SOLO “UN POCO” PER PASSARE DALLA MORTE ALLA VITA
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE
Come noi, gli apostoli “non comprendevano” le parole di Gesù. Il verbo greco “oida” tradotto con “comprendere”, in virtù della sua radice e del suo uso semantico è legato al verbo “vedere”: “so, perché ho visto. Un sapere in base a una propria visione” (Bruno Snell). “Oida” designa “la conoscenza come una meta raggiunta, come un assoluto” (I. De La Potterie); esprime un’evidenza della conoscenza, quella ad esempio acquisita dal cieco nato nell’incontro salvifico con il Signore: “Se sia un peccatore o no, non lo so; questo io so bene: ero cieco e ora ci vedo” (Gv. 9,25, e ciò significa che “questa è una cosa che so benissimo”.
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Al contrario, “non sapere” è non avere una conoscenza certa, assoluta e profonda. Così è per i discepoli dinanzi all’annuncio di Gesù: “non sappiamo” cosa dice; si trovano in un’ignoranza radicale perché non hanno l’esperienza di quello che Gesù sta dicendo. Sono radicalmente impotenti, manca loro la chiave per conoscere con assoluta certezza, e quindi per vivere quello che gli viene annunciato. Risuonano in questo le crude parole di Giobbe: “L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma”.
Anche noi “non sappiamo”, siamo radicalmente ignoranti su dove andrà a finire il fidanzamento, su che ne sarà di nostro figlio, se completeremo gli studi e troveremo lavoro, se ci licenzieranno, se saremo fedeli al marito, se e quando la salute ci abbandonerà, se guariremo da questa malattia, se ce la faremo ad arrivare alla fine del mese, se qualcuno ascolterà l’annuncio del Vangelo. Ma proprio le parole di Gesù sono la password che ci abilita ad entrare nel fantastico programma che è la nostra vita. Ogni suo frammento, infatti, è parte della vita di Cristo, così che, annunciando il suo destino, ci svela il nostro: “ancora un poco e quanto avete potuto vedere attentamente di me, la mia carne, sarà sottratta al vostro sguardo. Ma ancora un po’ di tempo e potrete vedermi di nuovo, in pienezza, riconoscendo in me la vittoria sulla morte che vi ho annunciato: allora saprete, saprete perché avrete visto”.
Ma per passare a questa visione è necessario il “poco” di tempo di cui parla Gesù. La conoscenza, infatti, si radica nel tempo, in esso cresce, si trasforma in un sapere certo e assoluto, nella fede capace di smuovere le montagne. “Un poco” traduce “mikron”, da cui la stessa unità di misura, da cui microscopio. Un “tempo mickron”, cioè breve, nel quale però si accende il mistero pasquale del Signore. In una frazione di tempo si squarcia il velo del tempio, e la carne di Gesù varca la soglia del tempo cronologico per entrare nel tempo di Dio: “In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno; così Cristo diviene il Signore del tempo, è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno e ogni momento vengono abbracciati nella sua incarnazione e risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella “pienezza del tempo” (Giovanni Paolo II).
Per questo il tempo della Passione e il tempo della tomba, i due “un poco” del Vangelo di oggi, sono micro-tempi, assorbiti e come innestati nella pienezza del tempo, nel tempo eterno di Dio. Questo significa che nulla è assoluto, ineluttabile, perché il tempo è il luogo dove Dio ci dà appuntamento perché, camminando in esso, passiamo da una visione carnale alla visione piena dell’amore di Dio nella debolezza della carne. Per questo, alla nostra domanda identica a quella dei discepoli Gesù risponde con l’annuncio della sua Pasqua che si compirà in loro. Coraggio fratelli, anche la litigata con tuo marito, anche la crisi di tuo figlio, tutto quello che stiamo vivendo, perfino il cancro, è solo “un poco”, perché tutta la vita è racchiusa in questo “mikron” tra lacrime e gioia piena.
Il mistero pasquale del Signore è il paradigma di ogni esistenza: in ogni tempo vi è “un poco” per non vedere e “un poco” per vedere, un tempo per la Croce e il sepolcro, e un tempo per la risurrezione. Ciò significa non lasciarsi afferrare da nessuno per donarsi a tutti. La cifra autentica del tempo, infatti, è la libertà, che conferisce contenuto e sostanza a ogni istante. La libertà apparsa e compiuta nel Signore. Essa ci è donata attraverso la Chiesa, nella quale impariamo che la vita è, per grazia di Dio, un passaggio dalle lacrime e la gioia. In ebraico il termine “lacrima”, “demah”, esprime anche il sangue dell’occhio, mentre un altro significato della parola occhio è “sorgente”. Così, una lacrima, il sangue dell’occhio, è una sorgente di vita, perché, nella Scrittura, il sangue è la vita.
Allora coraggio, non temere: quando appare la Croce e i cristiani sono chiamati ad offrirvi la vita “il mondo si rallegra”, perché crede di aver avuto ragione di loro. Ride di fronte a un martire della castità, dell’apertura alla vita, dell’amore al nemico. Ma non sanno che proprio le “lacrime” che scorreranno sul nostro viso anche oggi sono il grembo fecondo della “gioia” che in noi testimonierà la vittoria di Cristo al mondo.