don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 12 novembre 2018

L’UMILE CONSAPEVOLEZZA DELLA NOSTRA PICCOLEZZA CONSENTE A CRISTO DI OPERARE IN NOI IL MIRACOLO DELLA FEDE CHE VINCE E SALVA IL MONDO

Vivere senza fede credendo e facendo credere di averne: è questo lo scandalo più grande, quello che chiude il cielo a chi ci sta intorno, che scandalizza i piccoli, i fratelli della comunità, chi si avvicina appena al Signore. Un cristiano senza fede è come il sale che perde il sapore: non serve, anzi è occasione di inciampo, è meglio per lui sparire, essere calpestato come polvere sotto i sandali. Si tratta di una Parola molto dura, con la quale dobbiamo confrontarci. “Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta” (Benedetto XVI). Il cristianesimo non è roba da tavole rotonde, da talk show, da comitati organizzativi; la Chiesa non è un’istituzione umana. 
 
Quando vi si trasforma diviene scandalo, un ostacolo su cui inciampano i suoi figli, ingannati e sedotti da una menzogna ipocrita: “E’ diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l’idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell’attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all’interno della Chiesa. In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un’attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l’osservatore e il mondo, ha perso il suo senso” (J. Ratzinger, Relazione tenuta al Meeting di Rimini 1987). La Chiesa narcisa che si rimira e così si illude di adempiere alla sua missione diviene scandalo, uno schermo che impedisce di vedere Dio. Grave, gravissimo, tanto che pur di non cadere in questo scandalo è meglio mettersi una pietra al collo e gettarsi in mare!

E’ anche nel quadro del “guai” del Vangelo di oggi che vanno compresi i “guai” che Gesù indirizza ai farisei e ai dottori della Legge. Guai a chi scandalizza i piccoli, i discepoli, coloro che Lui ha chiamato. Guai a chi, chiuso nella propria ipocrisia, afferma e agisce in modo che la Chiesa perda il suo “sapore” profetico per immergersi nel fetore mondano. Guai a quanti pervertono la Chiesa, guai agli “attivisti” ipocriti che tendono trappole e lacci alla fede, nelle forme che qualche anno fa l’allora Card. Ratzinger stigmatizzava così: secondo questi, “la Chiesa non deve più venir calata già dall’alto. No! Siamo noi che “facciamo” la Chiesa, e la facciamo sempre nuova. Così essa diverrà finalmente la “nostra” Chiesa, e noi i suoi attivi soggetti responsabili. L’aspetto passivo cede a quello attivo. La Chiesa sorge attraverso discussioni, accordi e decisioni…  L’attivista, colui che vuol costruire tutto da sé… restringe l’ambito della propria ragione e perde così di vista il Mistero… L’attivista, colui che vuol sempre fare, pone la sua propria attività al di sopra di tutto. Ciò  limita il suo orizzonte all’ambito del fattibile, di ciò che può diventare oggetto del suo fare. Propriamente parlando egli vede soltanto degli oggetti. Non è affatto in grado di percepire ciò che e più grande di lui, poiché ciò porrebbe un limite alla sua attività. L’uomo viene amputato. Quanto più nella Chiesa si estende l’ambito delle cose decise da sé e fatte da sé, tanto più angusta essa diventa per noi tutti” (J. Ratzinger, Relazione al Meeting di Rimini, 1987). Angusta e irta di ostacoli. 

Il cristianesimo invece è fede che opera per mezzo della carità: è, essenzialmente, perdono. Un gelso trapiantato e gettato nel mare significa qualcosa di impossibile, che supera le leggi della natura. Per questo, alla domanda dei discepoli di aumentare la loro fede, Gesù risponde indicando il seme più piccolo della terra: con esso ci vuol dire che la fede o la si ha o non la si ha, non si tratta di misurarne la quantità. E’ un dono celeste, una virtù teologale. Non si vede e non si pesa, se ne percepisce la presenza attraverso le opere che essa ispira. Laddove c’è la fede appaiono opere di vita eterna, che superano la giustizia dei farisei, che vanno al di là delle capacità umane, del fattibile stabilito nei comitati. La fede è l’atmosfera del Regno dei Cieli. Un cristiano è un po’ come un centometrista che va in altura per stabilire un record di velocità. La “velocità” della fede è il perdono, impossibile per chi “corre” al livello del mare, possibile per chi “corre” alle altezze del Cielo. Il cristiano infatti è nel mondo ma non è del mondo: è del Cielo, e vive come gli astronauti sulla luna o nelle navicelle spaziali, dove si muovono in assenza di gravità. 
 
Ecco, la fede ci catapulta nel Regno dei Cieli dove è assente la forza gravitazionale della concupiscenza che fa schiava la carne e che ci spinge giù, ci attacca alla terra e ci fa pensare ed operare secondo il mondo. La gravità ci impedisce di avvicinarci, liberi, ai fratelli e di perdonarli. La gravità ci scandalizza, ci fa inciampare; per questo, quanto più ricorriamo alla carne e alla sua fallace sapienza, tanto più cadremo, ci feriremo, precipiteremo nel mare. La gravità che si oppone allo Spirito è come la pietra di cui ci parla il Signore: ci trascina irrimediabilmente nel profondo delle acque della morte.  
La fede invece ci fa umili, autentici, abbandonati al soffio rigenerante dello Spirito Santo, leggeri come il vento. Come Abramo, docile alla chiamata di Dio, piombata nel mezzo del suo fallimento: ha creduto che Dio poteva compiere l’impossibile, come “trapiantare un gelso nel mare”, che per lui significava vedere suo figlio apparire nel grembo sterile di Sara. Ha balbettato è vero, ma è partito abbracciando la debolezza di Sara, e si è lasciato amare, correggere, sino ad vederlo nascere quel figlio e stringerlo a sé, sino ad offrirlo a Colui che glielo aveva donato. E in quella fede siamo nati noi, tutti “gelsi trapiantati nel mare”, opere uniche e celesti plasmate da Dio. 
 
La fede, infatti, ci rende figli del Regno, dove saltano le regole umane e sono superate le stesse leggi di natura. Per la fede, con una parola si può dire ad una albero di sradicarsi e “trapiantarsi” nel mare. E come può un albero essere piantato nel mare, mettere radici nell’acqua? Come può una moglie perdonare un marito che l’ha tradita? Come può accoglierlo settanta volte sette in casa dopo quattrocentonovanta tradimenti? Come può dimenticare sempre, scusare tutto, credere tutto, coprire tutto? Solo se ella stessa è stata trapiantata nel Regno, se, alla voce di Cristo che l’ha chiamata, ha obbedito per fede ed è stata trasferita nel Cielo. 
 
La vita alla quale siamo stati chiamati è proprio quella di un gelso che stende le sue radici nel mare, immagine della morte, per elevarsi sino al Cielo: dalle radici riceve la morte che, come pecore condotte al macello, la storia ci riserva ogni giorno; dal Cielo riceviamo la luce della fede, la vita divina che vince la morte. Per questo San Paolo esplode nella benedizione al Padre “che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col. 1, 2ss). 
 
Il perdono, infatti, opera quella ablatio di cui parla San Bonaventura citato dall’allora Card. Ratzinger: “Lo scultore non fa qualcosa. La sua opera è invece una ablatio: essa consiste nell’eliminare; nel toglier via ciò che è inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa”. Il perdono toglie via il peccato e ci così trasferisce nel Cielo, fa emergere l’immagine divina e perciò autentica dell’uomo. Dio si rivela come tale e diverso dall’uomo proprio nel perdono: Egli dimentica davvero, non restano in Lui le scorie del ricordo, ha il potere di cancellare dalla propria memoria i nostri peccati. In noi uomini purtroppo non è così. Per questo abbiamo bisogno di essere continuamente trasferiti in Cielo, trapiantati dalla terra nella quale si nutrono i ricordi, al mare, alle acque delle viscere della sua misericordia, dove essere gestati e rinnovati nell’amore. “Così la prima, fondamentale ablatio, che è necessaria per la Chiesa, e sempre nuovamente l’atto della fede stessa. Quell’atto di fede che lacera le barriere del finito e apre così lo spazio per giungere sino allo sconfinato, e uscire fuori dai limiti del nostro sapere e del nostro potere… Ciò significa che la Chiesa dev’essere il ponte della fede che infrange le mura del finito e libera lo sguardo verso le dimensioni dell’Eterno. La Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna.” (J. Ratzinger, ibid).

Gli scandali a cui purtroppo assistiamo, non diversi da quelli che hanno ferito la Chiesa durante la sua storia, sono gravissimi. E certo, guai a chi li ha provocati. Ma non esiste peccato che non possa essere perdonato! Lo scandalo più grande è un altro, è una Chiesa dove si sia smarrito il perdono. Una Chiesa senza Cristo… Una Chiesa dove lo scandalo non possa essere gettato nel mare, sepolto nel sacrificio di Cristo, trapiantato in esso perché possa essere trasformato nella vita nuova donata dalla sua resurrezione; una Chiesa senza la fede che operi nella carità, che schiuda le viscere della misericordia per ridare la vita ai morti. 
 
Infatti, “solo il perdono, il fatto del perdono, permette la franchezza di riconoscere il peccato” (Benedetto XVI) e ispira la decisione di convertirsi. “Non è certamente un caso che nelle tre tappe decisive del formarsi della Chiesa la remissione dei peccati giochi un ruolo essenziale. La Chiesa non è una comunità di coloro che «non hanno bisogno del medico», bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri” (Card. J. Ratzinger). Tutti noi abbiamo scandalizzato, tutti ci siamo scandalizzati di Cristo. Con Pietro e i discepoli siamo scappati e abbiamo trascinato tante persone nel nostro tradimento: coniugi, figli, amici. Tutti noi, con san Paolo, abbiamo perseguitato la Chiesa. Ma in essa possiamo oggi ripetere con lui la parola “sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1 Tim. 1, 15-16). 
 
Tutti noi, come Pietro, possiamo incontrare ogni giorno nella Chiesa, il volto misericordioso del Signore che ci viene a cercare sulla riva dei nostri fallimenti, e sperimentare il suo amore che ci spinge ad amarlo, nonostante tutto. Laddove questo è smarrito in favore di criteri mondani, ai piccoli non rimane altro che inciampare e scappare dal moralismo asfissiante che condanna il peccatore pretendendo di estirpare il peccato. Ed è l’esperienza delle nostre famiglie, chiese domestiche, dove così spesso regnano il moralismo freddo o il lassismo buonista, tentativi carnali di aggiustare le cose eludendo l’unica possibilità autentica, il perdono, la misericordia. In essa e solo in essa siamo rigenerati e allevati, le viscere materne dove possiamo accogliere il seme della fede. 

Nella Lettera inviata ai fedeli d’Irlanda in merito agli scandali della pedofilia nel clero, il Santo Padre scriveva che “Nell’affrontare la presente crisi, le misure per occuparsi in modo giusto dei singoli crimini sono essenziali, tuttavia da sole non sono sufficienti: vi è bisogno di una nuova visione per ispirare la generazione presente e quelle future a far tesoro del dono della nostra comune fede”. Alla radice degli scandali vi è sempre il non aver fatto tesoro del dono della fede. Esiste uno scandalo che dà ad ogni altro scandalo una tragica definitività, che si frappone come ostacolo al miracolo della rinascita, della conversione, alla missione stessa della Chiesa. Un prete pedofilo ferisce la Chiesa e rivela il baratro del male e dell’iniquità che tutti ci lambisce, giorno dopo giorno. Ma una donna che, in silenzio e nel segreto delle quattro mura domestiche, riaccoglie e perdona un marito adultero schiude il Cielo sulla terra, e la sua luce potente – la luce della Pasqua – è capace di trasfigurare e redimere anche il peccato più grande. 
 
Per perdonare occorre la fede che si incarna nella carità, primizia della vita celeste. Per ricevere il dono della fede occorre poter ascoltare l’annuncio del Vangelo e poter crescere in esso, perché la fede viene dalla stoltezza della predicazione. Lo scandalo più grande è dunque privare la Chiesa della sua missione specifica, imprescindibile, l’annuncio del Vangelo. E’ inevitabile che avvengano scandali, perché siamo liberi e possiamo sempre cedere agli inganni del demonio. Il Signore  conosceva chi aveva scelto, sapeva della debolezza dei membri della Chiesa. 
 
Quanti scandali durante la sua storia, eppure, anche tra quelli più dolorosi, non si è mai spento lo zelo per l’annuncio del Vangelo e la custodia fedele del deposito della fede. Chi crede di sfuggire agli scandali cambiando e adeguando le strutture è solo un superficiale e un mondano, che dal mondo e dai suoi criteri crede di poter attingere per riformare e rinnovare la Chiesa. Chi pensa così non conosce l’uomo e neanche il potere dell’elezione divina. La Chiesa ha sempre vissuto borderline, toccando le cose del mondo se ne è più volte contaminata. Ma i carismi, i santi, il fuoco dello Spirito non ha mai smesso di assisterla per farle compiere la sua missione essenziale di annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Per questo è da evitare e combattere innanzi tutto lo scandalo che spenga lo zelo alla Chiesa, che silenzi la proclamazione della Buona Notizia in favore di strategie mondane, invenzioni umane, succedanei sterili della predicazione. “Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa.. Quanta superbia, quanta autosufficienza!” (J. Ratzinger, Via Crucis, 2005).

Non esiste altro antidoto agli scandali che la stoltezza della predicazione, seguita da una seria iniziazione cristiana. Solo chi ascolta e si apre alla Parola creatrice può sfuggire, unito a Cristo, ai lacci del demonio: un ragazzo può rispettare la sua fidanzata; una moglie può aprirsi alla vita e non appropriarsi del suo corpo; un commerciante può trafficare senza eludere le tasse; un presbitero può custodire la castità e la parresia senza cedere ai compromessi; solo la Parola e i sacramenti possono donare la fede audace che permette di vivere tra le fiamme della fornace del mondo senza scottarsi, amando oltre il fuoco delle passioni, perdonare infinite volte, anche il nemico. Siamo chiamati dunque, come scrive il Santo Padre nell’indire l’Anno della Fede, a tenere sempre aperta “La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa… E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita… per tenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”: la gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel suo mistero” (Benedetto XVI, Motu Propio “Porta Fidei”).  

La vita infatti ci crocifigge ogni giorno con il Signore, per vivere in Lui e vivere la vita nella carne nella sua fede. La fede del Servo che prende ogni peccato su di sé. Lui guarda ogni uomo con fede, con amore, con misericordia. Lui offre la sua vita gratuitamente, nelle certezza che essa può cambiare il cuore dell’uomo più indurito. Il suo amore può cambiare il più grande peccatore. Lui perdona settanta-volte-sette, cioè sempre, perché sino all’ultimo istante per ogni uomo c’è speranza. Chi di noi ha fatto l’esperienza di questo amore, non può non amare, perdonare infinitamente. Chi è stato graziato settanta-volte-sette dal Signore, ha fede, guarda tutto e tutti con fede. Il suo unico giudizio è la misericordia. La propria presunta giustizia basata sulla carne e che fa gli altri a fettine è lo scandalo, l’inciampo più grande. Che Dio ce ne liberi e ci faccia conoscere sempre più profondamente il Suo amore, scandaloso per i giustizialisti e giustizieri d’ogni tempo, stoltezza per gli intelligenti d’ogni cultura; potenza e salvezza per i piccoli, i poveri, i peccatori. L’amore crocifisso, scandalo e stoltezza, unica salvezza. Di chi non ne ha proprio nessuna in questo mondo.

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Lc 17, 1-6
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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