Cosa dice la Parola/Gesù
Siamo giunti alla IV domenica di quaresima, detta Laetare (letizia-gioia): una sosta per focalizzare l’orientamento del nostro cammino verso la festa di Pasqua che ci attende, sapendo che questo procedere liturgico è simbolo del procedere della vita di ciascuno verso la Pasqua del cielo.
Capita una cosa simile anche quando si va in montagna: dopo un’impegnativa salita, giunti sul primo ripiano si riprende un po’ di fiato, si osserva il tratto compiuto, si gioisce per la tappa raggiunta e, fissando lo sguardo alla meta, ci si ricarica pronti per affrontare l’ultimo tratto. Così è il nostro cammino liturgico che oggi ci offre questa “sosta”: la liturgia alleggerisce il tono mesto della quaresima suggerendo un colore liturgico più caldo (oggi non si dovrebbero usare paramenti viola, ma di color rosaceo; si possono mettere alcuni fiori sull’altare e si può suonare l’organo anche fuori dall’accompagnamento del canto).
Nelle tappe precedenti, dal mercoledì delle ceneri ad oggi, c’è stato un susseguirsi di stimoli, di impegni da assumere che ci hanno quasi tolto il fiato! Ed ecco quindi la sosta odierna, dove possiamo sentirci ristorati dalle parole che Dio rivolge a Giosuè nella I lettura “Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto” – accompagnate dalla promessa che il cammino dell’esodo si conclude attorno a un banchetto nuovo, dove – dice il testo “Mangerete i prodotti della terra”. Un’esperienza che porta il popolo a cantare con le parole del salmo: “Gustate e vedete com’è buono il Signore”. Questa gioia è solo un anticipo della gioia piena che ci porterà Gesù rendendoci partecipi della gioia del banchetto del cielo, pregustata già oggi nel banchetto dell’Eucaristia domenicale. Alla luce di questa festa di gioia siamo invitati ad accogliere l’invito di san Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: Lasciatevi riconciliare con Dio”! (II lettura). Con questa premessa, entriamo nel testo del vangelo, che pone al centro una festa e un banchetto.
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vv. 1-3: “Si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola”.
Questi primi versetti inquadrano il contesto nel quale Gesù sviluppa le parabole della misericordia: pecora smarrita (3-7), dramma perduta (vv 8-10) e infine quella del padre misericordioso, che è quella odierna. Farisei e scribi mormorano contro Gesù perché banchetta con pubblicani e peccatori. Gesù, da parte sua, li critica perché non sono capaci di unirsi alla loro festa, perché dimenticano che in cielo si fa festa per un solo peccatore che si converte (v. 7).
vv 1124: Disse: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa”.
Nella prima parte della parabola ci viene presentata la vicenda del figlio minore. Per capire la sua richiesta, è importante ricordare che, secondo la legge ebraica, il primogenito riceveva, alla morte del padre (cfr Dt 21,17) una parte doppia dell’eredità. Al secondo figlio, quindi, spettava un terzo. Ma questo alla morte del genitore, non prima. Invece il figlio pare abbia fretta di ereditare, come a dire: “Visto che non muori, intanto dammi i soldi!”. Il padre divide le sostanze, senza proferire parola. Così il figlio, dopo aver rinnegato il legame con il padre, se ne va lontano. In questo modo lascia la casa-paterna, la casa-villaggio dove ha condiviso la vita con gli altri fino a quel momento: dopo la casa, il villaggio è una sorta di famiglia allargata, dove nelle relazioni di amicizia, ti senti protetto. Infine, la casa-comunità: la casa dove i credenti si ritrovano per innalzare a Dio la loro comune preghiera. Da questo gruppo di legami il figlio minore si è automaticamente escluso perché ora lavora tra i maiali, animali impuri (Lv 11,7; Mt 7,6).
Il figlio minore abbandona la casa paterna dove la vita è agiata e il banchetto è sempre abbondante e nutriente, e rincorre banchetti che soddisfino i suoi appetiti superficiali. Va a cercare la festa fuori di casa e si schianta, illuso che la vita sia libertà da ogni relazione, da ogni autorità, da ogni dipendenza, da ogni obbedienza. Alla fine scoprirà, a sue spese, che la ricerca del piacere fino all’estremo delle conseguenze porta solo solitudine e autodistruzione. Questo figlio minore si è lasciato illudere e accecare da quelle spinte che la liturgia ci ha fatto meditare nella I domenica di quaresima, le tentazioni. Si è lasciato illudere che la vita è bella se soddisfa gli appetiti superficiali; si è lasciato illudere che il potere equivale a fare quello che si vuole; si è lasciato illudere dalle idee fantasiose che sono nate in lui e che, senza confronto, lo hanno accecato. Illuso di tutto questo, si è concentrato sui beni anziché sul Bene sommo, che è l’amore del Padre. Amore che fonda la dignità di ogni figlio (cfr mercoledì delle ceneri: deboli, ma amati).
Ma questa condizione di limite si trasforma in opportunità (cfr tema di domenica scorsa: ascoltare gli eventi della vita). Il figlio, infatti, rientra in se stesso, fa memoria della sua storia e della sua dignità perduta, e decide di tornare verso casa. Un ritorno dettato non tanto dall’amore verso il padre, ma dalla speranza di poter essere almeno accolto tra i servi, che vengono trattati meglio di come lui si trova ora. Ciò che muove il figlio, quindi, non è l’amore del e per il padre, ma il fatto che “il padre padrone” tratta meglio i servi e il loro banchetto è più ricco di quello che lui può mangiare! Ma nel suo tornare avviene qualcosa di inaspettato. Il padre lo vide, dice il testo, e gli corse incontro (cfr Os 1,2; 11,8-9) e senza neppure permettere al figlio di concludere il suo discorso, lo abbraccia, lo fa vestire delle vesti più belle, gli fa mettere i calzari ai piedi e l’anello al dito: tutti simboli che indicano la dignità del “casato”. Solo ora, innanzi alla bontà del padre, che prima non coglieva perché preso dalle cose, comprende di essere figlio. Figlio amato. E rinasce una seconda volta (interessante a riguardo il dipinto di Rembrandt, dove la testa del figlio – rasata come un infante è posata proprio nel “grembo” del padre, ad indicare la vita nuova che sta nascendo).
Se ora ripensiamo al cammino quaresimale fin qui compiuto, questo figlio minore è simbolo dei tanti “figli minori” che sono presenti in ciascuno di noi e ci spingono a lasciare tutto per inseguire chissà quale libertà. È la tentazione di sempre, da quando il serpente ha installato in Adamo ed Eva il sospetto che il Padre del cielo è invidioso della nostra gioia (cfr Gn 3). In questo modo il peccato di questo figlio – e di ciascuno di noi – è quello di illuderci che, allontanandoci dalla casa paterna, si possa trovare quello che veramente cerchiamo. E non ci rendiamo conto di andare incontro al peggio, di andare tra i maiali! Soli e senza dignità. Così, dal banchetto succulento del padre, ci si trova a raccattare/elemosinare qualcosa pur di riempire lo stomaco!
Ma questa condizione – come dicevamo domenica, c’è sempre un roveto dal quale Dio mi parla, basta ascoltarlo – diventa l’opportunità perché il figlio minore “Ritorni in sé” e ascolti la nostalgia di “casa”: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane…”. Certo, ancora non è emersa la nostalgia dell’amore paterno, ma Dio ha rispetto di questa gradualità nel cammino di conversione. Un passo alla volta. Un’esperienza che fa tornare alla memoria sant’Agostino, quando confidava: “Tu eri dentro di me – Signore -, e io fuori. E là ti cercavo”. (Le Confessioni).
vv. 25-32: Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato””.
Come il padre è corso incontro al figlio minore, così corre incontro al figlio maggiore che non vuole entrare. Ciò che emerge dal dialogo con lui è che coltivava lo stesso stato d’animo del fratello minore: al padre non voleva bene, ma voleva i suoi beni! Anziché andarsene è rimasto vivendo da “schiavo”… quasi aspettando il momento per uccidere il capretto e fare festa con i suoi amici! Non riconosce il padre e tanto meno il fratello, come emerge dal dialogo: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo…Questo tuo figlio…questo tuo fratello…”. Con le tre parabole Gesù critica l’atteggiamento degli scribi e dei farisei, illusi che si diventi figli per un’osservanza esteriore, e non per grazia, per dono, per amore. Una sorta di “sepolcri imbiancati” (cfr Mt 23,2728). “Figli” che credono di fare tanto per Dio, ma in realtà lo fanno da soli, né con Dio né in Dio, dimenticando che se il tralcio non è innestato “IN” nella vite – Gesù, non porta frutto (cfr Gv 15,1-11). Importante è “dimorare” in Dio, stare con Lui. Questa è la nostra missione: stare con e in Lui, per poter vivere per Lui. Solo qui ci riconosciamo figli amati, dove tutti e sempre possiamo accostarci al banchetto preparato per noi (cfr Is 25,6). Un banchetto dove il primo cibo è la compagnia-relazione col Padre del cielo (non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola….Lc 4,4), la sola capace di aprirci alla compagnia con i fratelli e sorelle tutti.
Così inteso, il cammino della vita – simboleggiato in miniatura nel cammino quaresimale – è un continuo tornare verso il Padre, perché in fondo dentro ciascuno di noi convivono il figlio minore e il figlio maggiore, come convivono grano e zizzania (cfr Mt 13,24ss). E non possiamo mai sentirci degli arrivati, perché la libertà non è mai una conquista fatta una volta per tutte: chiede sempre di essere conquistata e riconquistata, custodita e difesa, perché il diavolo non si stanca mai di tentarci dall’andarcene di casa. In fondo la casa del Padre – almeno finché non arriveremo lassù – non sarà mai un caldo rifugio, ma sempre un “crocevia”, perché il Padre ci lascerà sempre figli liberi. Anche di andarsene e di sbagliare. Una, due… settanta volte sette: e lui ci accoglierà altrettante settanta volte sette (cfr Mt 18,21). Perché a muoverlo non è il perfezionismo legalistico, ma è la misericordia.
In questo andare e tornare, pian piano impariamo a comprendere che non dobbiamo divenire né il figlio minore o il figlio maggiore, ma il Padre: “Misericordiosi com’è misericordioso il padre vostro del cielo” (Lc 6,36). Capaci ad andare incontro a chi torna e chi non vuole entrare, senza giudizi o pregiudizi, ma semplicemente con amore. Perché alla fine ciò che conta è partecipare alla gioia del Padre, alla festa e al suo banchetto. Basti ricordare l’esperienza narrata da santa Teresa d’Avila nel suo splendido capolavoro, Il Castello Interiore, dove Teresa immagina la sua anima come un castello al centro del quale dimora il Re, Gesù. Noi, scrive Teresa, viviamo sull’uscio, attratti dal Re ma anche dalla vita che c’è fuori: è una lotta da affrontare…pian piano e con fiducia, senza paura delle fragilità e delle cadute. Un cammino sempre alimentato dalla gioia di andare verso il Re che abita al centro.
Parole chiare rivolte agli scribi e ai farisei di un tempo, ma pure a quelli di oggi, accecati dalla trave presente nel proprio occhio/cuore, ma sempre pronti a fustigare e umiliare a colpi di canoni e di citazioni bibliche il fratello, per la pagliuzza che porta in sé (cfr Lc 6,39ss trave nell’occhio). Dimenticando però, che nel galateo di Dio gli ultimi sono i primi, e i primi ultimi (cfr Mt 20,16); e “pubblicani e prostitute vi precederanno” al banchetto del cielo (cfr Mt 21,31ss). “O forse sei tu geloso perché io sono buono?” (Mt, 20,1ss). L’accoglienza va fatto con amore e nell’amore, non con la clava dei comandamenti!
Questa sosta diventa una spinta affinché ciascuno, da qualunque situazione si trovi, prenda il coraggio di tornare o di entrare a casa, per partecipare alla festa del Padre: lasciamoci riconciliare dall’amore del Padre e partecipiamo con gioia oggi alla Cena dell’Agnello, l’Eucaristia, banchetto dei peccatori, non dei perfetti. Preludio del banchetto che ci attende nel cielo, al termine della vita, il nostro cammino dell’esodo (cfr I lettura e trasfigurazione, quando Elia e Mosè discorrono con Gesù).
Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù
Colletta anno C
O Padre, che in Cristo crocifisso e risorto offri a tutti i tuoi figli l’abbraccio della riconciliazione, donaci la grazia di una vera conversione, per celebrare con gioia la Pasqua dell’Agnello.
Con Te
Dio di bontà infinita,
donami il coraggio di ritornare e l’umiltà per entrare.
Soprattutto
donami la gioia di rimanere nella tua casa, con Te.
Lieto della tua compagnia ed educato dal tuo amore,
aiutami sempre ad andare incontro a chi torna
e a chi resta fuori, perché nessuno si senta escluso
dal banchetto che hai preparato per far festa con Te,
Dio di bontà infinita.
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Il commento al Vangelo di domenica 27 marzo 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.