Con la domenica della festa del Battesimo di Gesù si conclude il tempo di Natale, anche se resta aperta una “finestra” il 2 di febbraio, giorno in cui – 40 giorni dopo Natale – celebreremo la presentazione di Gesù al Tempio come “luce delle genti” (conosciuta popolarmente come “la candelora”). Durante il tempo di Natale abbiamo adorato il Bimbo di Betlemme adagiato in una mangiatoia (Natale); incontrato la santa Famiglia di Nazareth; venerato Maria, Madre di Dio (1° gennaio); abbiamo riflettuto sulla sua manifestazione ai Magi, ossia a tutte le genti (6 gennaio). Un graduale cammino durante il quale la liturgia ci ha aiutati a penetrare il mistero dell’Incarnazione e a comprenderlo. Eventi tutti che hanno visto Gesù ancora Bambino, presso la grotta di Betlemme.
Oggi compiamo un salto nel tempo: la liturgia ci porta al primo atto pubblico di Gesù, il suo Battesimo presso il fiume Giordano. A differenza di Matteo e Luca, l’evangelista Marco non riporta nulla sulla nascita di Gesù, iniziando il suo vangelo proprio con il Battesimo.
v. 9: “Ed ecco… Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni”.
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Il battesimo di Giovanni era un rito di penitenza: quanti vi si accostavano esprimevano il desiderio di essere purificati dai peccati e, con l’aiuto di Dio, si impegnavano a iniziare una nuova vita.
«Nazaret» è un paese piccolo, senza tradizioni e citato in forma dispregiativa: “Può mai venire qualcosa di buono da Nazaret?”, domandò Natanaele (Gv 1,46). Eppure qui Gesù visse 30 anni, potremmo dire una vita! Anni di silenzio, di crescita e presa di coscienza, di lavoro, di famiglia, di ordinarietà… «Galilea», regione squalificata dal punto di vista religioso, regione pagana.
Sono particolari essenziali che l’evangelista usa per aiutarci a capire che Gesù entra nella storia «pubblica» non come un «privilegiato», piuttosto da una «porta di servizio». Dei suoi 30 anni precedenti sappiamo dai vangeli che Gesù è cresciuto in «età, sapienza e grazia» (Lc 2,52), ed è questa maturità, consolidata in una ordinaria vita quotidiana, che lo porta a farsi «solidale» con gli ultimi, con i peccatori: «Colui che non conobbe peccato – scriverà s. Paolo – si è fatto per noi peccato e maledizione» (2Cor 5,21; Gal 3,13).
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La chiave di lettura per comprendere il vangelo ci viene offerta come sempre dalla prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia. «Voi tutti assetati venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite…». È un invito ad aprirsi all’opera di Dio, a ciò che Dio deve dare. Gesù non va conquistato, ma accolto: Lui c’è già, è già sceso in terra. Spetta a noi accoglierlo, fargli spazio, credere in Lui aprendoci a Lui. Eppure questo è difficile: noi, come dice Isaia, continuiamo a «spendere denaro per ciò che non è pane… a coltivare pensieri che non sono i pensieri di Dio, a percorrere vie che non sono le vie di Dio» (prima lettura). Seguire i nostri sentieri, le nostre vie… sono i nostri modi di andare avanti: sono il segno che ci fidiamo di noi, e basta. Il Signore invece chiede di lasciare la nostra prospettiva, di coltivare un ordine diverso di pensiero, di coltivare una superiore visione delle cose (pensiamo alla ricerca dei magi, guidati dalla stella, una “luce amica”, come recitava il testo dell’inno dell’Epifania): la ricerca di Dio (“Cercate il Signore mentre si fa trovare”, v 6) esige una “rottura”, un salto di qualità, un lasciare gli schemi precostituiti. Si tratta di fidarci della Parola e di permettere ad essa di compiere il suo dovere: “tornare a Dio avendo compiuto ciò che per cui è stata mandata”, anche attraverso la nostra vita, come la pioggia e la neve (vv. 10-11). È Dio, quindi, a costruire la storia, a guidare la storia: Lui è il mio Salvatore! A tal punto, come ci suggerisce il salmo, di cantare la nostra certezza: «Ecco, Dio è la mia salvezza… Mia forza e mio canto è il Signore…». Per far sì che tutto si realizzi, Gesù si fa uno di noi, si mette in fila con noi peccatori, Lui che non aveva peccato, per chiedere il battesimo (cfr Mt 3,13).
v. 10: “E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. E una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
L’unico che riconosce la voce dal cielo è Gesù. Da squarciare c’è il muro di separazione tra Dio e l’uomo, venutosi a creare con la disobbedienza di Adamo-Eva (Gn 3). Ritroviamo il verbo squarciare solo un’altra volta in Marco, alla morte di Gesù, quando il velo del tempio si “squarcia” (Mc 15,38) in due, da cima a fondo. Il velo nel tempio delimitava l’accesso all’area sacra, nella quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno, nel Giorno dell’Espiazione: era il luogo della presenza di Dio. Un velo che viene squarciato perché Dio si è rivelato Amore. “Cielo” (nel Battesimo) e “telo” (alla morte) vengono squarciati perché Gesù è venuto a portare il lieto annuncio, come sperato da Isaia, nel brano ascoltato nella I domenica di Avvento: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Dio ha ascoltato il grido di speranza e di fiducia del profeta Isaia, è sceso in terra, è venuto a interessarsi della nostra esistenza, condividendo in tutto, fuorché nel peccato, la nostra vita.
Squarciare i cieli significa che Lui squarcia le false immagini di Dio che noi abbiamo, tra le quali la convinzione che Egli non sia disposto a perdonarci perché troppo peccatori! La convinzione che Dio non possa amarmi… quando invece per Lui sono amabile in ogni caso. Dio non solo squarcia questo muro e le tante false immagini che ci siamo fatti di Lui, ma rivolge pure a noi le stesse parole che ha rivolto a Gesù: “Tu sei il mio Figlio, l’amato”. È come se dicesse: “In te io sono felice”. C’è una felicità di Dio in ognuno di noi, perché comunque sia ciascuno di noi è e rimane fatto “a sua immagine e somiglianza” (Gn 1,26) e il suo compiacimento per quanto fatto in e su di noi, nessuno potrà cancellarlo: “E vide che era una cosa molto buona/bella!” (Gn 1,31).
Dio sa come siamo fatti, in Cristo ci prende per mano per accompagnarci a realizzare la nostra vera umanità, e lo fa raggiungendoci lì dove siamo, non dove pensiamo di essere o dove sogniamo di essere. Ma lì dove siamo, perché Egli è venuto per prendersi cura di noi, per prendersi a cuore le nostre gioie e le nostre lacrime… fino a caricarsi i nostri peccati. La sua venuta dice che io, tu, noi… interessiamo a Lui. Nella sua discesa Lui dice a ciascuno di noi: “Tu mi interessi… e io mi prendo cura di te… I care!”, mi sta a cuore la tua esistenza, mi importa di te. Con te desidero dare inizio a una nuova storia di salvezza, un nuovo principio, un nuovo “archè” (cfr I domenica di Avvento: nuovo inizio/archè).
Già nella nascita di Gesù c’erano tutti i “segni” della sua passione e morte, come molti iconografi segnalano nello “scrivere” le icone della natività. Gesù adagiato non tanto in una mangiatoia, ma in un “sarcofago di pietra”, e rivestito non delle fasce di un neonato, ma di quelle di un defunto: questo per collegare nascita e morte, Natale e Pasqua. Senza contare che uno dei tre doni dei magi, era la mirra, sostanza utilizzata per detergere il corpo del defunto.
Ma anche il Battesimo di Gesù è collegato alla sua morte, come abbiamo appena visto nello squarciarsi dei cieli. E pensiamo ancora ai discepoli, quando gli domandano di sedere alla sua destra e alla sua sinistra, Gesù risponderà: “Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?… nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati” (Mc 10,38-39). Parole attraverso le quali Gesù fa capire che ogni battezzato/ogni cristiano col Battesimo viene inserito, immerso in un’esperienza nuova e sofferta, e che ciascuno sperimenterà a suo tempo.
Inoltre, un’altra indicazione che lega insieme Battesimo e Morte di Gesù, è la presenza dello Spirito santo: Lo ritroviamo infatti quando su Gesù scende come una colomba, e in Croce quando sarà Gesù stesso a donarlo a tutti, “spirando” (Mc 10,37.38). Lo Spirito santo è dunque la vita nuova che nasce dallo “squarcio” e che inaugura “i nuovi cieli e la nuova terra” (Ap 21,1).
«Venne una voce dal Cielo”: nel battesimo, la voce – fa capire l’evangelista – la sente solo Gesù; ci sarà poi “una voce dal cielo” nell’episodio della trasfigurazione, che viene udita dai discepoli (Mc 9,14); infine, una voce che non viene più dal cielo, ma dal cuore stesso di Gesù, che ormai è un tutt’uno col cielo: “Gesù gridò a gran voce” (Mc 15,34). Una voce/grido che certifica che ormai l’amore ha vinto sul peccato, la vita sulla morte. Certifica che il muro di separazione tra “cielo e terra” ormai è superato, è vinto.
Un altro particolare che collega Battesimo e Morte è l’espressione “Figlio di Dio” (cfr salmo 2,7). Nel Battesimo, è il Padre stesso che dice a Gesù “Tu sei il Figlio mio…”; sotto la croce, invece, sarà un centurione pagano (Mc 15,39): “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”. Nello squarciarsi dei cieli e del velo, si apre dunque a tutte le genti – vedi il pagano centurione – la possibilità di riconoscere Gesù quale Figlio di Dio.
Nella nascita Gesù, adagiato in una mangiatoia, è adorato dai pastori e riconosciuto dai Magi (e quindi dai lontani/stranieri); nel Battesimo nel Giordano è riconosciuto dal Padre; si “manifesterà” (epifania) in tutta la sua pienezza sulla croce, quando donerà lo Spirito e tutti potranno riconoscerLo Dio e Signore, l’Emanuele, il Dio con noi (cfr Is 7,14), fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Un cammino che parte da Betlemme, passa per il Giordano e porta a Gerusalemme, dove l’amore di Dio si manifesterà senza veli, e certificherà che i cieli ormai sono “squarciati”, che Dio ci ama. Da morire.
Come già accennato, Gesù rispondendo ai discepoli “nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati” (Mc 10,38-39), ci suggerisce che non ci sono due battesimi, uno suo e uno nostro. L’esistenza di Gesù è la nostra esistenza, è la nostra via, è la nostra verità, è la nostra vita (cfr Gv 14,6). Come Lui si fa solidale e si fa carico della sorte di ciascuno, così anche noi siamo chiamati – ancor più perché battezzati, immersi nel suo amore – a saperci prendere cura di quanti condividono l’esperienza della vita, a cominciare dagli ultimi (peccatori), dagli esclusi (Nazaret), dagli etichettati (Galilea). Ogni “velo” che divide va squarciato, perché non appartiene alla logica di Dio (cfr Ef 2,13-15: “Ogni muro di separazione che era frammezzo…”)! Ogni giudizio o pregiudizio va smontato nella verità perché ciascuno di noi è “l’amato del Signore”, nel quale Dio ha posto “il suo compiacimento”, la sua gioia. Questo vale per me, ma vale per tutti i fratelli e le sorelle, per i Fratelli tutti. Indipendentemente dalla nostra condizione di peccatori. Nel battesimo si rinnova l’Avvenimento del Natale: Dio scende, entra in me affinché io rinasca in Lui, nuova creatura. Ma questa “vita nuova” (cfr Is 43,19) chiede di essere testimoniata affinché, come Gesù disse di sè, “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9) così anche quanti ci incontrano possano dire “in te, vedo Gesù”. Umanamente impossibile, certo, ma “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
Gesù è sceso nel Giordano per farsi vicino e solidale con i peccatori. È sceso agli inferi, “nelle regioni inferiori della terra. Colui che discese è lo stesso che anche ascese”, dirà san Paolo (Ef 4,10), pur di prendere per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e guidarla avanti, guidarla in alto, creando così l’accesso a Dio, dopo aver squarciato i cieli e il velo. Continua a scendere negli inferi della nostra vita, presso il “nostro Giordano”… per porsi al nostro fianco, per prenderci per mano e, come fece con la fanciulla del Vangelo, dire anche a noi: “Talitakum” (cfr Mc 5,41), alzati, riprendiamo il cammino. Gesù, ci ricorda la pratica della via Crucis, cade tre volte. In quel cadere la tradizione vede quasi un “anticiparsi” di Gesù nel cadere per prenderci tra le sue braccia ogni qual volta noi cadiamo lungo il percorso della vita. Cade una, due, tre volte, cioè un’immensità di volte, e ogni volta ci prende tra le sue braccia e ci dice: “Tu mi interessi. Ti voglio bene… Continuiamo a camminare”.
Perché non c’è peccato, fragilità, condizione… che possa separarci dall’amore di Cristo (Rm 8,35). Spetta solo a noi “accoglierlo”, spetta a noi riconoscerLo nostro Dio e nostro Signore, convinti che Gesù è venuto tra noi per farsi solidale compagno di viaggio, insegnandoci con Verità la Via che conduce a una vera Vita (cfr Gv 14,6), un’esistenza bella e significativa. A noi dunque diventare con la vita quello che siamo, battezzati. Cristiani. Togliendo il velo dell’ipocrisia e “svelando” in noi l’amore di Dio per gli altri. La festa del Battesimo di Gesù ci permette così di comprendere il battesimo che noi stessi abbiamo ricevuto e che ora siamo chiamati a vivere.
Il Battesimo di Gesù chiude dunque il tempo forte del Natale e apre il Tempo Ordinario, il tempo della vita. Se il Battesimo ha inaugurato la missione pubblica di Gesù, per noi inaugura l’impegno di lasciare la “grotta di Betlemme” dove lo abbiamo adorato, e iniziare la missione di testimoniarLo giorno per giorno, forti della gioia dell’essere Comunità/popolo di Dio che si raduna ogni domenica per lasciarsi guidare dalla “stella” della Parola di Dio, nutrirsi dell’Eucaristia, Pane del cammino, vivendo nella e con carità… in cammino verso i cieli aperti, dove il Padre ci attende per vivere per sempre con Lui.
La festa del Battesimo di Gesù ci offre l’opportunità di ripensare al nostro battesimo, al dono ricevuto di divenire in Gesù figli di Dio, amati dal Padre. A noi il compito di “ravvivare il dono ricevuto” (cfr 2Tm 1,6) a cominciare dal far memoria della data del nostro battesimo, giorno in cui siamo nati a vita nuova. E se non ce lo ricordiamo, chiamiamo il parroco e chiediamogli di segnalarci la data: è un giorno in cui far festa, come la si fa per il compleanno.
Mc 1, 7-11 | don Andrea Vena 75 kb 13 downloads
Festa del Battesimo del Signore, anno B Is 55,1-11 Sal Is 12,2-6 1Gv 5,1-9 Mc 1,7-11…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.