulta dovunque vai, e in essa il solo giudice è Dio” (S. Ambrogio). Vuoi essere felice nel tuo matrimonio? Cura innanzitutto la relazione con Cristo! Vuoi educare i tuoi figli? Appartati spesso nella cella del tuo cuore con il Signore!

Vuoi avere pace nel lavoro, a scuola, con gli amici? Non dimenticare il “segreto” del tuo cuore e cerca di restarci con il tuo Sposo. Vuoi un fidanzamento casto? Donati a Cristo! Così compiremo insieme alla Chiesa la sua missione di Madre che, unita al Padre “nel segreto” di un amore incorruttibile fatto di “preghiera, elemosina e digiuno”, accoglie gli orfani e li rigenera come figli.