Come accennato domenica scorsa, queste ultime tappe dell’Anno Liturgico ci vedono impegnati a meditare alcuni dialoghi tra Gesù e i suoi avversari che tenteranno ogni modo per trovare di che accusarlo. E se è vero che alla fine corromperanno alcuni pur di trovare prove contro di Lui (cfr Mc 14,51: «Cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui, e le loro testimonianze non erano concordi»), è pur vero che la Croce diventerà quella Realtà grazie alla quale Gesù vincerà sul peccato, risorgerà da morte e, salito alla destra del Padre, diverrà «Re e Signore dell’Universo»: lì ci attende nell’ultimo giorno (cfr Ef 1,20-25; ultima domenica dell’Anno Liturgico).
Domenica abbiamo meditato sull’obbligo o meno del tributo a Cesare, oggi rifletteremo sul più grande comandamento. Per introdurre il testo evangelico, la liturgia ci presenta un brano tratto dal libro dell’Esodo, dedicato al rispetto dell’altro. La questione di fondo che verrà dibattuta nel testo del vangelo sarà proprio su qual è il «comandamento più grande»: amare Dio o il prossimo? Su questo c’erano diverse scuole e quindi interpretazioni. vv. 34-40 : «I farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36“Maestro, nella Legge, qual è il grande comanda mento?”. 37Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti“.
Troviamo una sorta di rilancio. Abbiamo visto che i farisei avevano cominciato col mettere alla prova Gesù sul tema del tributo a Cesare (domenica scorsa), poi il vangelo ha presentato una seconda diatriba sulla questione della risurrezione dei morti che la liturgia ha omesso (cfr Mt 22,23.33), e quindi si arriva al nostro testo. Si tratta di un crescendo di discussione, quasi un giocare al rialzo pur di trovare di che accusare Gesù: «I farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono…».
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Non si danno per vinti. Cercando di far sì che Gesù si esponga per capire da quale parte sta, quale scuola teologica segue. Di fronte alla domanda sul «comandamento più grande», Gesù risponde: «Amerai il Signore Dio tuo… e il secondo è simile a quello: Amerai il tuo prossimo». Il secondo dunque è «simile» al primo, dice Gesù. Entrambi riguardano l’amore. Sono due facce della stessa medaglia: uno senza l’altro non si regge. Non basta vivere l’amore verso Dio e poi non riconoscerLo presente nel prossimo che ti sta accanto. Gesù esce dalla gerarchia numerica, non c’è un primo e un secondo, ma dal primo deriva il secondo. L’amore al prossimo chiede di sgorgare dall’amore verso Dio, dall’ascolto della sua Parola e quindi del suo criterio, cioè dal fatto che Egli è padre di ciascuno e con ognuno si identifica. Infatti nel giudizio finale (cfr Mt 25) Gesù dichiarerà che aver amato, accolto, servito il fratello significa aver amato, accolto, servito Lui stesso.
E san Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”» (1Gv 4,20-21). Ma l’accostamento dei due comandamenti non è una novità: già nell’Antico Testamento infatti, s’invitava ad amare Dio, (cfr Dt 6,4-5 con tutto il cuore, la vita e la mente) e poi il prossimo, «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lc 19,18). Ciò che fa Gesù, quindi, è riportare la discussione direttamente nella Scrittura, lì dove Dio ha parlato. E far memoria che «Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un comandamento, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» (papa Benedetto, Deus caritas est, nr 1).
Amare solo Dio rischia di tradursi in idolatria, in un Dio-oggetto del nostro amore di fronte al quale ci sentiamo a posto se diciamo alcune preghiere e accendiamo un lumino! Ma Dio non è il dio dei santini, ma il Dio vivente! E noi siamo stati salvati da Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi, Colui che cammina con noi. Colui che ci ha amati di amore indicibile. Non basta cioè essere buoni «religiosi» se non siamo anche «discepoli». Non basta cioè «cercare di vedere Gesù» (come Erode, Lc 9,7-9) se non ci si lascia cercare e trovare da Lui (come Zaccheo, Lc 19,1-10).
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Perché solo quando ci lasciamo trovare dal Signore, allora faremo esperienza della sua Misericordia, sapendo dare alla vita una direzione nuova e decisiva. Ripensiamo alla chiamata di Matteo: «Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). Non è un semplice seguire i suoi passi, ma un scegliere di seguire il suo esempio, perché «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19), perché ci siamo lasciati amare e quindi interpellare dalla sua infinita misericordia. Alla luce della chiamata di Matteo, possiamo allora rileggere le parole di papa Benedetto quando dice che «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, nr 1).
È Lui In Principio (cfr Gen 1), che sta al Principio della vita, della chiamata, di tutto. E come Lui, ora spetta anche a ciascuno di noi amarLo, amando come Lui ci ha amati. RiconoscendoLo presente nel prossimo che ci sta accanto, perché è su questo punto che saremo misurati: «Da questo riconosceranno che siete miei amici, se avrete amore gli uni per gli altri» (cfr Gv 13,34ss). Ma c’è un altro tassello da considerare: Gesù non dice semplicemente «Amare il prossimo» ma aggiunge «come te stesso». Compreso quanto Dio mi ama, devo imparare anch’io a volermi bene, a guardarmi con fiducia e misericordia, perché solo così saprò fare altrettanto verso il prossimo. Se, come abbiamo fatto cenno, l’amore al prossimo sgorga dall’amore a Dio questo significa che dobbiamo prima di tutto lasciarci amare dal Signore per poter rispondere amando.
La preghiera personale, la lettura del Vangelo, l’adorazione eucaristica devono rappresentare «quel prima» necessario per non ridurre l’amore al prossimo a puro assistenzialismo. Solo se ci lasciamo amare da Dio sapremo amare gli altri come Lui ci ha amati: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34; 15,12). Il Signore non s’impone: come ricorda il testo dell’Apocalisse, Lui sta alla porta e bussa: se noi apriamo, Lui entra e ci rende partecipi del suo amore misericordioso. A noi dunque aprire, anzi spalancare le porte a Cristo (cfr san Giovanni Paolo II) e lasciarci misericordiare dal Signore per imparare a guardarci con più simpatia e amare il prossimo come il Signore ci ama.
Mt 22, 33-40 | don Andrea Vena 73 kb 1 downloads
XXX domenica del tempo ordinario, anno A (29 ottobre 2023) Es 22,20-26 Sal 18 1Ts…Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.