Siamo giunti alla IV ed ultima domenica d’Avvento. Ormai i testi sono tutti protesi nel prepararci a vivere il Natale di Gesù. Il cammino fin qui compiuto ci ha permesso di focalizzare l’attenzione alla Meta del nostro camminare insieme, ossia stiamo andando incontro al Signore che viene e che solo c’introdurrà nel regno dei Cieli (I domenica d’Avvento). Lungo questo cammino siamo chiamati a coltivare un atteggiamento di conversione, ossia quella capacità di saper abbracciare l’essenziale tenendo fisso lo sguardo verso il Signore (II domenica di Avvento).
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Questa scelta di fondo chiede la disponibilità, come è avvenuto per Giovanni Battista, di lasciarci mettere in discussione, in crisi di fronte alle false immagini di Dio che ci costruiamo quotidianamente, pur di sentirci in pace con noi stessi: “Sei tu – chiese il Battista – colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” (Mt 11,3, III domenica di Avvento). La stessa cosa avviene oggi con Giuseppe. La sua promessa sposa, Maria, attende un figlio. Una situazione che, secondo la Legge, richiederebbe la morte della donna. Il testo del vangelo presenta proprio questo dramma.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli ap parve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. 22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Come accennavamo, il vangelo presenta un dramma: da una parte Giuseppe, uomo giusto e osservante della Legge – dice il testo – che non poteva tenere con sé una donna adultera (cf. Dt 22,23-24). Eppure non voleva ripudiarla, l’amava. Dall’altra parte troviamo l’intervento di Dio: mentre Giuseppe rifletteva e cercava di capire come uscire da questa situazione, in sogno gli apparve un angelo, il quale lo aiuterà ad andare oltre l’evidenza. La prima cosa che fa l’angelo è quello di chiamarlo per nome, di fargli capire che lui è “conosciuto” da Dio:
«Gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere…”» (Mt 1,20). La prima cosa che l’angelo ricorda a Giuseppe è la sua storia, la sua radice: Giuseppe, sei “figlio di Davide”. Egli forse si vedeva semplicemente come un povero falegname di un piccolo villaggio della Galilea, mentre l’angelo di Dio lo chiama “figlio di David”. Con questa espressione l’angelo rispolvera la vera identità di Giuseppe, e quindi la sua missione. Sei della discendenza regale, com’è anche ricordato all’inizio del vangelo di Matteo, nella genealogia (cfr Mt 1,1-17). Giuseppe è parte della promessa, e sarà grazie a lui che Dio potrà portare a compimento la promessa di dare a Davide una discendenza numerosa come le stelle.
A questo primo dato va aggiunto un secondo aspetto. Giuseppe capisce che Dio si sta prendendo cura di lui, della sua sofferenza, del suo dubbio, della sua lotta interiore. Tale esperienza permette a Giuseppe di sentirsi “accolto”, “capito”, non abbandonato. Infine, Maria rimane la sua sposa: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20). Non è l’adultera che potresti pensare: è “tua sposa”. E Giuseppe si sente forte in questo, perché è Dio stesso a dirglielo attraverso l’angelo.
“Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21).
Dietro a tutto c’è Dio. E’ Lui che ha preso l’iniziativa con Maria, ed è Lui che ha preso l’iniziativa nei suoi riguardi. Il Bimbo che Maria sua sposa porta in grembo è il figlio della promessa, annunciato e atteso lungo i secoli. A questo bimbo sarà Giuseppe a dare il “nome”, la “discendenza”, come promesso e ribadito dal profeta Isaia (cfr I lettura): «Ascoltate, casa di Davide!… Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). “Casa di Davide!”. Giuseppe è della casa di Davide e senza saperlo, ora diviene lui, un falegname, lo strumento attraverso il quale Dio porta a compimento la sua promessa.
Di fronte a questo sconvolgimento della sua vita, deve decidersi. Ma scegliere significa accettare di aprirsi alla radicalità nuova alla quale Dio chiama; è necessario fare spazio a un Dio che va oltre le nostre stesse attese e che le compie in un modo completamente diverso da come lo avremmo immaginato. Così come hanno fatto Giovanni Battista e Maria, sua sposa. Giuseppe deve scegliere: ha ascoltato, ha cercato di capire un fatto che supera ogni possibile pensiero umano. Ora deve fidarsi di Dio, molto più che sulle sue forze. E Giuseppe, dice il testo, “Si destò dal sonno e fece come gli aveva ordinato l’angelo”.
Come Giuseppe, così anche noi siamo invitati ad avvicinarci al Natale con l’atteggiamento di fede di Giuseppe. Il Natale di nostro Signore lo possiamo comprendere solo se ci poniamo in atteggiamento di adorazione. Non si tratta tanto di “ragionare”, quando di “adorare”: il Natale è Dio all’opera. E Dio lo si adora e lo si accoglie, perché mai potremo capirlo. Solo in Dio i nostri dubbi, le nostre difficoltà, le nostre perplessità e lotte potranno trasformarsi in mistero, un mistero d’amore.
Vivere il Natale significa porsi in questo solco e accettare di fare spazio all’azione di Dio. La Parola di Dio, come ricorda san Paolo nella II lettura, chiede di trovare spazio in noi per poter ancora oggi “divenire carne”. Non spetta a noi dire se siamo o meno idonei; come Giuseppe, dobbiamo solo imparare ad ascoltare, fidarci e accogliere: “Abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti…e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo…amati da Dio e santi per chiamata”. La forza del nostro “Si”, del nostro “Eccomi”, del nostro “destarci dal sonno” della pigrizia, del dubbio, della fatica… è fondato sul fatto che è Gesù stesso a chiamarci, è Dio stesso ad amarci e a ritenerci santi per chiamata. Così dice san Paolo. Siamo santi, siamo degni…non per le nostre opere, ma perché figli di Dio! Un fatto, una realtà…che spesso dimentichiamo, sorvoliamo.
Quanto Dio ci chiede – come lo ha chiesto a Giuseppe – è in forza del Suo Amore, del suo sguardo misericordioso posato su ciascuno! Facciamo parte di una storia di salvezza più grande della nostra vita: fidiamoci di Dio! Come dicevamo nella solennità dell’Immacolata, dal nostro “si”, dal nostro “eccomi” dipende la realizzazione del sogno di Dio. Noi siamo oggi la “possibilità” di Dio: fidiamoci, apriamoci a Lui e Lui saprà condurci per mano per riuscire in quanto ci viene chiesto.
Certamente questa chiamata non sempre corrisponderà alle nostre attese, ai nostri progetti, ai nostri calcoli. Ma di fronte al mistero del Natale siamo chiamati a deciderci da quale parte vogliamo stare. Possiamo continuare a contrabbandare la nostra piccola storia facendo finta che tutto dipenda da noi, oppure – come Giuseppe – accettare di entrare in questo mistero d’amore aderendo con la fiducia della Vergine Maria: “Eccomi, avvenga per me secondo la tua parola “ (Lc 1,38). Aderire con la fede di Maria chiede, così come è avvenuto per Giuseppe, di saper alzare lo sguardo oltre l’evidenza, oltre la logica del tutto e subito. Si tratta di lasciarsi sorprendere dalle sorprese di Dio, che non mira a toglierci qualcosa, ma a donarci il tutto di cui abbiamo bisogno.
Vivere sul serio il Natale chiede di aprirci alla novità che Dio in ogni istante vuole proporci. Come un tempo Giovanni Battista, Maria e Giuseppe, così ancora oggi Dio ha bisogno della disponibilità – spesso combattuta – di ciascuno di noi. Non fermiamoci all’apparenza, a guardare al fragile che c’è in noi, perché come un tempo, così ancora oggi Dio – ci ha ricordato san Paolo – chiama ciascuno per nome, ricordandoci che siamo depositari del sogno stesso di Dio che chiede di essere continuamente risvegliato in noi.
Nella notte di Natale, contemplando il Bimbo di Betlemme adagiato nella mangiatoia, ringraziamo Dio per il tanto amore con il quale ci ama tanto da donarci il suo figlio Gesù. Posiamo lo sguardo su Maria e Giuseppe, e nel ringraziarli del loro “Si” chiediamo loro di aiutarci a dire il nostro “si”. Qui ed ora.
Leggi qui la preghiera per domenica prossima.
Il commento al Vangelo di domenica 4 dicembre 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.