Nel suo cammino verso Gerusalemme, Gesù ci ha fatto riflettere sul valore della fede (“Gesù accresci la nostra fede”, XXVII domenica, 2 ottobre); ha affrontato il tema della preghiera (i dieci lebbrosi, XXVIII domenica, 9 ottobre; la vedova, XXIX domenica, 16 ottobre; il pubblicano e il fariseo al tempio, XXX domenica, 23 ottobre); ci ha fatto capire che esiste una chiamata universale alla santità, al di là di dove tu sia (Zaccheo, XXXI domenica, 30 ottobre).
In questo percorso abbiamo incontrato la solennità di tutti i santi, felice richiamo al fatto che tutti, ciascuno a modo suo, è chiamato a una misura alta della vita. Una vita bella, matura…nel Signore (santità). Un’esperienza che bene ritroviamo nella beata Benedetta Bianchi Porro: “Reverendo Padre…Io, in questi ultimissimi giorni, sono peggiorata di salute. Spero perciò che la «Chiamata» non si faccia troppo attendere! La mente, grazie al Signore, è ancora lucida, ma sono tanto stanca. Sono molto stanca, padre, quasi da non sentire più parole neppure in bocca, ma mi sento spiritualmente ancora in piedi nell’attesa di ri spondere il «Presente» ad un Suo cenno. Le dirò, padre, che ho già sentito la Sua voce. La voce dello Sposo”. Una fortezza orientata da una certezza: l’andare incontro allo Sposo.
Il commento continua dopo il video.
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Con questa testimonianza, entriamo nel significato dei testi odierni.
Non siamo più lungo il cammino ma la scena si svolge all’ingresso della città Santa, Gerusalemme. Gesù viene coinvolto da alcuni sadducei sul tema della risurrezione. Tema che viene preparato dal testo dei Maccabei quando il re martirizza sette fratelli perché si rifiutano di nutrirsi di carni impure: “Siamo pronti a morire piuttosto che tra sgredire le leggi dei padri… il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna”. Il coraggio di rifiutare un cibo proibito nasce dalla certezza, come recita il salmo, che dopo la morte “Ci sazieremo contemplando il tuo volto”.
vv. 28: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
Il testo che la liturgia ci presenta inizia al versetto 27, ma se riguardiamo l’intero capitolo ci accorgiamo che Gesù sta presentando la fotografia di quanto a breve vivrà. Citare Giovanni Battista richiama il suo essere profeta (vv. 3- 8); la parabola della vigna e dei vignaioli omicidi (vv 9-19) si riferisce alla venuta di Gesù a Gerusalemme e il suo destino di morte; la domanda sul tributo a Cesare (20-26) allude ai romani a cui Gesù verrà consegnato. E poi il tema odierno dedicato alla risurrezione, il fine ultimo di Gesù. Troviamo in questa fotografia una sintesi del Van gelo. In questo ultimo dialogo, Gesù si confronta con i sadducei, i quali non credevano nella risurrezione (20,27); la loro domanda quindi è un modo per banalizzare il tema e la persona stessa di Gesù. I sadducei si rifanno alla “legge del levirato” (cfr Dt 25,5-6): quando un uomo muore senza aver lasciato discendenza, la vedova deve sposarne il fratello, in modo da dargli un figlio che prenda il nome del fratello morto e non lasci estinguere il suo nome in Israele.
Stravolgendo questa norma finalizzata alla vita, i sadducei creano ad arte il caso grottesco di sette fratelli che muoiono senza lasciare figli, dopo aver sposato in successione la stessa donna: nella resurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? È come se domandassero: “Se ci fosse veramente la risurrezione dei morti, di chi sarà questa donna?”.
34-38: Gesù rispose loro: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”.
Nella sua risposta Gesù innanzitutto dichiara di credere nella risurrezione, spiegando che questa non è frutto di un ragionamento umano, ma del fatto che siamo figli di Dio: “Infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono di figli di Dio” (Lc 20,36). Un modo per far capire che la risurrezione
è un atto di fiducia pieno in un Padre che è buono e che mai abbandona i suoi figli, neanche nella morte. È un fatto vero, reale, che orienta la vita: “Se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato… ma allora è vana la nostra predicazione e la vostra fede… Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti…” (1 Cor 15,12ss).
Gesù dice anche una seconda cosa: che esiste un altro modo di vivere che è animato dalla serenità della risurrezione, anche per quanto concerne ciò che c’è di più naturale, come la vita di coppia. La sessualità, ad esempio, è certamente un’esperienza passeggera (cfr Gn 1,28) in quanto appartiene alla pura condizione umana, ma la si può vivere in modo profondo, quale anticipo di una relazione più vera, ossia il segno dell’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo (cfr Os 2,18-22; Ef 5,31-32). “Prendere moglie, marito” – dice Gesù – lo fanno i figli di questo mondo”: chi vive orientato dal cielo “Accoglie”, non “prende”, come recita anche la nuova formula del matrimonio: “Io accolgo te…”.
Accogliere è un gesto, un atteggiamento che fa capire che l’altro è un dono che ti viene dato dall’alto per poter camminare e crescere insieme, per poter entrare un giorno insieme nella vita eterna, immersi nell’Amore di Dio. Ecco la differenza sostanziale tra il vivere con la logica del mondo e la logica della risurrezione: chi vive di questa logica sa cosa lo attende in cielo, vive per ciò che attende anzi per Chi lo attende, per ricompensarlo di tutto, per riempire in pienezza la sete del cuore: perché solo in Dio-Amore il nostro cuore troverà la pienezza e solo in Cielo questa pienezza troverà ciò che desidera.
Quindi c’è un modo di vivere agganciato in ciò che dura nell’eternità, e un modo di vivere senza approdo: questo alla fine, al momento del dunque, impensierisce, perché ci si accorge che ciò su cui ci si è appoggiati… non è sufficiente per sopravvivere. Chi si appoggia unicamente alla natura, alla Legge (i sadducei citano solo Mosè, quindi la Legge), non avrà prospettive serene, perché queste sono cose che non durano. Gesù, a differenza dei sadducei, non piega la Legge a suo uso e consumo, ma aiuta gli interlocutori ad andare alla fonte della volontà di Dio, il vero e unico Legislatore. Solo in Lui si può capire la verità della Legge. E la risurrezione sta al cuore della Torah, la Legge di Dio, come ribadisce Gesù citando il libro dell’Esodo: “Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” (Es 3,6). E chiude il dialogo ribadendo che «Dio non è Dio dei morti ma dei vivi, perché tutti vivono per lui», già oggi e poi oltre la morte. Parole che fanno capire che Dio ama l’uomo oltre la morte, che l’uomo vive per l’eternità per e con Dio.
Fissare qui ed ora il nostro cuore in cose effimere, significa perdersi e vivere sempre nella paura. Fissare invece il cuore in Dio, significa vivere già qui ed ora con la gioia dell’eternità che ci attende dopo la morte. Questa verità non è un’idea tra le tante, ma va a decidere il nostro stesso vivere. Per chi e per che cosa vivo qui ed ora? Sono cioè capace di amare e accetto di essere amato? Gesù ha risposto a questa domanda con la sua stessa vita, ponendo Dio Padre al centro di tutto. Gesù ci ha insegnato che credere la risurrezione è questione d’amore, è credere all’amore. Amare è già vivere da risorti. Gesù ci ha insegnato che la vita non appartiene al “caos”, alla “coincidenza”, al “profitto”, alle “scoperte scientifiche”… la vita appartiene a Dio e solo in Dio troverà la sua pienezza.
Non sottovalutiamo che siamo quasi al termine dell’anno liturgico e quindi del nostro cammino. E se è vero, com’è vero che l’Anno Liturgico è la nostra vita in scala, in miniatura… questo deve farci riflettere. Se la mia e nostra vita è orientata alla risurrezione, siamo chiamati qui ed ora a vivere da risorti (“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù non a quelle della terra” – Col 3,-12), a saper impregnare le nostre scelte, le nostre parole, i nostri pensieri di questa gioiosa certezza che ci porta a dire che nulla potrà schiacciarci, perché alla fine su tutto, compresa la morte, Gesù vince.
Il Signore Gesù non ci ha semplicemente amato, ma è Amore; non ci ha semplicemente indicato una speranza su cui appoggiarci, ma Lui stesso è nostra Speranza; non ci ha indicato una porta d’uscita, ma Lui stesso è la Porta del Paradiso per una vita risorta. Per sempre. Gesù oggi ci ricorda che il fine ultimo orienta le scelte quotidiane: e se il nostro fine ultimo è Dio, si appoggia in Lui, è da Lui orientato… tutta la vita diventa un imparare ad andare oltre, un amare oltre misura, un perdonare sempre, un servire con gioia perché in ogni fratello e sorella è presente il Signore Gesù. È in questo legame, in questo camminare insieme che cresciamo e maturiamo per varcare un giorno la Porta dove Dio si farà Tutto in tutti noi.
Leggi qui la preghiera per domenica prossima.
Il commento al Vangelo di domenica 6 novembre 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.