Il Natale (come la Pasqua) è una solennità talmente importante per noi cristiani che nella Liturgia si «prolunga» per otto giorni, pur di assaporarla al meglio. Da qui l’espressione «ottava di Natale» (e ottava di Pasqua) che trova il suo apice nell’ottavo giorno, il 1° gennaio. Il tema del vangelo riprende il messaggio che abbiamo meditato nella Messa dell’aurora di Natale (la prima Messa): l’annuncio degli angeli ai pastori, il loro andare “in fretta” verso la grotta per vedere questo “Avvenimento” e il contemplare quanto gli angeli avevano loro annunciato:
“Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia” (versetti 15-20). «Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, al bambino fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre».
«Compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, come era prescritto dalla Legge (Lv 12,3: “L’ottavo giorno si circonciderà il prepuzio del bambino”. Anche Gesù viene circonciso; era il segno tangibile dell’appartenenza all’«alleanza santa» stipulata da Dio con Abramo (cf. Gen 17,10-11). Con questo «segno» Gesù sarà indicato per sempre come figlio di Abramo. Questa «ferita» dirà per sempre il suo essere ebreo. In questo modo l’evangelista Luca indica l’identità e l’appartenenza di Gesù: è ebreo, e in Gesù si compie la promessa fatta da Dio: «Ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide… come avevo detto per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo… Si è ricordato della sua santa alleanza» (Lc 1,69-72).
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Un «segno» che poi Gesù stesso rinnoverà in modo nuovo e diverso, come profetizzato da Geremia: «Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore…» (Ger 4,4). Infatti, ricorda san Paolo: «Siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo… ma di Cristo: con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti» (Col 2,2). Quindi Gesù è «Nato sotto la legge per riscattare quelli che erano sotto la legge» (Gal 4,5, II lettura).
Le prime persone alle quali è stato portato l’annuncio da parte degli angeli sono i pastori, e sono loro stessi i primi che, “senza indugio” (Lc 2,16) corsero alla grotta per “vedere questo Avvenimento” (Lc 2,15). Come abbiamo avuto modo di accennare a Natale, essendo Gesù nato fuori da Gerusalemme (non dimentichiamo che Giovanni Battista predicherà nel deserto e la gente accorrerà da lui trascurando il tempio di Gerusalemme! – II domenica di Avvento), era inevitabile che i primi ad accorrere fossero i pastori, ma è altresì vero che in loro possiamo vedere rappresentati gli esclusi, i peccatori, i lontani, verso i quali Gesù manifesterà particolari attenzioni, fino a creare tensioni alle quali Gesù stesso risponderà: “Non sono venuto per i sani, ma per i malati; non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori” (cfr Mt 9,13; coerente con 1Sam 16,1-13 la chiamata di Davide, che era al pascolo). Giunti alla grotta i pastori videro il Bambino e “riferirono quanto era stato detto a loro” (Lc 2,17).
Nella corsa dei pastori verso la Grotta possiamo ripensare alla corsa di Maria (Lc 1,39) verso la cugina Elisabetta, dopo l’annuncio dell’angelo, e il suo canto di esultanza, il Magnificat. Anche i pastori, “stupiti”, “tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito…” (Lc 2,20). Potremmo quasi dire che i pastori si fanno angeli, portando agli altri l’annuncio che loro stessi avevano ricevuto, dato che non possono tenerlo per sé, come dirà più tardi Giovanni: “Quello che abbiamo udito… veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo…noi lo annunciamo anche a voi”, parole che riecheggiano e prolungano le parole del salmo 19: “I cieli narrano la gloria di Dio…” (cfr 1Gv 1,1-3; cfr Sal 19).
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Questo annuncio di gioia è giunto anche a noi oggi, attraverso generazioni di “angeli” che lo hanno tramandato di “vita in vita”, perché chi incrocia lo sguardo di Gesù (cfr Mt 4,12-23), chi viene sedotto dal suo Amore (Ger 20,7)… poi, senza indugio, si mette in cammino e lo porta agli altri, perché il vangelo muore se viene trattenuto, è chicco di grano che deve cadere/deve essere donato per portare frutto (cfr Gv 12,24).
Un portare che implica tutto se stessi, tutta la propria vita:“Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole” (Fonti Francescane 43), diceva san Francesco d’ Assisi, facendo capire che le parole sono un di più, ciò che conta è che la vita parli. A tale riguardo viene da domandarci quanto ci affrettiamo nelle cose che riguardano Dio (quanto ci affrettiamo nel partecipare alla Messa domenicale, a riservarci e difendere il giusto tempo per la preghiera, la carità, la legalità, la cura della Casa comune che è il Creato…); è una domanda che si fa esame di coscienza come singoli e come Chiesa, dato che si fa fatica a trovare cristiani convinti e convincenti, tanto che le parole di Gesù ai farisei restano tristemente attuali per noi oggi: “Osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono ma non fanno” (Mt 23,3).
O, come diceva uno dei più grandi teologi del ‘900, Karl Rahner, “Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà nulla”: o sarà un innamorato di Dio, sedotto dal suo Amore, o sarà insignificante… come dirà l’evangelista Matteo: “Se il sale perdesse il suo sapore… a null’altro serve che ad essere gettato via” (cfr Mt 5,13), o come chiaramente allude Giovanni nell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo” (Ap 3,15). I “pastori” ci aiutino allora a ritrovare la libertà di lasciare e il coraggio di osare, a partire dal recuperare l’amore di un tempo (cfr Ap 2,4).
Accanto ai pastori, il vangelo di Luca segnala “tutti quelli che udivano” (Lc 2,18). Tutti, nessuno escluso, tutti chiamati ad accogliere questo evento. La cosa che colpisce, è che questo gruppo di “anonimi pellegrini” si “stupisce” (Lc 2,18). Lo stupore è dato dal fatto che è nato il Salvatore! La meraviglia è proprio l’esperienza di chi si lascia interrogare dalla vita, da chi rimane aperto alle sorprese di Dio. Ancora una volta il Signore sorprende e ci sorprende: fin dal suo “ingresso” fa capire che non ci sono corsie preferenziali per aderire a Lui, e se ci sono, non seguono certamente le nostre categorie. Solo per ricordare: “gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi” (Mt 20,16) e “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).
Non c’è dunque situazione, esperienza, peccato che possa tenerci lontani dal Signore (cfr Rm 8,35ss “Chi ci separerà dall’amore di Cristo…nessuno”.); per tutti c’è sempre un “sicomoro” sul quale salire e dal quale farsi ospite di Gesù, non per i nostri meriti, ma per Sua grazia: “Zaccheo scendi subito, oggi devo fermarmi a casa tua” (cfr Lc 19,1-10).
Dopo i pastori e i “tutti”, il nostro sguardo si posa su Maria, la Theotokos, la Madre di Dio. E non può che essere così, visto che oggi la solennità è a lei dedicata. Maria è Madre di Gesù, vero Dio e vero Uomo. Per questo è colei che meglio di tutti può condurci al suo Figlio, perché nessuno come Lei sa che Gesù è vero Dio e vero Uomo e nessuno sa come relazionarsi con Lui meglio di Lei.
La solennità di Maria Madre di Dio è la prima festa mariana della Chiesa occidentale. Non si hanno informazioni precise su quando si cominciò a celebrare questa solennità, ma a partire dal 431, durante il Concilio di Efeso che si concluse il 22 giugno, venne definita la verità di fede della “divina maternità di Maria”. Nel 1931, ricorrendo il XV centenario del Concilio, papa Pio XI ne istituì la festa liturgica trasferita poi al 1° gennaio, nell’ottava di Natale, per esprimere meglio lo stretto collegamento proprio con la solennità del Natale: nascita del Figlio (Natale), proclamazione di Maria quale Madre di Dio (otto giorni dopo).
Maria è la Madre che di fronte alla parole dei pastori capisce subito che quel Bimbo non è solo “suo Figlio”: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» dirà un giorno Gesù (Lc 8,19- 21). Questo svelarsi, questo capire un poco alla volta, chiederà a Maria (e anche a Giuseppe) di “custodire e meditare” (Lc 2,19) quanto ascolta e osserva. Custodire e meditare significa raccogliere e fermare dentro di sé gli eventi, lasciarli scendere in profondità; un ascolto consapevole, pensoso, intelligente. Un prendere a cuore la vita, un “vedere dentro” (ripensiamo al sogno di Salomone, quando chiese a Dio il dono del discernimento, cioè del capire col cuore, dell’avere un “cuore ascoltante” cfr 1Re 3,ss), fino a prendersi a cuore gli altri al di là dei loro sbagli, fragilità… sapendo cogliere la speranza dove sembra che non ci sia più speranza.
Questo è vedere “con il cuore”, e per capire se siamo capaci, basta domandarci se ci prendiamo a cuore gli altri, le situazioni… superando ogni diffidenza. Vorrei vedere in questo “custodire e meditare” una sorta di riflesso di quel “custodire e coltivare la terra” (Gn 2,15) descritto in Genesi, perché in fondo il primo campo da custodire e coltivare è proprio la vita, dove la Parola viene abbondantemente seminata (cfr Mc 4,1-12) e chiede di essere “custodita e meditata”. E poi la fede, il rapporto con Gesù; e poi gli “altri”. Tutti campi da custodire e coltivare.
Non può sfuggire il fatto che questo impegno ci viene affidato il primo giorno dell’anno civile, quasi ad offrirci la bussola per stare in questo tempo come sentinelle del mattino (cfr Is 21,11) e accogliere questo tempo come grazia. Una “chiave” per capire che gli eventi della vita non vanno “creati”, ma vissuti. Di fronte a quello che accade nella nostra storia, siamo invitati a metterci da credenti e a domandarci “Cosa mi stai dicendo Signore attraverso questo avvenimento?”. Questo è il credente che, come Maria, sa porsi di fronte alla vita e sa da essa lasciarsi interpellare.
La grandezza di Maria non è tanto quella di aver messo al mondo Gesù, il Figlio di Dio, ma la cosa più grande in Maria è aver accettato di seguire il Figlio, di farsi discepola alla Scuola del Maestro: “Beato il grembo che ti ha portato… beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (cfr Lc 11,27-28). Come e con Maria, siamo così anche noi chiamati a metterci alla Scuola del Signore per divenire suoi discepoli, sapendo “custodire nel cuore e meditare”, perché ciò che non comprendiamo oggi, Dio ce lo farà comprendere al momento opportuno, svelandoci nuove prospettive.
In questi giorni c’è chi ricorre agli oroscopi di ogni sorta per capire come andrà l’anno – tanto non ne azzeccano una! -, e noi invece sottovalutiamo di essere già posti sotto il segno per eccellenza, quello di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Ecco perché è importante stare accanto a Maria, accoglierla nella casa della nostra vita – “Donna, ecco il tuo figlio!… Ecco la tua madre!… E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,26-27). E imparare a divenire discepoli del Figlio come e con lei, alimentando quell’unica fonte dalla quale tutto diventa possibile, la fede: “Beata sei tu, Maria, che hai creduto” (cfr Lc 1,45).
Infine, non va sottovalutato il fatto che Gesù è la “benedizione” di Dio Padre per noi tutti: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1,3ss). Così, dopo essere posti sotto il manto di Maria fin dal primo giorno dell’anno, questa Ottava di Natale ci ricorda che siamo posti sotto la benedizione di Dio: «Ti benedica il Signore e ti custodisca… Faccia risplendere per te il suo volto, e ti faccia grazia» (cfr I lettura, Numeri), esperienza che si estende, si prolunga nel canto del salmo della messa: «Dio abbia pietà di noi e ci benedica… faccia splendere il suo volto…».
Una benedizione che desideriamo implorare in questo 1° gennaio, giorno nel quale – dal 1968 – si celebra anche la Giornata Mondiale per la pace.
Lc 2, 16-21 | don Andrea Vena 75 kb 11 downloads
Maria SS. Madre di Dio, ottava di Natale Nm 6,22-27 Sal 67 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21 a…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.