don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 14 Aprile 2021

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IL DONO DI DIO CHE CI CONSEGNA AL MONDO


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

In mezzo a tante chiacchiere sulla moralità e la giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: le nostre opere “in chi” sono fatte? Scrive San Giacomo che la fede senza le opere è morta. Per dire che se non si esplicita in un agire concreto è una fede senza vita, ferma a uno stadio intellettuale o pseudo-mistico, ma priva del soffio dello Spirito. Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono: l’opera per eccellenza, infatti, è credere. E’ l’opera “fatta in Dio”, che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è appoggiarsi, credere è rimanere nel Signore. Tutto, infatti, nel Vangelo di Giovanni conduce a una relazione di intimità con Gesù. Credere in Cristo coincide con l’essere in Lui. Nulla di gnostico, intellettuale o ideale. Giovanni è concretissimo, nelle note storiche di cui si serve per il suo vangelo, come nel mostrare la relazione di Gesù con i suoi discepoli. Il discepolo amato appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi.

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Ma ciò significa vedere e rimanere in Lui anche dove non lo si vede nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neppure un briciolo di sentimento può consolare. Credere con una fede adulta significa camminare nell’intimità che supera ogni barriera anche quando ragione e sentire non rispondono all’appello; come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo, anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio. Questo amore è, per Giovanni, la fede. Esso sgorga dal cuore di Dio rivelato nel dono del suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. Guardare Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato, di lasciarsi stritolare dalle conseguenze dei miei delitti; guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede. Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. 

“Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. “Dare”, cioè “consegnare” Gesù attraverso la Chiesa, nei sacramenti, nella Parola e nella comunione dei fratelli. Nella comunità possiamo sperimentare che Dio non ha mai “giudicato” il mondo. Non è facile, per chi, come noi, giudica a ripetizione. Ma piuttosto che giudicarci, Dio ha consegnato suo Figlio al giudizio che toccava a noi. Leggete così la Passione e comprenderete: “ha bestemmiato, si è fatto Dio!”. E’ vero, abbiamo bestemmiato mille volte, anche ieri ci siamo fatti dio per esigere da moglie e figli. E quante volte abbiamo millantato una falsa regalità, segno dell’ipocrisia con cui ci presentiamo ovunque. Vedete come il giudizio che ci avrebbe condannato ha invece ucciso Cristo. E lo possiamo sperimentare nella comunità cristiana, composta da fratelli concreti: è il Corpo di Cristo sul quale si infrange il giudizio che sorge naturale nel mondo. Ciascun cristiano, unito al Signore nell’intimità sacramentale, animato dalla fede che cresce in lui grazie all’ascolto della predicazione, è “dato”, consegnato al fratello come un segno concreto e visibile dell’amore di Dio. Nella Chiesa non può esservi alcun giudizio, perché tutti vivono istante dopo istante del perdono che li rigenera, unendoli sempre più strettamente a Cristo.

E chi è unito a Lui ha la Vita eterna, che trasforma la vita terrena in un anticipo del Cielo. Chi, nonostante sia stato accolto nella comunità, di fronte ai segni dell’amore di Dio offerti in essa “non crede” e si ostina a chiudersi nel proprio orgoglio, “è già stato condannato”. Resta solo, schiavo dei giudizi che uccidono l’altro e se stesso. La “condanna” infatti è vivere senza sperimentare l’amore di Dio. Ci accade spesso, vero? E pensiamo male di Dio, che sa Lui a castigarci e a non ascoltare le nostre suppliche. Non è vero! Chi si chiude è “già” condannato, ovvero si è condannato da se stesso, preferendo la propria giustizia a quella di Dio. Chi non crede accogliendo il perdono è già condannato a soddisfare parossisticamente esigenze vecchie e nuove, perché il male affama e non sazia mai. Chi rifiuta Cristo è “già” nell’inferno e “rimane nelle tenebre” che lo allontanano da Dio e dal fratello. Perché tuo figlio ti nasconde le cose che fa? Perché anche tu hai problemi nell’aprirti con il tuo coniuge? Attento, perché “chi fa il male odia la luce”. E la odia perché la luce contesta il proprio ego, lo mette in discussione, smascherando il male che vi si nasconde. E’ normale, le opere malvagie sono sempre inquinate dalla paura, dalla dissimulazione; sono nascoste in una doppia vita lacerante, che ci condanna “già” all’inferno della solitudine. 

Che fare se accade questo? Lasciarsi illuminare, che è uno dei modi in cui la Chiesa primitiva parlava del Battesimo. I neofiti erano gli “illuminati”. Ecco, quando cominciamo a nasconderci, a dissimulare, è il momento di tornare alle acque delle misericordia, ai sacramenti che rinnovano in noi la Grazia del Battesimo. non servono molte parole, neanche con i figli. Occorre tornare all’amore che con la sua luce di verità polverizza la menzogna, e “credere”, aprire il cuore a Cristo e appoggiarci alla comunità cristiana che è il suo Corpo vivo. Credere infatti, è abbandonare ogni pretesa di autosufficenza e autogiustificazione e lasciarmi giudicare dal “giudizio” di Dio, la “luce” che “viene nel mondo” per diffondere la sua misericordia nelle tenebre di menzogna che lo avvolgono. Credere è possibile solo dove l’amore consente alle persone di uscire allo scoperto senza timore, a “svelare le sue opere”, proprio quelle “malvagie”; credere è possibile nella Chiesa che è il corpo di Cristo dove possiamo “venire alla luce” anche se le nostre azioni sono corrotte e incarcerate in una tomba, perché in essa si posa lo sguardo di Gesù che ci vede addormentati, mai morti. Nella comunità cristiana possiamo imparare a “preferire” la luce alle tenebre, consegnando le opere malvagie alla misericordia di Dio. Possiamo “venire fuori” come Lazzaro dal sepolcro, chiamati da Gesù che è venuto per amarci e non per condannarci. Così, in chi crede tutto viene alla luce, perché tutto risplende dall’interno come nelle icone orientali, di una luce nuova e celeste, quella della vita divina che ha preso possesso di lui. In una famiglia che sta imparando a credere nella Chiesa nulla resta nascosto, vi è limpidezza e libertà nei rapporti, fiducia nell’opera di Dio in ciascuno.

Così tutti possono “venire alla luce” per quello che sono, senza dover sempre scappare nella notte, per paura delle proprie opere. Quando un padre intinge il suo sguardo in quello di Cristo, guarda oltre l’apparenza il proprio figlio, non lo giudica, ma vede in lui il Signore già all’opera per liberarlo dal peccato. “Venire alla luce” e operare la “verità” è il primo passo nella conversione: anche se ci sono crisi e scontri, liti e problemi, tutto viene estratto dal buio della menzogna per risplendere alla luce della Verità. Ciò significa che, anche se la carne continua a offrire i suoi parametri per guardare e giudicare l’altro, la luce della fede smaschera uno ad uno i loro limiti, ricollocando ciascuno nella Verità dell’amore. Gli errori e i peccati ci fanno male, ma non hanno più il potere di cancellare la speranza, perché la fede tiene sempre aperto lo spiraglio a una nuova possibilità, all’opera della Grazia che riconduce, piano piano, al compimento della volontà di Dio. Anzi, anche gli errori e le cadute, offerte alla misericordia di Dio, sono “opere già fatte in Dio”, “felici colpe” che hanno meritato un così grande Salvatore. Non è follia, è la Verità di un amore folle: anche i peccati, perdonati, venendo alla luce rivelano l’opera di Dio. Nel suo peccato Pietro ha conosciuto l’amore infinito di Cristo, che proprio lì ha iniziato la sua opera in lui. Perché qualsiasi opera per essere fatta davvero in Dio ha bisogno dell’umiltà… Se abbiamo fede guardiamo agli altri cercando l’opera di Dio e non l’opera, fragile e corruttibile, dell’uomo. Questa è l’opera “fatta in Dio”, che viene alla luce, e brilla più forte di ogni peccato. Non c’è più giudizio e condanna, ma solo amore gratuito, nei riguardi di ogni parola e gesto di chi ci è accanto! Anche quando ci facciamo del male, sì, anche allora, è celato il Figlio, è vivo Cristo che il Padre ci dona per essere accolto nella fede e sperimentare, in ogni evento, la Vita eterna, l’amore oltre la morte e il peccato. Che famiglie, che matrimoni, che fidanzamenti, che amicizie quando si cammina insieme nella Chiesa che ci gesta alla fede! Essa, infatti, trasfigura l’esistenza, e la rende un luogo dove oltrepassare la barriera del peccato; ovunque e con chiunque, come il “vento” che abbraccia tutto senza condizioni.