Cosa dice la Parola/Gesù
Continua il nostro cammino “con e dietro” a Gesù, il Signore e il Maestro, Colui che abbiamo adorato nella grotta di Betlemme (Natale), che si è rivelato a tutte le genti (Epifania, 6 gennaio), che si è messo in fila con i peccatori per farsi battezzare dal Battista, Lui che era senza peccato (Battesimo di Gesù, 9 gennaio); alla fine si è rivelato alle nozze di Cana, quale il vero Signore che dona senso e gioia piena alla vita (tre domeniche fa, 16 gennaio). Con Lui abbiamo mosso i primi passi, ascoltandolo nella Sinagoga dove ha dichiarato che in ogni “Oggi” si compie la Parola in coloro che l’accolgono (III domenica, 23 gennaio), consapevoli che a quanti vi aderiscono e scelgono di viverla, sarà sempre rimproverato qualcosa (domenica scorsa, 30 gennaio). Ricordandosi che i primi avversari alla proposta di Gesù non sono mai fuori di noi, ma in noi: come non riconoscere che desideriamo sì seguire il Signore e vivere la sua Parola, ma poi ci sono i nostri pensieri, i nostri sentimenti che fanno guerra (cfr Rm 7,18ss). L’importante, ci veniva ricordato dal profeta Geremia, è non temere, perché il Signore è sempre con ciascuno di noi. Perché alla fin fine è Lui che prende l’iniziativa, è Lui che sceglie, che chiama e che poi manda, è Lui che s’impegna con noi e per noi. Ed è il tema di questa quinta domenica. Scusate il “riassunto”, ma solo così comprendiamo che la Parola che la Liturgia ci propone la si comprende se impariamo a tenerla insieme: è esperienza, è cammino, è storia. E una domenica illumina l’altra.
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Il brano del vangelo, tratto dal capitolo quinto capitolo di Luca, viene come sempre preceduto e preparato dalla prima lettura, che oggi ci presenta la chiamata del profeta Isaia: egli capisce d’aver fatto esperienza di Dio, ha intuito che Dio lo sta interpellando, e di fronte alla grandezza di Dio il profeta mette tutte le sue miserie: «”Io sono perduto, sono un uomo dalle labbra impure”… A questa affermazione rispondono i serafini che gli vanno incontro, lo toccano sulla bocca e dicono: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato…Poi – aggiunge il profeta – udii una voce: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me”». Non può che essere così: quando ti senti amato da Dio (cfr Ger 20,7: “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre”), non desideri che contraccambiare “cantando” la tua gioia, “cantando” che il Signore ti ama per quello che sei, che Lui è con te e per te. Concetto che risuona nel salmo che la liturgia ha scelto come risposta a questa lettura: sì, perché il salmo è sempre risposta alla prima lettura, è preghiera che si fa canto: “Cantiamo al Signore grande è la sua gloria”. Entriamo nel vangelo.
vv 1-3: «Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennesaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì su una barca, che era quella di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca».
I primi versetti di questo quinto capitolo sono una “composizione di luogo”. Descrivono il contesto in cui avviene la scena. Gesù è seduto, come un maestro.
vv.4-7 «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare».
Al termine della “predicazione”, Gesù invita Pietro a prendere il largo – Duc in altum, dice il testo -. Segue una insolita richiesta e colpisce la risposta. Simone e i suoi compagni sono appena rientrati da una notte di fatica, senza aver preso nulla. L’evangelista Luca non nomina Andrea, ma dal testo si capisce che è presente: “Maestro – dice Simone – non abbiamo preso…Fecero così e presero…”. I verbi al plurale fanno intuire la presenza di un altro. E questi, poi, chiamano Giacomo e Giovanni, dell’altra barca, ad aiutarli. La proposta insolita è quella di “Prendere il largo”: ma di giorno non si pesca! Colpisce che l’esperto pescatore accetta, facendo leva non tanto sulla sua esperienza, ma in virtù di quanto ha ascoltato: “Sulla tua parola getterò le reti”.
vv. 8-11: «Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono».
L’evento “miracoloso” della pesca porta Simone a inginocchiarsi di fronte a Gesù, riconoscendo il fatto di essere peccatore. Esperienza già trovata nel profeta Isaia, che la liturgia ci ha proposto come prima lettura.
Cosa dice a me oggi la Parola/Gesù
Domenica scorsa abbiamo incontrato Gesù predicare nella Sinagoga, di fronte allo stupore dei presenti, che però alla fine lo cacciarono fuori! Oggi incontriamo Gesù che predica dalle rive del lago, scegliendo come “ambone” la barca di Simon Pietro. Un dettaglio che ci suggerisce subito che Gesù “visita” ogni ambiente di vita: sia esso la sinagoga o la casa o la riva di un lago. In ogni luogo, così come in ogni esperienza, Lui narra la bontà del Padre del cielo. Come Lui, anche noi. Il vangelo e la testimonianza di vita non vanno confinati tra le mura di una sacrestia.
Un secondo dettaglio che vorrei evidenziare è il fatto che il testo segnala che Simone e compagni stanno riassettando le reti dopo una notte fallimentare. Non è un dettaglio da poco. È segno che saranno stati sporchi, sudati e per di più demoralizzati per non aver pescato nulla. Gesù sale non solo su una barca, ma entra dentro questa storia di fatica, di trasandatezza, di sudore, di delusione… e sceglie questa esperienza di vita come suo “ambone” dal quale narrare la Parola di Dio. Come con Simone, così con me e ciascuno di noi: non c’è esperienza di vita che il Signore escluda, non c’è luogo inadatto all’annuncio della Parola. Gesù non mi attende solo in chiesa, ma fa di ogni luogo un’occasione per fare esperienza di Lui.
Gesù mi raggiunge nella mia vita, nella mia casa, nel mio lavoro, nel mio tempo libero… il tempo feriale è luogo visitato da Dio e il vivere il tempo festivo (la Domenica) mi offre, da una parte, i criteri per imparare a riconoscere la Sua presenza, e dall’altra gli elementi per saperLo testimoniare. E’ importante questo, perché si corre il rischio di testimoniare il “Gesù dei mass media” ma non il “Gesù del vangelo”, letto e interpretato tra le braccia di Madre Chiesa.
Salito sulla barca, Gesù si rivolge alle folle. Simone probabilmente ha continuato a riassettare le reti, ma il testo suggerisce che nel frattempo ha ascoltato il Nazareno. Infatti, terminata la predica, Gesù invita Simone a prendere il largo: Simone avrebbe potuto obiettare – in forza della sua esperienza di pescatore – che non era l’orario opportuno per farlo, ancor più perché sono appena rientrati da una notte a vuoto e sono stanchi.
Pensiamo per un istante a metterci nei panni di Simon Pietro, al combattimento interiore di quel momento: se dice di no, gli resterà sempre il dubbio di come sarebbe andata a finire; se dice di si, cosa avrebbero detto i suoi compagni nel vedere un pescatore esperto, probabilmente il leader del gruppo, partire di mattina! Alla fine Simone accetta, non in forza della sua esperienza, ma in virtù di quanto ascoltato: “Sulla tua Parola getterò le reti”. Due dati meritano attenzione. La prima, Gesù ha invitato Simone – e oggi ciascuno di noi – a “prendere il largo” – Duc in altum, dice il testo: cioè vai oltre, esci dai tuoi recinti, non accontentarti di dove sei arrivato, non fidarti solo della tua esperienza, non conformarti alla mentalità del mondo (cfr Rom 12,2).
Questo atto di fiducia porterà una pesca abbondante, a tal punto da dover chiamare i propri compagni. L’esperienza richiama le nozze di Cana: Maria, che invitava ad obbedire a Gesù: “Qualunque cosa vi dica, fatela” e le anfore riempite fino all’orlo di acqua trasformate in vino (cfr Gv 2,7, II domenica – 16 gennaio). L’esperienza di Cana, dunque, non è un fatto isolato, ma è il “segno” che sempre contraddistinguerà quanti si fidano a gettare le reti della vita sulla Parola di Gesù, Colui che saprà sempre dare il centuplo e la vita eterna a quanti lasciano tutto per Lui (cfr Mc 10,29-30). Ancora una volta vediamo quanto sia importante tenere unito il messaggio liturgico delle singole domeniche.
L’abbondante pesca porta Simon Pietro a cadere in ginocchio di fronte a Gesù. È la stessa esperienza di Isaia che, di fronte alla santità di Dio, non può fare a meno di esclamare: «Povero me, uomo impuro che ha visto il Signore!» (cf. Is 6,5, prima lettura). L’autentico incontro con Gesù – che ci ha narrato definitivamente Dio (cf. Gv 1,18) – coincide con lo svelamento all’uomo della propria condizione di peccatore, ossia con la scoperta della distanza che lo separa dal Signore, con la consapevolezza di non essere santo… Ma ora questa distanza è colmata dall’amore misericordioso di Gesù. L’incontro con il Signore scuote nel profondo e porta ciascuno di noi a riconoscere la propria miseria, ma in modo nuovo. Simone intuisce in Gesù qualcosa di grande: il principio ebraico, infatti, stabiliva che la grazia di Dio giungeva solo al giusto. Gesù ribalta questa logica religiosa di separazione e di lontananza, il sacro dal profano.
Lui abbatte questo muro di separazione (cfr Ef 2,13), tanto che Gesù non solo non si allontana da Pietro peccatore, ma proprio perché Pietro è peccatore, gli si avvicina (Mt 9,12: “non sono i sani ad aver bisogno del medico”). Simone intuisce di non essere guardato per il suo peccato, ma perché uomo. Quello che fa Gesù è guardare Simone con uno sguardo nuovo, capace di portare a galla la verità che si porta dentro, ferite comprese. E in Gesù quelle ferite non trovano giudizio, ma misericordia. A dimostrazione che non è l’osservanza della “regola” a rendere giusto, ma è il sentirsi guardati da Gesù con bontà a farti cambiare vita. La regola viene dopo, serve per custodire e proteggere l’esperienza di essere stato conquistato!
È quella “mano” che protegge la fiamma affinché questa non si spenga: ma dev’esserci la fiamma prima. Anch’io, ciascuno di noi, talvolta pensiamo che il riconoscimento delle nostre fragilità sia il punto terminale di ogni esperienza: il prendere atto che non possiamo andare oltre. Invece no, ci dice oggi Gesù mentre muoviamo i primi passi dietro a Lui in questo nuovo anno liturgico. Le fragilità sono il punto di partenza affinché Dio possa costruire qualcosa di grande in noi e per noi: “Un cuore affranto tu, o Dio, non disprezzi”, recita il salmo 51. Non ci si può fermare, ripiegare su se stessi: riconoscersi peccatori è il momento propizio per prendere il largo, per fidarsi e andare oltre, non forti della propria esperienza o capacità, ma della Parola di Gesù. Simon Pietro forse pensava di fallire nel prendere il largo, invece ha compiuto una pesca abbondante; pensava di fallire nel riconoscere le sue fragilità, invece diviene “Pescatore di uomini”. Dove noi non vediamo altro, dove pensiamo che tutto sia inutile o vano… è lì che si aprono nuovi orizzonti.
Come un tempo, così ancora “oggi” questa Parola chiede di realizzarsi (cfr due domeniche fa: “Oggi si è realizzata la Scrittura che avete udita…”). Oggi il Signore chiede a ciascuno di poter salire sulla barca della mia e nostra vita, e pazienza se non siamo in ordine: se puzziamo per il nostro peccato, se non siamo esteriormente ordinati come vorremmo mostrarci, col rischio di sembrare solo dei sepolcri imbiancati! (cfr Mt 23,26-27). Gesù non guarda all’apparenza, ma al cuore (cfr 1Sam 16,7). Ricordandoci che ciascuno di noi è oggi quel “Teolofilo”, amico di Dio, al quale è indirizzata questa Parola (cfr Lc 1,3, cfr III domenica 23 gennaio).
L’obbedienza alla Parola trasfigura quanti vi aderiscono: Simone verrà chiamato Pietro e da pescatore di pesci, diverrà pescatori di uomini. Certo, Simon Pietro smentirà più volte la fedeltà al Signore, arrivando pure a non riconoscerlo: ma anche in questo caso un pianto liberatorio gli permetterà di pentirsi e riprendere il j del “lasciare tutto”. Senza questa esperienza nessuna scelta è comprensibile. Anche oggi certe “regole”, certi “riti”, certe “proposte” non servono e non dicono nulla se prima di tutto non permettiamo che i cuori tornino a lasciarsi infiammare dall’amore di Dio, dal fare esperienza vera e viva di Lui.
Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù
Abbiamo cercato di capire la Parola (1° punto), di capire cosa dice a me/a ciascuno di noi oggi questa Parola (2° punto), e ora cerco di rispondere a Dio che mi ha parlato. Lo faccio attraverso due preghiere: la prima è la “colletta”, ossia la preghiera che ascoltiamo dopo il canto del Gloria: preghiera che riassume, raccoglie il messaggio dei testi biblici, e infatti sentiremo tale eco. La seconda preghiera, invece, è una condivisione di quanto la Parola ha mosso in me.
Colletta (anno C)
Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra.
Io rispondo così
Eccomi manda me
Signore Gesù,
come un tempo con Simon Pietro, così oggi,
ancora una volta,
scegli di salire sulla barca della mia vita. Nonostante le mie fatiche e fragilità, ancora una volta mi dai fiducia
e mi chiedi di abbandonare gli ormeggi dei miei calcoli e delle mie sicurezze,
e di prendere il largo.
Mi chiedi di fidarmi di Te, garanzia di vita riuscita. Se da una parte, Signore, son tentato di rinunciare,
dall’altra la tua Parola vibra nel mio cuore, mi emoziona e mi sprona
a non lasciarmi schiacciare dal mio timore, dalle mie stanchezze,
ma di fidarmi del tuo amore. Signore Gesù,
non sono degno di accoglierti nella barca della mia vita,
ma Tu continua a dirmi “Prendi il largo”,
e io, con Te, imparerò a risponderti: Eccomi, manda me.
Il commento al Vangelo di domenica 6 febbraio 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube. SCARICA IL FILE PDF