GIUDICATI CON LA MISURA DELLA MISERICORDIA PER RINASCERE NELLA LIBERTA’ DEI FIGLI DI DIO
AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE
Non esiste unità di misura per l’amore di Dio. Quante volte misuriamo il tempo speso per gli altri, il perdono offerto, la quantità di vita consegnata? Quello che spesso facciamo è prestare e mai donare. Per chi dona le misure non contano. Il dono non conosce calcoli. Quando nel cuore si comincia a tenere una segreta contabilità, una partita di dare e avere, è il segno che il Cielo è ormai chiuso, e la vita dei figli è divenuta vita di orfani. Come nella parabola del figliol prodigo, che esige dal padre di conteggiare la parte che gli spetta per spendersela in libertà e autonomia.
E’ proprio questo il primo passo verso la rovina: aver obbligato suo padre a misurare ciò che non ha misura. ed è esattamente quello che ha fatto anche il figlio maggiore, quando, preda della gelosia, si è messo a calcolare l’incalcolabile amore del padre. Entrambi non avevano compreso che il tranello antico posto dal demonio Il ad Adamo ed Eva era di misurare e accaparrarsi l’eredità; cadendo, da infinita essa diveniva qualcosa di finito, esauribile, invidiabile, oggetto di gelosie, avarizia e concupiscenza, di difesa strenua a costo di uccidere l’altro con giudizi e condanne, schiavi delle passioni, sempre a corto di pazienza e misericordia, privati di quell’amore smisurato che compie la vita. Senza l’agape, i matrimoni restano senza vino, e fanno acqua, incapaci di sopportare l’urto della carne. Senza l’eccedere della carità, le amicizie evaporano, i fidanzamenti si piegano ai compromessi, le relazioni tra genitori e figli divengono campi di battaglia.
Perché ogni situazione che siamo chiamati a vivere è eccezionale e necessita un amore smisurato, che, come il Nilo, tracimi dal letto abituale, quello dell’ordinaria amministrazione dei compromessi ipocriti e impauriti, per fecondare e donare la vita. Il peccato ha ferito il nostro cuore, per questo il Signore ci chiama a stringerci a Lui che non ha contato i nostri peccati, e che, senza misura, ci ha amato di un amore incorruttibile. “Manikos eros” diceva Casabilas, amore folle quello di Dio. Elisabetta della Trinità credeva nel “troppo amore di Dio”: “Mi prostro nella mia miseria e, riconoscendola apertamente, la espongo davanti alla misericordia del mio Maestro”.
La Quaresima è prostrarsi come la donna fenicia, come Maria ai piedi di Gesù, come la Maddalena. Aspettando trepidanti la sua misericordia, che si schiuda il suo seno (misericordia traduce il greco “oiktirmon” che a sua volta traduce l’ebraico “rahamin””, che indica il ventre, l’utero). La Quaresima è rientrare e restare nel grembo della Chiesa, immersi nel liquido amiotico della misericordia di Dio che ci gesta alla vita di figli somiglianti al Padre, per essere pura misericordia per il prossimo. Chi si nutre istante dopo istante del suo perdono, ha smarrito il giudizio, non può condannare gli altri.
Li guarda come Gesù, perché nella Chiesa i suoi occhi sono intrisi nei suoi. Ama senza timore, perché il proprio cuore è già nel Cielo dove nessuno potrà mai trafugare l’amore di Cristo che non si può misurare e non si esaurisce, donato nella carne delle proprie ore spese gratuitamente, senza invidia e gelosia. Israele conosceva l’attenzione al forestiero perché ne aveva fatta l’amara esperienza in Egitto e aveva visto e assaporato la vittoria del braccio di Yahwè disteso a liberarlo. Così l’uomo creato per amare e perdonare, straniero in una terra d’odio e rancore, liberato gratuitamente dalla tirannide dell’oppressore, conoscerà per esperienza l’angustia di chi è ancora straniero in una terra non sua.
Saprà perdonare chi non sa perdonare. Non si tratta di sforzarsi per non giudicare, non condannare e donarsi. E’ impossibile all’uomo. Si tratta di avere chiaro l’abisso del proprio cuore, e incontrare nel seno di Maria nostra Madre l’infinita misericordia del Padre che ci plasma a immagine di Gesù, capaci di giustificare senza misura. Dal nostro grembo nascerà solo misericordia, in misura traboccante, incalcolabile, la stessa nella quale possiamo rinascere.