Domenica scorsa ci siamo soffermati sulla professione di fede dell’Apostolo Pietro (cfr Mt 16,13-20): un momento certamente solenne per i discepoli e in particolare per Pietro, il quale, per la risposta data su chi fosse Gesù, viene proclamato «beato»: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli…». Forse Pietro si è ritrovato sulle labbra parole ispirate, parole più grandi di lui: una situazione che umana mente parlando lo avrà fatto sentire importante, al centro dell’attenzione. Ma quella gioia è evaporata subito: non fa tempo a gustarla che già viene duramente rimproverato da Gesù, come emerge nel testo del vangelo odierno. v. 21 : «In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Il testo della liturgia introduce il vangelo con l’espressione «In quel tempo», ma nel vangelo, subito dopo la professione di fede di Pietro, il testo dice: «Da allora (cioè da quel momento) Gesù disse ai suoi discepoli». E’ importante questa espressione, perché nel vangelo di Matteo non è semplicemente una congiunzione ma segna un passaggio, un cambiamento, uno spartiacque. Potremmo dire che «Da allora»/«Da quel momento» Gesù cambia toni e contenuti dei suoi discorsi (Ad esempio quanto Gesù viene a sapere che Giovanni Battista è stato arrestato, «E da quel momento Gesù inizia la sua predicazione…» (Mt 4,17). Alla luce di questo osservazione, comprendiamo meglio che Gesù «Da Allora» comincia a spiegare e svelare il suo destino, che non è quello di un Re potente, imbattibile e invincibile, ma quello di un Re che va incontro alla sofferenza e alla morte. Gesù invita quindi i discepoli non solo a riconoscerLo quale Figlio di Dio, come riconosciuto da Pietro, ma a tener conto del Suo e del loro stesso destino: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi…» (Gv 15,20).
In questo stesso versetto, c’è un secondo dato: «Gesù dovrà soffrire molto…e il terzo giorno risorgerà». Nella Bibbia il «terzo giorno» ricorre spesso (Gen 42,18 (quando Giuseppe invita i fratelli a portare a casa il grano e a portare a lui il fratello più giovane: «Il terzo giorno Giuseppe disse…»); «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare» Os 6,2; e poi Gio 2,1, Est 5,1…). Un’indicazione temporale che indica il passaggio da una situazione drammatica, disperata che sembrava senza uscita. È momento di svolta, di salvezza e dipende unicamente da Dio.
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Questo primo versetto ci suggerisce che il primo passaggio che i discepoli sono chiamati a fare è quello della «croce», ossia dell’andare fino in fondo, senza temere il momento oscuro perché ci sarà comunque «il terzo giorno» che ridona vita.
vv.22-23: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti acca drà mai”. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi se condo Dio, ma secondo gli uomini!”. Di fronte a questo annuncio, la Roccia della chiesa, Pietro, appena istituito e pro clamato da Gesù «beato» (cf. Mt 16,17-19), reagisce. Prende Gesù in disparte e comincia a rimproverarlo dicendogli: «(Dio) ti preservi, Signore! Ciò non ti accadrà mai!». Pietro invoca Gesù quale Kýrios, Signore, lo riconosce nella sua identità, ma proprio per questo lo rimprovera ritenendo le sue parole insensate, perché la passione e la morte non possono accadere al Messia. Non dobbiamo scandalizzarci di queste parole, che in fondo svelano i nostri stessi sentimenti e pensieri! An che Gesù stesso provò paura per ciò che lo attendeva nel Getsemani e lo mostrerà ai discepoli con un’angoscia vissuta visibilmente e con una preghiera al Padre affinché allontanasse da lui il calice di quella misera fine (cf. Mt 26,36-46)!
La sofferenza e la morte, nostra e di chi amiamo, ma anche degli altri, ci fanno male e ci ripugnano. Pietro sta dicendo questo. Ma in quel preciso momento, per Gesù le parole di Pietro risuonano come la puntuale tentazione di Satana, quando nel deserto gli aveva offerto potere, successo e gloria ma alla fine se ne andò sconfitto, attendendo Gesù ad altro momento (cfr Mt 4,1-11). Ma mentre Pietro prende in disparte Gesù per esprimerGli il suo disappunto, Gesù si volta verso gli altri discepoli e definisce Pietro «Satana». Così, dopo essersi sentito definito «beato», subito si ritrova etichettato come «Satana»! Gesù non smentisce quanto appena detto a Pietro, ma fa ben capire che anche alla Roccia è possibile finire per ragionare in modo umano e divenire quindi ostacolo sulla via del Signore.
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Gesù si è fatto Uomo per portare a termine «fino in fondo» la missione del Padre e farlo «per sempre»; Pietro invece pone davanti un «Mai» – «Questo non ti accadrà mai» -: un’espressione che svela che Pietro non ha ancora capito, sta ancora ragionando con parametri umani. Se Gesù infatti non attraversa la sofferenza e la croce non entrerà nel «terzo giorno», non aprirà la vita nuova ed eterna.
Come per Pietro la forza e il coraggio dell’agire non stavano nelle sue capacità ma nell’amore di Gesù per Lui, così vale per ciascuno di noi. Gesù non fa conto della mia e nostra bravura, ma dell’Amore che Lui stesso infonde in ciascuno. Forti di questo amore, saprò e sapremo scegliere da quale parte stare: dimenticarlo ci porterebbe a pensare ed agire con la mentalità del mondo, mentre è proprio la follia della Croce a renderci capaci di agire da folli per amore.
Ce lo ricorda bene il profeta Geremia, nel testo scelto come prima lettura: «Mi hai sedotto Signore, e mi sono lasciato sedurre…sono diventato oggetto di derisione…Mi dicevo: “non penserò più a Lui…“…MA nel mio cuore c’era come un fuoco ardente trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo/soffocarlo, ma non potevo». Una sorta di nostalgia che sem pre interpella il cuore e, con le parole del salmo, che porta a dire: «Ha sede ti te, Signore, l’anima mia». Perché capita di cercare pace e coraggio, gioia e realizzazione fuori di noi, ma alla fine rischiamo sempre di affogare (cfr Pietro, due domeniche fa). Mentre il cuore inquieto, questo desiderio di eternità è già in noi: è Gesù.
vv. 24-28: Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno”.
Il Signore Gesù invita i discepoli a scegliere da quale parte stare, ad abbracciare la sua causa (cfr Servo sofferente, Is 52,13ss), anche a costo di ab bracciare la croce, tenendo chiaro il «Terzo giorno», ossia la vita nuova che verrà. In questo modo Gesù delinea il profilo del discepolo, che non è solo un seguire un saggio maestro, ma un lasciarsi coinvolgere dalla vita-proposta stessa di Gesù. Signica accettare di rinunciare a una personale affermazione di se stessi, per abbracciare unicamente l’Uomo nuovo (cfr Rm 6,6 «L’uomo vecchio è stato crocifisso…»; «…rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio…» (Ef 4,24), seguendoLo «ovunque egli vada» (cfr Ap 14,4). Un discepolato che potremmo definire a «caro prezzo» ma che porta in sé un premio di gloria, di «Terzo giorno».
Se la passione-morte sono la conseguenza del rifiuto dell’autorità religiosa nel riconoscerLo Messia, la risurrezione sarà la risposta di Dio al male degli uomini, sarà il frutto della morte: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24-26). In questo modo possiamo dire di trovarsi di fronte a due logiche: quella del «Mai» di Pietro, e quella del «Per sempre» di Gesù. La logica umana e la logica di Dio. Quest’ultima è la logica che Gesù invita a scegliere ed abbracciare. Per sempre. Fino alla fine: «Gesù…Li amò fino alla fine» (cfr Gv 13,1). «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Questa è la radicalità alla quale il Signore invita i discepoli ad abbracciare, perché l’amore non contempla preferenze e/o parzialità alcune: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ed è su questo amore che i discepoli del Signore saranno riconosciuti: «Da questo tutti sapranno che siede miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34).
Gesù ci mette così in guardia dalla battaglia che sta davanti a quanti scelgono la sua proposta. La vita del mondo, infatti, punta ad accumulare, apparire, sfruttare…dimenticando che «Nessuno può riscattare se stesso o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare» (Sal 49,9-10). La via che Gesù propone, invece, è via d’amore, e non c’è amore senza sacrificio di sé. Solo l’amore dà senso e felicità alla vita, anche se apparentemente sembra che ci si perda. Da questi pochi tratti si comprende che l’attenzione non va data sulla sofferenza e la croce ma sull’amore. Non va data sul «Mai», ma sul «Per sempre». E sarà questo «Per sempre», fondato e illuminato dal «Terzo giorno», a dare ragione e speranza ad ogni scelta di vita.
Mt 16,21-27 | don Andrea Vena 80 kb 2 downloads
XXII domenica del tempo ordinario, anno A (3 settembre 2023) …Il commento al Vangelo di domenica 3 settembre 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.